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(Adnkronos) - Lo scontro tra il presidente americano Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nello Studio Ovale alla Casa Bianca continua a infiammare il dibattito politico anche in Italia dove si susseguono le reazioni. Lega e Forza Italia esprimono opposte letture. Le opposizioni chiedono alla premier Giorgia Meloni di riferire in Aula sulla posizione del nostro Paese riguardo all'Ucraina. Ma i capigruppo di Fratelli d'Italia parlano di "polemica strumentale" e richiesta "pretestuosa" perché "Meloni ha già in programma di riferire alle Camere per il prossimo 18 e 19 marzo in vista del Consiglio europeo". "Le immagini di ieri dallo Studio Ovale hanno sconvolto il mondo. Siamo in una situazione internazionale senza precedenti e il comunicato della premier Meloni, giunto ben ultimo dopo altri leader europei, non fa chiarezza sulla posizione dell’Italia", dicono Chiara Braga e Francesco Boccia, capigruppo Pd alla Camera e al Senato. "Meloni deve spiegare al Paese se ha intenzione di abbandonare l’Ucraina al suo destino, se pensa di distinguersi dal resto dell’Europa e come intende rispondere all’arroganza degli Stati Uniti e di Trump. Non può continuare a nascondersi e a scansare la questione di fondo: dove colloca l’Italia nel mondo in questo drammatico frangente. Basta video e comunicazioni tardive, venga in Parlamento già prima del vertice europeo straordinario del 6 marzo", aggiungono Braga e Boccia. I capigruppo M5S in Senato e alla Camera Stefano Patuanelli e Riccardo Ricciardi, in una lettera ai presidenti Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, chiedono con urgenza la calendarizzazione delle comunicazioni del governo in Aula. "Egregio presidente, il prossimo 6 marzo avrà luogo un Consiglio europeo straordinario, con all’ordine del giorno la guerra in Ucraina ed il rafforzamento della difesa europea. Si tratta di un Consiglio di immane rilevanza internazionale, in un contesto da ultimo segnato dall’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti d’America ed il Presidente dell’Ucraina, nonché dall’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di una risoluzione presentata degli Stati Uniti", scrivono i capigruppo M5S. "Riteniamo, pertanto, oggettivamente necessario che il Governo - e, segnatamente il Presidente del Consiglio dei Ministri - svolga sue comunicazioni in merito alle posizioni che intenderà assumere in occasione del suddetto Consiglio, tenendo conto degli eventuali indirizzi formulati dal Senato della Repubblica", chiedono i pentastellati. Anche Davide Faraone ed Enrico Borghi, capigruppo di Italia Viva alla Camera e al Senato, hanno inviato una lettera a Fontana e La Russa per chiedere che la premier Meloni riferisca in Aula. "Caro presidente - inizia la lettera - le immagini dello scontro di ieri alla Casa Bianca hanno suscitato angoscia in tutto il mondo, cambiando nei fatti i connotati della politica estera e del quadro internazionale". "Un fatto politico di primaria grandezza, che interpella da vicino tutte le coscienze, che provoca inquietudini in ampi settori dell’opinione pubblica e che esige una riflessione politico-istituzionale nel luogo naturale della nostra democrazia, il Parlamento", proseguono. "All’indomani del vertice che si terrà a Londra domani e prima del Consiglio dell’Unione Europea straordinario del 6 marzo sull’Ucraina è inevitabile ed improcrastinabile che la Presidente del Consiglio venga a riferire nelle Aule di Camera e Senato, al fine di svolgere la naturale funzione di indirizzo che la nostra Costituzione attribuisce alle Camere", chiedono gli esponenti di Iv. Anche Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde a parlamentare Avs, chiede alla premier di riferire in Aula. "Di fronte alla scena volgare e violenta messa in campo da Trump che vuole dominare il mondo con la sua visione autoritaria, la presidente Meloni non prende