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(Adnkronos) - "Oltre ad avere un titolo bellissimo è un libro che disegna un'identità attraverso un percorso. Un'analisi lucida, storica, morfologica e orografica di quella che è la morfologia della nostra Italia centrale, con dei riferimenti colti e molto precisi alle nostre origini. E poi entra nel vivo dei problemi che Guido Castelli conosceva ancor prima di affrontarli ed è la ragione per cui è stato scelto come uno dei più qualificati per rendere operativa l'applicazione di tutto quello che è l'impegno dei fondi del Pnrr e non soltanto”. Lo ha detto il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, intervenendo oggi allo stand della Regione Lazio al Roma Convention center, in occasione della Fiera nazionale della piccola e media Editoria ‘Più libri, più liberi’, dove è stato presentato, in anteprima, il libro ‘Mediae Terrae’ di Guido Castelli, commissario straordinario Sisma 2016. Un libro che racconta la ricostruzione l’Appennino centrale dopo il sisma 2016-2017: “Nel libro c'è una visione del mondo che si basa su cerchi concentrici - riprende il ministro - Nasce da un territorio che abbiamo definito ‘cratere’, da una consapevolezza precisa e realistica, quasi da eroismo tragico caratteristico dell'Italia migliore. Siamo effettivamente figli del terremoto - continua Giuli -. Il moto della terra in Italia è rappresentato da faglie sismiche potentissime, oltre che da fenomeni di vulcanismo primario e secondario che, dall'origine della nostra civiltà, hanno caratterizzato il nostro modo di abitare la Penisola. Quando viene a mancare la custodia dell'uomo nei confronti della natura e il rapporto dialettico tra la natura e l'uomo, viene a mancare l'equilibrio su cui poggia l'esistenza dell'ecosistema. La vita nel ‘cratere’ ci costringe ogni giorno a ripensare la nostra contemporaneità sulla base di un radicamento che deve per forza trovare una nuova forma espressiva”. "Il terremoto non è soltanto il demone quotidiano che ci deve rendere consapevoli che ogni giorno può essere quel giorno - dice il ministro - Il terremoto è uno sprigionarsi di energia che deve renderci consapevoli della nostra coscienza storica, del nostro posto nella geografia e nella storia. Ogni tipo di movimento sismico, ogni tipo di tragedia nella nostra tradizione nazionale, nelle nostre comunità locali, è sempre stato l'occasione per ripensare a noi stessi, per radicarsi più profondamente nella nostra identità e per guardare avanti”, le sue parole.
(Adnkronos) - Se da un lato aumentano gli investimenti nel benessere dei lavoratori, dall’altro le loro condizioni di salute, soprattutto mentale, mostrano segnali di peggioramento, evidenziando un disallineamento tra le risorse stanziate e l’effettiva efficacia delle iniziative proposte. Ecco che quindi si parla di 'carewashing', un termine che indica la discrepanza tra la retorica dell’azienda sulla cultura della cura e la reale esperienza quotidiana dei dipendenti: alcune aziende tendono sostanzialmente a costruire un’immagine di realtà attenta al benessere dei propri dipendenti, seppure non sempre supportata da azioni concrete in tal senso. “Questa mancanza di coerenza - commenta Marika Delli Ficorelli, head of hr di Zeta service, azienda italiana specializzata nei servizi hr e payroll e pluripremiata in termini di welfare e gestione flessibile dei dipendenti - è molto spesso la causa dell’insoddisfazione delle persone. Ad esempio, promuovere un workshop sulla salute mentale nel quale vengono fornite indicazioni su come stabilire confini appropriati tra lavoro e vita privata e, al contempo, non monitorare i carichi di lavoro, inducendo le persone a sacrificare il proprio tempo personale per rispondere a scadenze serrate, mostra come un’iniziativa potenzialmente virtuosa, possa al contrario rivelarsi un boomerang per l’azienda che l’ha promossa. La fiducia verso il management e la capacità di guardare al proprio futuro con positività vengono drasticamente compromesse, rendendo inefficaci anche le migliori iniziative di benessere”. Un disallineamento, dunque, che si riflette nella crescente sfiducia verso le politiche dichiarate dai datori