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(Adnkronos) - È un fenomeno più comune di quanto si pensi quello delle 'momfluencer' o dei 'dadfluencer'. Parola di chi i social li conosce a fondo. "Spesso - spiega all'Adnkronos Salute Selvaggia Lucarelli - con la scusa di condividere la gioia della maternità e consigli su come gestire la vita con figli, in realtà si creano pagine che hanno come unico scopo quello di monetizzare grazie al fatto di essere madri o padri. Ci sono pagine che vertono solo su quell'argomento, addirittura i nomi stessi sono 'Mamma di tre figli', 'Mamma di quattro figli'". Partono già così, racconta l'esperta, commentando i risultati di un'analisi Uk pubblicata su 'Plos One', che mostra come in 3 post su 4 pubblicati da popolari mamme influencer compaiano i loro bambini (quasi la metà sono post pubblicitari). "Altri profili, invece - continua Lucarelli - nascono in teoria con scopi diversi che possono essere banalmente anche solo mostrare se stessi, la propria vita, quotidianità. Non appena arriva una gravidanza, però, si spostano completamente sulla narrazione della maternità. Non perché sia più interessante, ma perché i contenuti sulla maternità sono sempre quelli più cliccati, con più engagement". Ed engagement "vuol dire soldi", chiarisce. "Se un post in cui faccio vedere la mia foto al mare fa 50mila like, e uno in cui faccio vedere che costruisco con mio figlio un castello di sabbia al mare ne fa 150mila, è chiaro che il valore economico è più alto - i Ferragnez insegnano - e pian piano la narrazione si sposta completamente sui figli, perché i figli fanno fatturare di più, è molto semplice il discorso. I Ferragnez quando erano i Ferragnez postavano quasi solo contenuti sui figli, perché erano i contenuti che creavano più engagement". Ma questi post hanno un risvolto economico anche quando non compare direttamente la sponsorizzazione di un prodotto? "Certo - analizza Lucarelli - perché aggiungono valore, perché danno valore al proprio profilo. Anche quando il contenuto con un figlio non è un 'adv', sarà sicuramente quello che riceve più 'like' e che ha più engagement. E questo alza il valore della pagina". In altre parole, "nel 'borsino' delle pagine ne vale di più una con 6 milioni di interazioni di una che ne ha 2 milioni. E le interazioni le crei soprattutto mettendo foto con i figli". Per Lucarelli "sarebbe certamente necessario" lavorare a una nuova legislazione che protegga maggiormente i bambini online, come suggerito dalle ricercatrici, perché "molti genitori di fatto trasformano i propri figli in 'prodotti'. E siccome per monetizzare i contenuti con i figli - puntualizza - i figli li devi mostrare, non puoi semplicemente ritrarli di spalle o alludere, diventa sostanzialmente un circolo vizioso, perché più li mostri e più guadagni". Il problema, precisa poi Lucarelli, "non è che c'è un contenuto più dannoso di un altro. Il tema è che tu crei un'identità digitale a un bambino che da adulto può desiderare non possederla. E non è una scelta reversibile. Non si torna indietro, una volta che hai pubblicato migliaia di contenuti su tuo figlio". "Io non sono categorica su queste cose. Se pubblichi la foto di un figlio, sei uno sconosciuto e lo fai una volta ogni tanto, non succede niente - è la riflessione di Lucarelli - e capisco che ogni tanto faccia piacere condividere la foto di un figlio, l'ho fatto anche io. Però un conto è condividere una tantum uno scatto di un bambino, un conto è far sì che tuo figlio diventi il centro del tuo 'business' e che, in virtù del fatto che grazie a tuo figlio fatturi, sacrifichi la sua privacy e gli crei un'identità digitale di cui non si libererà mai più". Ci sono poi genitori, fa notare, "che postano anche contenuti imbarazzanti, contenuti di cui magari un ragazzino domani - o anche oggi - si vergogna. Quello che tu pubblichi di tuo figlio, infatti, lo vedono anche magari i bambini che vanno a scuola con lui, le