posizione e fugge ancora una volta. Una ipocrisia inaccettabile e insostenibile", dice Bonelli. "Quello che abbiamo visto ieri è una scena modernamente feudale: Trump si comporta come un padrone del mondo, minacciando dazi, l’uso delle armi e perfino l’annessione di territori. È evidente il suo accordo con Putin per spartirsi le risorse naturali dell’Ucraina, trasformando la pace in una mera merce di scambio. Un atteggiamento che si inserisce in una strategia più ampia, tesa a destabilizzare l’ordine internazionale e a soffiare sul fuoco dei conflitti. E’ la mercificazione della pace", prosegue Bonelli. "In questo contesto, la risposta di Giorgia Meloni sulla necessità di un vertice tra Stati Uniti, Stati europei e alleati appare solo un tentativo di guadagnare tempo ed evitare una scelta netta: o si sta con Trump, i suoi miliardi e i suoi interessi economici, oppure si difendono la democrazia e l’Europa. L’Europa ha il dovere di rafforzare il proprio ruolo diplomatico e di lavorare con determinazione affinché il processo negoziale per la pace in Ucraina vada avanti, senza piegarsi ai diktat di chi vuole riportare il mondo nel caos. Serve un’Europa unita, che diventi un argine sia a Trump che a Putin. Giorgia Meloni venga in Aula a dire da che parte sta: con Putin e Trump o l’Europa”, conclude Bonelli. Per Nicola Fratoianni, "adesso è il momento per l’Europa di entrare seriamente in campo e non con l’uso delle armi, che servono solo ad aumentare i bilanci dei fondi Usa. Raffreddare la spesa militare è la migliore risposta alle politiche brutali di Trump, perché si mettono in discussione gli interessi veri di chi muove i fili in Usa. Anche per il governo Meloni è arrivato il momento di battere un colpo, e la smetta di accodarsi con la destra peggiore, che sia Orban o Trump". "Zelensky chiede giustamente garanzie per il futuro e per la serenità del suo Paese. L’Europa può e deve - conclude Fratoianni - fornire quelle garanzie, aprendo un tavolo per il negoziato subito". Carlo Calenda, leader di Azione, sottolinea che "la resistenza dell’Ucraina dipende dall’Europa. La libertà dell’Europa dipende dalla libertà dell’Ucraina. Lo spettacolo aberrante dato da Trump e Vance ieri alla Casa Bianca dimostra che gli Usa sono con Putin, nemici dell’Europa e dell’Ucraina. Possiamo scegliere se essere vassalli di autocrati e oligarchi o emanciparci, combattere per la nostra libertà e dare forma agli Stati Uniti d’Europa". Calenda ricorda l'appuntamento di domani: "Domenica alle 17.00 ci vediamo in piazza SS Apostoli a Roma; piazza Mercanti a Milano e in tante altre piazze italiane, per ribadire 'Siamo Europei, Siamo Ucraini'. Avanti, l’Europa e l’Ucraina sono più forti di chi le vuole deboli". Matteo Salvini, che ieri ha ripostato il video dell'incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky scrivendo "obiettivo pace, basta con questa guerra! Forza Donald Trump", oggi torna a parlare di Ucraina. "Dopo tre anni di guerra e centinaia di migliaia di morti, è giunta l’ora della Pace - scrive su X il leader della Lega - E se a Bruxelles qualcuno ancora usa toni bellici, come quasi tutti i 'giornalisti' italiani (con poche valorose eccezioni), l’Italia ha il diritto e il dovere di lavorare, insieme agli Stati Uniti e a tutti quelli che con tenacia e coraggio cercano di evitare una Terza Guerra Mondiale, per restituire ai nostri figli un futuro di pace e prosperità". "Dobbiamo cercare di mantenere la calma, essere molto attenti e responsabili - dice Raffaele Nevi, portavoce nazionale di Forza Italia, ospite ad Agorà Weekend - Ognuno esprime le sue posizioni, Matteo Salvini ad esempio, lo sappiamo bene, da tempo è molto affascinato dal presidente Trump, ma al di là di tutto noi dobbiamo costruire le condizioni affinché quello che sta accadendo non sfoci in una nuova tensione tra Europa e Stati Uniti. Dobbiamo cercare di ritrovare le ragioni dello stare insieme e fare in modo di sostenere Zelensky e al tempo stesso dialogare anche con Putin per arrivare alla pace. Non è affatto facile, ma ci dobbiamo provare e questo è ruolo dell'Italia se vuole veramente essere un Paese proattivo, altrimenti ci mettiamo da una parte e tifiamo o per Trump o per Zelensky. Le tifoserie non vanno mai bene in questa situazione, noi dobbiamo essere quelli che provano a far superare l'impasse nella quale l'Occidente evidentemente si trova in questo momento”. Per la Lega replica il deputato Paolo Formentini, vicepresidente della commissione Affari Esteri e responsabile del dipartimento esteri del partito. "La calma invocata da FI è impersonata dalla loro cara Ursula von der Leyen, e sta portando l’Italia e l’intera Europa nel burrone - dichiara - Trump sta imponendo un cambiamento epocale, se noi stiamo ad aspettare Macron e compagnia, imprese e famiglie italiane ne pagheranno il conto. L’Ue nata come sogno ormai è una gabbia di vincoli, regole assurde, tasse e divieti. Evviva la Libertà, evviva Trump". Il governatore del Veneto, Luca Zaia, a margine dell'inaugurazione della fiera di Godega Sant'Urbano (Treviso), commenta: “A seguire all’infinito Zelensky si rischia l’isolamento dell’Europa che non può più sopportare questa guerra. L’Europa deve rimanere agganciata agli Stati Uniti e dare vita a un vero asse Usa-Ue che è quello davvero vincente nel mondo”.
(Adnkronos) - "Non si sa ancora se il caffè sarà una delle categorie merceologiche su cui i dazi verranno imposti, però è ovvio che noi abbiamo iniziato a pensare e già da diverse settimane, visto che il Presidente Trump aveva già annunciato questa sua intenzione in passato, a valutare la possibilità di produrre anche negli Stati Uniti, ovviamente esclusivamente per il mercato americano e questo per ridurre l'impatto di eventuali dazi su produzioni europee, come appunto la nostra. Ovviamente questa valutazione è in corso, vedremo nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, non è una decisione che si prende su due piedi". Così, in un'intervista con Adnkronos/Labitalia, Cristina Scocchia, ad di illycaffè, sull'annuncio da parte del presidente Trump di dazi al 25% sui prodotti europei in entrata negli stati Uniti. Scocchia ricorda che attualmente illycaffè "importa il caffè verde, la materia prima, da nove Paesi equatoriali, che vanno dal Brasile a Costa Rica, dal Guatemala alla Colombia fino all'Etiopia, fino all'India". "Tutto il caffè verde arriva in Italia, a Trieste. E solo a Trieste noi tostiamo il caffè e lo trasformiamo in barattoli da 250 grammi piuttosto che in barattoli da tre chili o da cinque chili per il nostro canale Horeca. Quindi noi siamo pienamente 'made in Italy', importiamo la materia prima a Trieste, e da qui esportiamo in 140 Paesi del mondo quello che è il prodotto finito", sottolinea. E l'ad sottolinea che "l'export verso gli Usa ad oggi per noi pesa il 20%. Abbiamo l'Italia che rimane il primo Paese col 30% circa del fatturato, il secondo Paese sono gli Stati Uniti, quindi per noi è molto importante, pesa un quinto dell'azienda". Illycaffè resta made in Italy Per illycaffè Trieste è e resta il fulcro dell'azienda. "A Trieste abbiamo non solo il cuore, abbiamo le origini, abbiamo il Dna e tutta la produzione. In questo momento di tempesta perfetta, abbiamo avuto comunque il coraggio di confermare 120 milioni di investimenti a Trieste, che non sono pochi. Pochi mesi fa abbiamo aperto il cantiere per costruire una nuova tosteria, vogliamo raddoppiare la capacità produttiva. Non siamo andati a cercare paesi esteri dove costa di meno la manodopera o altro, siamo rimasti fieramente italiani e quindi io credo che questo per noi sia veramente un fattore distintivo". "Per l'aumento della capacità produttiva abbiamo già assunto un'ottantina di persone, ma appunto siamo solo all'inizio e il bello devono ancora venire", sottolinea. Sui dazi serve una risposta europea Tornando ai dazi Usa per Scocchia "al di là della