loro mamme. Perché io devo sapere che quella notte il bambino ha vomitato?", si chiede Lucarelli, portando pure altri esempi. "Ci sono madri che riprendono i figli sul vasino mentre fanno i bisogni", dice. Scandagliando i social, Lucarelli ha visto di tutto. "C'è una famiglia - racconta - che è finita di recente al centro dell'attenzione perché c'è questo padre che pubblica quotidianamente 15-20 video dei suoi quattro figli, di tutte le età. E naturalmente sta già monetizzando, perché riceve pacchi, regali, eccetera". Fra i commenti ai post, però, ce ne sono anche di offensivi. "Lui lo vede e, a ragione, fa l'indignato. Ma di fatto sa che il meccanismo storto è questo e va avanti, perché alla fine sul piatto della bilancia ci sono da una parte le monetizzazioni e dall'altra la serenità dei propri figli, e ha scelto di monetizzare. Però non è molto diverso da quello che hanno fatto sempre i Ferragnez e mille altri profili. Mariano Di Vaio, per esempio, ha i figli, minorenni, che hanno già tutti degli account social". E si ritorna al tema della possibilità di scegliere. In Francia, segnala lo studio pubblicato su 'Plos One', esiste una sorta di diritto all'oblio per i bimbi che vengono inclusi nei post di influencer, che si attiva su loro richiesta. Però, obietta Lucarelli, "tu puoi rimuovere un contenuto da un social media, ma poi quel contenuto ripassa altrove. Chi monetizza grazie ai bambini ha un livello di popolarità importante, altrimenti non ti pagano per sponsorizzare prodotti per bambini. Per cui questo vuol dire che sostanzialmente quei contenuti sono già usciti, sono rimbalzati su siti, giornali. Si può tamponare" con misure di questo tipo, ex post, "ma il problema non lo puoi più rimuovere alla radice". Per esempio appare irrealistico "che oggi Leone e Vittoria", i figli di Fedez e Chiara Ferragni, "possano far rimuovere tutti i post" che li ritraggono. E' meglio dunque partire da "regole che siano al di là dell'utilizzo dei social network, delle regole generali", conclude Lucarelli. Tra l'altro, osserva, "i giornalisti hanno delle regole molto stringenti sulla pubblicazione di qualsiasi contenuto che riguarda minori. Se 'sgarriamo' c'è il garante e mille organi che ci riprendono. Non si capisce perché invece un genitore possa ritenere il figlio 'proprietà' e diventare non più un tutore, ma una persona che ha a disposizione la vita e la morte mediatica del proprio figlio. Ritengo che si debba dunque lavorare alla base del problema". Foto di famiglia con pet, video che 'rubano' attimi spensierati di giochi in cameretta, le gag divertenti tra fratelli, i ricordi dei viaggi con bebè al seguito, scatti in posa con travestimenti a tema per mamma, papà e prole - spesso numerosa - al completo. Sono alcuni dei post più frequenti nei profili delle mamme influencer. Pagine che vantano anche milioni di follower, a suon di hashtag accattivanti: #momlife, #love, #motherandson. Un universo parallelo di sorrisi, bellezza, perfezione ai limiti della realtà, anche quando ad essere ritratti sono buffi momenti familiari apparentemente disastrosi. A esplorare questo mondo è un team di ricercatori in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica 'Plos One'. Le autrici, Katherine Baxter della Liverpool Hope University e Barbara Czarnecka della London South Bank University, si sono concentrate su dieci popolari influencer britanniche della maternità, con follower sopra quota 10mila su Instagram, e hanno condotto un'analisi dei contenuti di 5.253 post, integrandola con dati auto-riportati dalle influencer stesse. Obiettivo: approfondire in particolare le pratiche di condivisione delle immagini dei figli. Quello che emerge è che i bambini compaiono in 3 post su 4 (oltre il 75%, cioè 3.917), pur rimanendo relativamente bassa la quota di post con contenuti imbarazzanti, intimi o rivelatori (11,5%). In particolare, le ricercatrici hanno rilevato che le sponsorizzazioni e la pubblicità di prodotti