risposta che può dare la singola azienda, cioè capire se può o non può andare a produrre parte dei propri prodotti sul territorio americano, quello che sarebbe importante in questo momento è elevare lo sguardo e chiedersi cosa potrebbe fare l'Europa per proteggere le aziende europee. E' il momento di intervenire, le aziende non possono andare in ordine sparso a tutelare la propria competitività, la propria possibilità di esportare da sole. Ci vuole appunto una negoziazione a livello europeo", sottolinea. Secondo Scocchia, "il problema vero è che in questo momento è difficile per l'Europa ovviamente negoziare con gli Stati Uniti, perché l'Europa si trova in una situazione di fragilità economica e di grande dipendenza dall'export". "La crescita negli ultimi anni in Europa è stata molto contenuta, si può dire che l'economia sia stata stagnante. Questo non è mai un punto di forza e in più il 55% del nostro prodotto interno lordo dipende dalle esportazioni e questo ci rende molto vulnerabili, molto fragili. Se noi guardiamo la Cina solo il 37% del Pil cinese è export e se guardiamo gli Stati Uniti addirittura il 25%. Quindi loro sono molto forti come crescita interna, il che dà loro una autonomia e quindi una forza negoziale decisamente diversa dalla nostra", sottolinea. "Posto quindi che l'Europa è in una situazione di fragilità, comunque -sottolinea Scocchia- questo è il momento di intervenire. L'Europa si è sempre costituita e rafforzata nei momenti di crisi, questo è decisamente un momento di crisi, e quindi è un momento in cui ci si aspetta che l'Europa si rafforzi e faccia la sua parte. Perché avvenga, però, è necessario -chiede la manager- che l'Europa innanzitutto acceleri sul processo di integrazione, acceleri sulla messa a fattore comune di ingenti risorse che poi vanno allocate sulle priorità strategiche. In questo momento le priorità strategiche devono essere l'autosufficienza energetica, la difesa comune e gli investimenti in tecnologia. E poi serve un piano industriale, un industrial deal che in Europa non c'è mai stato, perché questo è il momento di proteggere sia l'innovazione, quindi le aziende di tecnologia, sia le aziende tradizionali come noi", aggiunge. La tempesta perfetta sul mercato del caffè "Per il mercato del caffè -spiega Scocchia- siamo in una situazione di tempesta perfetta, mancavano solo i dazi di Trump, che ha appena annunciato. Perché siamo in una situazione di tempesta perfetta? Perché il costo della materia prima, che è il cosiddetto caffè verde, è rimasto stabile a 100-130 centesimi per libra per 6 anni, tra il 2015 e il 2021. Dopodiché è raddoppiato in soli due anni, arrivando l'anno scorso a 250 centesimi per libra. Quindi se si passa da 100-130 a 250 è ovviamente un bel salto. Quando noi speravamo, noi tutti nel settore del caffè, che iniziasse la discesa da questo picco di 250, in realtà quella che è iniziata è una vera e propria accelerazione, che ha portato il caffè verde a 430 centesimi per libra proprio poche settimane fa. E poche settimane fa è stato raggiunto questo record storico, che non si vedeva da oltre 70 anni, di 430 centesimi per libra", sottolinea. Secondo Scocchia, le ragioni di questa situazione sul mercato del caffè sono diverse. "Ce n'è una più strategica, di lungo termine, che è -spiega- il cambiamento climatico. Ovviamente, negli ultimi anni ci sono stati dei fenomeni meteo avversi, piogge torrenziali, siccità, che si sono alternate in Brasile e in Vietnam, che sono i primi due paesi al mondo a livello di produzione. Però, al di là dei fenomeni climatici che hanno ovviamente ridotto l'offerta e di conseguenza hanno fatto alzare il prezzo, è arrivato anche il problema del canale di Suez, che per diversi mesi non è stato possibile attraversare e questo ha comportato i 20 giorni in più di circumnavigazione dell'Africa. Ma ultimo, e non ultimo, sono arrivate le speculazioni. Perché? Perché il caffè verde è una soft commodity