erano presenti nel 46,4% dei post che mostravano bambini, "il che - evidenziano nell'analisi - indica che le immagini di bambini vengono spesso utilizzate per guadagni economici". Nonostante ciò, lo studio mostra che la popolarità dei post non varia in base all'inclusione o meno dei piccoli: i post in cui sono presenti non ricevono più 'like' di quelli che non li mostrano. Le influencer al centro della ricerca, spiegano le esperte, "hanno espresso una forte fiducia nella sicurezza online su Instagram e hanno mostrato indifferenza o disponibilità verso lo sharenting", come viene definita la pratica dei genitori che condividono via social immagini e contenuti sui propri figli, "indicando che" questa condivisione "potrebbe essere una strategia deliberata piuttosto che un atto accidentale". Ricerche precedenti, ricordano le autrici, hanno suggerito l'esistenza di un 'paradosso della privacy', in base al quale le preoccupazioni dichiarate dalle persone sulla privacy online non sono in linea con il loro comportamento di pubblicazione. Le 'momfluencer' si trovano spesso in situazioni in cui i confini sono sfumati. La tesi è che l'aspettativa di condividere continuamente momenti privati può portare a un senso di vulnerabilità e perdita di controllo sulla propria vita. Questa relazione paradossale tra esposizione pubblica e vita privata crea una tensione che le influencer devono costantemente gestire e che molti ricercatori affermano porti a vivere il paradosso della privacy. Ma l'apparente mancanza di preoccupazione delle influencer prese in esame sul tema dello sharenting "non sembra supportare questo paradosso", analizzano le esperte. "Negli ultimi 2 decenni - osservano le ricercatrici - gli influencer dei social media sono diventati una strategia di comunicazione popolare in tutto il mondo, sollevando preoccupazioni sulla privacy, in particolare nel contesto della condivisione di immagini di bambini". Il materiale pubblicato viene spesso condiviso per benefici finanziari, tra cui pubblicità e contenuti sponsorizzati. Le influencer della maternità sono diventate una delle categorie più 'prolifiche': condividono immagini che mostrano i loro figli e le loro famiglie che promuovono marchi e prodotti o che ritraggono importanti temi chiave vissuti nella genitorialità. Sono anche criticate, evidenziano Baxter e Czarnecka, "per il fatto di condividere troppi contenuti privati e intimi, in particolare video e immagini dei loro figli e spesso per fini commerciali, sollevando dibattiti sulle implicazioni etiche e sulla privacy". La ragione è evidente: i bambini non possono acconsentire alla condivisione online di immagini ed eventi della loro vita. Alcune forme di sharenting "invadono la privacy" di questi minori, ripercorrono le autrici dell'analisi, "e potrebbero avere potenziali impatti psicologici futuri, in particolare quando il bambino ottiene un seguito ampio e potenzialmente indesiderato sui social". Altri problemi che si sono verificati includono "l'uso improprio delle immagini dei bambini, la potenziale informazione che finisce nelle mani" di persone sbagliate con fini criminali, "il monitoraggio non tracciato dei bambini per uso commerciale da parte di organizzazioni, l'uso illegale delle immagini per vendere prodotti". E va considerato anche che l'impronta dei social e la permanenza digitale sono "eterne", e che non si possono escludere risvolti di bullismo o molestie per il bambino che viene esposto. Questi i rischi che vengono riportati da diversi studi e analisi. In Francia, si legge nella ricerca, "questo problema è stato preso così seriamente che è stata recentemente approvata una legge per conferire ai bimbi inclusi nei post di influencer il diritto all'oblio, in base al quale su richiesta del bambino qualsiasi contenuto può essere rimosso completamente dalla piattaforma dei social media". I risultati di questo studio, concludono le autrici, "dimostrano che le influencer della maternità usano immagini dei loro figli nella maggior parte dei post sui social media e in quasi la metà dei post sponsorizzati. Sebbene i contenuti sensibili siano stati condivisi relativamente sporadicamente, ci uniamo all'appello di chi sostiene che dovrebbe essere sviluppata una nuova legislazione per proteggere i bambini online e salvaguardarli per impedire che vengano sfruttati". Perché, fanno notare le esperte guardando nello specifico alla situazione normativa in Uk, "mentre vengono introdotte maggiori limitazioni sui contenuti generati dagli utenti sui social media, i diritti dei bambini non sono ancora sufficientemente specificati".
(Adnkronos) - Sono 2.500 gli stabilimenti che, su un totale di 7.200 censiti in Italia, hanno già adottato soluzioni digitali per la gestione della spiaggia mentre 1.800 sono le strutture che hanno avuto almeno una prenotazione online nella stagione 2024; +35% degli stabilimenti hanno utilizzato un software gestionale per la spiaggia, contro il 6% di 4 anni fa. Quest’estate il canale online ha raggiunto il 2% della spesa estiva per il noleggio di servizi balneari in Italia, con un volume superiore ai 50 milioni di euro; 11 volte di più rispetto a quanto stimato nell’estate 2020. Sono i dati di Spiagge.it (portale italiano per la prenotazione online di ombrelloni, con più di 2mila strutture balneari affiliate, 230mila download dell’app mobile e più di 700mila prenotazioni effettuate) confrontati anche con le analisi di Unioncamere. Gli analisti del portale hanno infatti raccolto i dati della stagione 2024, li hanno studiati e confrontati con i report di categoria e hanno presentato la seconda edizione dell’Osservatorio sulla digitalizzazione del settore balneare. "La digitalizzazione - afferma spiega Gabriele Greco, ceo di Spiagge.it - sta rivoluzionando il settore balneare, agevolando soprattutto il turismo straniero. Questo approccio consente di semplificare le operazioni quotidiane, ridurre gli errori, migliorare la produttività e ottenere un controllo totale delle informazioni condivise tra i collaboratori, tutto grazie a un unico strumento Stiamo sviluppando per la stagione 2025 soluzioni sempre più innovative grazie all’intelligenza artificiale, stiamo progettando siti white label personalizzati per gli stabilimenti balneari e costruendo campagne mirate per aumentare la visibilità delle strutture. In un contesto dove 9 turisti su 10 prenotano online, la presenza digitale è ormai essenziale per attrarre e fidelizzare nuovi clienti". Gli analisti di Spiagge.it ritengono che, entro il 2026, oltre il 50% degli stabilimenti balneari esistenti in Italia utilizzerà una soluzione gestionale web sfruttando funzionalità avanzate. I clienti, già alla ricerca di proposte personalizzate, vorranno gestire grazie ai canali digitali la prenotazione di esperienze extra per vivere a pieno la loro vacanza. I gestori che hanno ormai maggiore consapevolezza di quanto utili siano gli strumenti di analisi dei dati di prenotazione, i servizi di automazione marketing, la maggiore flessibilità nelle prenotazioni e la fornitura di un’assicurazione causa maltempo, nel corso delle prossime stagioni punteranno infatti a farne sempre un maggiore utilizzo. Protagonista del cambiamento nel settore sarà l’intelligenza artificiale, che consentirà di sviluppare piattaforme sempre più all’avanguardia. Gli strumenti di prenotazione del futuro sfrutteranno la ricerca conversazionale che permetterà di pianificare la vacanza con il supporto di un agente virtuale e la customer service experience che sfrutterà chatbot intelligenti per prenotare in maniera integrata, insieme all’ombrellone, diversi servizi (per esempio il tavolo al ristorante dello stabilimento balneare o bevande e alimenti da farsi recapitare direttamente in spiaggia). I trend di crescita permettono anche di prevedere che, entro il 2026, verranno raggiunti i 100 milioni di euro di Gross booking value gestiti direttamente