e le speculazioni sulle soft commodities sono state fortissime", aggiunge ancora. Il ruolo delle speculazioni "A dire il vero, se guardiamo proprio gli ultimi mesi, è la speculazione -sottolinea Scocchia- che tiene alto il prezzo del caffè verde, la nostra materia prima, non l'economia reale. Perché? Perché se è vero, come è vero, che negli ultimi anni i fenomeni meteo avversi ci sono stati, è altrettanto vero che negli ultimi mesi non si sono verificati. Sì, in Brasile in queste settimane piove un po' meno della media storica, ma nulla di drammatico, nulla che possa far pensare che il raccolto abbia un livello qualitativo e quantitativo inferiore alle attese. Quindi, non ci sono fenomeni meteo drammatici, il canale di Suez è in via di risoluzione, le navi nelle ultime settimane hanno reiniziato ad attraversarlo, eppure il prezzo, invece che tornare basso, rimane intorno ai 370 centesimi per libra. Questo perché le speculazioni, quindi la finanza, la sta facendo da padrona rispetto all'economia reale", ribadisce la manager. Tazzina al bar a 1,20-1,50 euro, crescerà ancora "Negli ultimi tre anni -spiega Scocchia- il prezzo della tazzina di caffè al bar è aumentato del 15%, a cui vanno aggiunti gli ulteriori incrementi degli ultimi due mesi che non sono ricompresi. Dal nostro osservatorio, possiamo dire che la media nazionale è tra 1,20 e 1,50 euro per tazzina, a seconda che lo si consumi a Nord o a Sud, in una città grande rispetto a città di provincia, però la media è tra 1,20 e 1,50 euro. E onestamente tutte le indicazioni che abbiamo ci parlano di un aumento che potrebbe essere intorno al 15% ulteriore nei prossimi mesi, proprio perché, se il costo caffè verde materia prima rimane così alto, è evidente che le aziende non abbiano scelta e debbano riversare a valle una parte di questo aumento della materia prima". Ottimismo su economia italiana, bene 'primus inter pares' con Usa "Così come in questo momento non sono molto ottimista sull'Europa, perché l'economia stagnante è una grande debolezza così come lo è il fatto che la maggior parte del Pil arriva dalla domanda estera e non da quella interna, al contrario sono ottimista -spiega Scocchia- per quanto riguarda l'economia italiana. Innanzitutto, abbiamo chiuso il 2023 con un +0,7%, il 2024 si stima sia stato chiuso con un +0,5%, quindi è vero che sono 'zero virgola', però ci stiamo comportando molto meglio di Paesi vicini; in più negli ultimi due anni è cresciuta l'occupazione di 830mila persone, la disoccupazione si è ridotta di mezzo milione, il tasso di disoccupazione è al 4% ai minimi storici. In più abbiamo acquisito di recente una posizione di 'primus inter pares' nei rapporti con gli Stati Uniti e questo, va ammesso, è un bel vantaggio competitivo. Finalmente possiamo giocarci le nostre carte come Italia". Secondo Scocchia, "ci sono tanti segnali positivi sull'economia italiana che ci fanno ben sperare, ci fanno capire che è vero che la strada è ancora lunga, però stiamo recuperando negli ultimi due anni le posizioni perse in passato". "Questo è rassicurante per un'azienda appunto fieramente italiana come siamo noi", aggiunge. E sull'intervento del governo sulle bollette energetiche conclude: "E' incoraggiante vedere che ci sia attenzione a problematiche quali il caro energia, perché è ovvio che quando parliamo di competizione globale vuol dire che le nostre aziende si confrontano con aziende americane che hanno appunto un mercato di sbocco più ampio, meno regolamentazione, un costo della bolletta inferiore, hanno supporti che in Europa non abbiamo. Quindi, questa attenzione ulteriore è un segnale positivo", conclude. (di Fabio Paluccio)
(Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano. In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine. Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche. Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri. Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.