online, prevalentemente tramite canali dei gestori stessi (siti internet, canali social, WhatsApp) ma anche attraverso piattaforme di prenotazione dedicate, tra cui spiagge.it Il turista digitalizzato che frequenta le spiagge italiane, secondo i dati di spiagge.it, ha un’età media di 25-40 anni, è un lavoratore impegnato in orario d’ufficio che prenota online in orari serali, quando lo stabilimento è chiuso. Predilige organizzare le vacanze con la famiglia o con il proprio compagno o compagna e apprezza la chiarezza delle politiche di cancellazione delle piattaforme online. La spesa media effettuata per un ombrellone è di 36,00 euro con prenotazioni che durano mediamente 1,3 giorni e includono un ombrellone. La durata media di una vacanza del turista tipo al mare è di 7 giorni; inizia a prenotare il proprio posto in spiaggia già da gennaio anche se è nei mesi successivi che vengono finalizzate la maggior parte delle prenotazioni: il 10% del totale prenotato online viene raggiunto entro maggio, prevalentemente per assicurarsi un posto in spiaggia nei mesi di luglio e agosto. Sempre più turisti stranieri scelgono il canale online per prenotare le postazioni in spiaggia, dimostrando una crescente fiducia nei servizi digitali per organizzare le proprie vacanze. Nella piattaforma spiagge.it questi rappresentano il 21% delle prenotazioni online, una quota in costante crescita che evidenzia l’importanza di adattare l’offerta a un pubblico internazionale. Questa tipologia di utenti effettua prenotazioni più lunghe, spende di più e decide con largo anticipo. Le regioni con il numero più alto di prenotazioni da parte di turisti stranieri sono: Friuli Venezia Giulia (41%), seguita da Campania (36%), Sardegna e Veneto (entrambe 21%). Le località più gettonate da turisti stranieri sono: Positano (americani e canadesi), Grado (tedeschi e austriaci) e la provincia di Bari (americani, inglesi e francesi). In Friuli Venezia Giulia e Campania, gli stranieri rappresentano oltre il 35% delle prenotazioni online, con un anticipo nella prenotazione della vacanza di circa 25 giorni. In Liguria, Puglia, Sicilia e Sardegna, gli stranieri rappresentano tra il 15-20% delle prenotazioni online e prenotano con un anticipo di circa 7 giorni. In Calabria, Lazio e Basilicata gli stranieri invece sono in minoranza. In queste regioni gli stranieri prenotano con un anticipo di 6 giorni. Il settore del turismo balneare è in costante crescita: vi è stato un aumento del 26% di imprese rispetto al 2011 e nell’ultimo anno l’incremento è stato dell’1%. L’Emilia Romagna guida la classifica per concentrazione, con oltre 1.000 imprese balneari presenti, seguita da Toscana e Liguria. Dal 2011, alcune regioni hanno registrato crescite straordinarie nel numero di spiagge attrezzate: la Sardegna ha quasi triplicato (+190%), passando da 40 a oltre 100 imprese, la Calabria (+110%), la Sicilia (+75%), la Puglia (+53%) e infine la Campania (+37). Questi trend riflettono l'aumento della domanda turistica, con la Campania come regione più ricercata, seguita da Puglia, Sicilia e Sardegna. Anche le dimensioni delle spiagge variano notevolmente: nel Nord Est medie di 400 ombrelloni in Friuli Venezia Giulia, 300 in Veneto e 200 in Emilia Romagna; nell’area tirrenica 170 nel Lazio, 130 in Toscana e Liguria. Al Sud la media è di 160 ombrelloni, con valori inferiori in Sicilia (120) e in Sardegna (70). La crescita del valore di prenotazioni online di ombrelloni tra il 2023 e il 2024 è del 48%. Gli stabilimenti già attivi sul sito di spiagge.it nel 2023, hanno registrato una crescita del 20%, contribuendo al 36% dell’incremento totale. Il restante 64% proviene da stabilimenti che hanno utilizzato l’online per la prima volta nel 2024. Il numero di stabilimenti che adottano strumenti online è aumentato del 25% con un’adesione crescente da parte dei più scettici. Tutte le regioni hanno registrato una crescita rispetto all’anno precedente. Confrontando solo gli stabilimenti che erano online sia nel 2024 che nel 2023, la Sardegna ha segnato l’incremento maggiore dal 2023 al 2024 (+40%), seguita da Friuli Venezia Giulia (+29%), Puglia (+28%) ed Emilia Romagna (+26%). Gli aumenti più contenuti sono stati rivelati in Veneto (+25%), Marche (+11%) e Toscana (+10%), probabilmente penalizzate dalle condizioni meteo estive avverse della scorsa estate. Per quanto riguarda i costi degli ombrelloni a livello regionale, Sardegna, Campania, Puglia, Sicilia e Liguria hanno prezzi più alti, oscillando tra 53,00-40,00 euro. Il Nord-Centro Adriatico ha un prezzo medio di circa 24,00-25,00 euro, mentre Calabria e Basilicata registrano il prezzo medio più basso attestandosi a 22,00 euro. In Toscana, la spesa media al giorno per una postazione raggiunge i 39,00 euro. Secondo l’analisi dei dati della piattaforma Spiagge.it, province quali Napoli, Savona, Salerno e Lecce spiccano per un numero particolarmente elevato di ricerche, segno di un grande interesse da parte dei turisti. Tuttavia, anche in province meno conosciute o con minore visibilità c’è una domanda latente che spesso però non trova un’offerta adeguata. I principali gap digitali che limitano la crescita in alcune zone litorali d’Italia sono in primis la mancanza o l’inefficacia del sito web: circa il 50% degli stabilimenti non dispone di un sito web adeguato oppure non l’ha affatto. Nello specifico, il 30% degli stabilimenti ne è proprio sprovvisto, il che determina una potenziale perdita di valore prenotazioni di circa 15mila euro per stabilimento rispetto a chi ha un sito web ottimizzato per ricevere prenotazioni. Chi ha un sito ben strutturato riesce a generare introiti fino a 3 volte in più rispetto a chi non l’ha. Secondo limite di crescita è la tendenza a favorire gli abbonamenti stagionali limitando la disponibilità per i clienti occasionali, più propensi a prenotare tramite piattaforme digitali e a contribuire così a incrementare la visibilità web dello stabilimento. In media, gli stabilimenti balneari con meno del 40% di occupazione stagionale registrano il doppio delle prenotazioni online rispetto a quelli con spiagge principalmente occupate da clienti stagionali. Infine, troppi stabilimenti non sono presenti sui principali portali di prenotazione, per esempio spiagge.it, e non sfruttano le potenzialità offerte dai motori di ricerca, tra cui Google, per migliorare la visibilità organica o attraverso campagne pubblicitarie.
(Adnkronos) - Il 2024 è stato l'anno più caldo mai registrato a livello globale ed il primo a superare il limite di 1,5°C sopra il livello preindustriale. E' quanto fa sapere il Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus (Copernicus Climate Change Service - C3S), nel rapporto annuale Global Climate Highlights 2024. Il C3S è implementato per conto della Commissione europea dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio raggio (Ecmwf). Per Carlo Buontempo, direttore del Copernicus Climate Change Service, “tutti i dati sulla temperatura globale prodotti a livello internazionale mostrano che il 2024 è stato l'anno più caldo dall'inizio delle registrazioni nel 1850. L'umanità è responsabile del proprio destino, ma il modo in cui rispondiamo alla sfida climatica deve basarsi sull'evidenza. Il futuro è nelle nostre mani: un'azione rapida e decisa può ancora modificare la traiettoria del nostro clima futuro”. “Ogni anno dell'ultimo decennio è uno dei dieci più caldi mai registrati - ricorda Samantha Burgess, Strategic Lead for Climate Ecmwf - Siamo ormai sull'orlo per superare il livello di 1.5°C definito nell'Accordo di Parigi e la media degli ultimi due anni è già al di sopra di questo livello. Queste alte temperature globali, unite ai livelli record di vapore acqueo atmosferico nel 2024, hanno comportato ondate di calore e forti precipitazioni senza precedenti, causando sofferenza a milioni di persone”. La temperatura media globale 2024 di 15.10°C è stata di 0.72°C superiore alla media del periodo compreso tra il 1991 e il 2020 e di 0.12°C superiore al 2023, il precedente anno più caldo. Ciò equivale a 1.6°C al di sopra del periodo 1850-1900: il 2024 è diventato, dunque, il primo anno solare ad aver superato di oltre 1.5°C il livello preindustriale. Anche la media del biennio 2023-2024 supera questa soglia. "Sebbene questo non significhi che abbiamo superato il limite fissato dall'Accordo di Parigi, che si riferisce alle anomalie di temperatura mediate su almeno 20 anni, sottolinea che le temperature globali stanno aumentando al di là di quanto l'uomo moderno abbia mai sperimentato", precisa C3S. Inoltre, ognuno degli ultimi 10 anni (2015-2024) è stato uno dei 10 anni più caldi mai registrati. La prima metà dell'anno è stata particolarmente calda: ogni mese ha registrato temperature globali più elevate rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Ciò ha contribuito a una striscia di 13 mesi di temperature mensili da record, che si è conclusa a giugno. Da luglio in poi, le anomalie della temperatura globale sono rimaste significativamente al di sopra della media. Agosto 2024 è stato caldo come lo stesso mese del 2023, e gli altri mesi da luglio a dicembre si sono classificati come i secondi più caldi della storia, dopo il 2023. In particolare, il 22 luglio ha segnato il giorno più caldo mai registrato, con una temperatura globale di 17.16°C. Il 2024 è stato l'anno più caldo mai registrato in Europa, con una temperatura media di 10.69°C, superiore di 1.47°C alla media del periodo di riferimento tra il 1991 e il 2020 e di 0.28°C rispetto al precedente record stabilito nel 2020. La primavera e l'estate sono state le più calde mai registrate in Europa. Nel 2024, la temperatura superficiale marina media annuale (Sst) sull'oceano extrapolare ha raggiunto un massimo storico di 20.87°C, 0.51°C al di sopra della media tra il 1991 e il 2020. Nel 2024 sono stati osservati in tutto il mondo eventi meteorologici estremi, che vanno da forti tempeste e inondazioni a ondate di calore, siccità e incendi. Secondo il report, la quantità totale di vapore acqueo nell'atmosfera ha raggiunto un livello record nel 2024, circa il 5% in più rispetto alla media del periodo compreso tra il 1991 e il 2020, un valore significativamente più alto rispetto al 2023 - si legge - Questa abbondante disponibilità di umidità ha amplificato il potenziale di eventi piovosi estremi. Inoltre, insieme alle elevate temperature della superficie del mare, ha contribuito allo sviluppo di grandi tempeste, tra cui i cicloni tropicali. Non solo. Le temperature elevate possono portare a situazioni in cui il corpo è sottoposto a stress da surriscaldamento. Oltre alla temperatura, anche altri fattori ambientali come l'umidità possono influire sullo stress da calore. Nel 2024 - rileva il rapporto - in gran parte del mondo si sono registrati più giorni della media con almeno 'forte stress da caldo'. Alcune regioni hanno anche registrato più giorni della media con 'stress da caldo estremo', livello al quale è indispensabile intervenire per evitare un colpo di calore. Secondo il report, infine, prolungati periodi di siccità in diverse regioni hanno creato condizioni favorevoli agli incendi boschivi. “Il Global Climate Highlights è uno strumento fondamentale per sostenere gli sforzi internazionali di adattamento al clima”, rimarca Florence Rabier, direttore generale dell'Ecmwf. Per Mauro Facchini, responsabile dell'Osservazione della Terra presso la Direzione Generale Industria Difesa e Spazio della Commissione Europea, “gli obiettivi ambientali e climatici fissati dall'Unione europea sono ambiziosi e necessitano di azioni adeguate, soprattutto considerando i risultati presentati oggi. Grazie alla scienza, all'innovazione e ai programmi faro di Osservazione della Terra come Copernicus, possiamo prendere decisioni informate per mitigare e adattarci ai cambiamenti climatici”.