di lavoro: secondo un’indagine Gallup, la percentuale di lavoratori che a livello globale percepisce un sincero impegno dell’azienda verso il proprio benessere è crollata drasticamente, passando dal 49% nel 2020 al 21% nel 2024, con una riduzione del 57%. Il 79% dei dipendenti, dunque, ritiene che la propria azienda non si preoccupi davvero del proprio benessere complessivo. Infatti, negli ultimi anni, i dipendenti hanno sperimentato livelli sempre più alti di emozioni negative quotidiane sul posto di lavoro, come stress (41%), preoccupazione (38%), tristezza (22%) e rabbia (21%). Disimpegno e demotivazione sono le conseguenze, con costi per l'economia globale di 8,9 trilioni di dollari, ovvero il 9% del PIL mondiale. Non a caso l'occupazione è associata ad alti livelli di soddisfazione quotidiana e a bassi livelli delle emozioni negative. Inoltre, venendo meno l’impegno e il benessere dei dipendenti, il turnover diventa sempre più frequente: secondo il report State of the Global Workplace” di Gallup, i cosiddetti 'quiet quitters' hanno infatti indicato che il miglioramento del benessere sul lavoro è considerato un obiettivo più importante rispetto all'aumento della retribuzione. “La sfida - commenta Delli Ficorelli - è costruire un ambiente di lavoro permeato da trasparenza, coerenza e fiducia, in cui le persone percepiscano un reale ascolto delle proprie esigenze e si sentano in questo senso valorizzate, un ambiente nel quale gli obiettivi di produttività che l’azienda si pone riescano a dialogare costantemente con l’impatto che questi avranno sulle persone. Dobbiamo infatti avere chiaro che il benessere non solo influisce sull’engagement delle persone, ma ha anche un impatto diretto sulla performance complessiva dell'azienda In questo senso risulta essenziale costruire una people strategy che parta dall’ascolto delle persone e che guidi la realizzazione di azioni che sappiano rispondere agli specifici bisogni”. Per evitare il carewashing, le organizzazioni devono costruire una cultura aziendale autentica, basata su fiducia reciproca, empatia, sicurezza psicologica e integrità. Ma per raggiungere questi obiettivi ci sono otto azioni concrete che Zeta Service suggerisce a leader e aziende. 1) Garantire coerenza tra parole ed azioni: l’impegno e l’investimento delle aziende dovrebbero essere coerenti con i valori sui quali si fondano. 2) Coinvolgere le proprie persone: creare un clima di ascolto autentico e condurre valutazioni periodiche che permettano di comprendere le esigenze delle persone e di monitorare l’impatto delle proprie iniziative coinvolgendo collaboratori e collaboratrici, clienti e fornitori nelle decisioni che riguardano i benefit ed i servizi. Questo può avvenire tramite sondaggi, tavoli di lavoro e consulenze aperte, che rendono l’impegno aziendale più partecipato e reale. Per questo motivo Zeta Service ha sviluppato, con il supporto dell'Università Sapienza di Roma, Eleva people value, uno strumento che consente di analizzare e monitorare il clima aziendale, offrendo alle imprese dati concreti per predisporre poi interventi mirati. 3) Rendere trasparente l’impatto delle proprie iniziative: pubblicare dati dettagliati e report trasparenti sui risultati delle iniziative. Questo può includere il monitoraggio e la pubblicazione di indicatori chiave di performance che permettano di dimostrare con concretezza i progressi e i risultati raggiunti. 4) Dare risposte diverse a seconda dei bisogni: personalizzare la proposta di valore con iniziative customizzate, evitando risposte standardizzate su un’idea avulsa dal contesto e dal target di riferimento. 5) Favorire lo sviluppo di una leadership consapevole: l’impegno verso pratiche autentiche dovrebbe essere parte della cultura aziendale. Investire in programmi di formazione, prima sulle linee di leadership e a seguire sul resto della popolazione, può aiutare a diffondere i valori sociali e ambientali e a far sì che l’intera azienda si muova in modo coerente. 6) Investire in progetti a lungo termine: impegnarsi in programmi di lungo periodo, con un impatto reale e sostenibile, evitando iniziative o promozioni legate a eventi specifici e trend del momento. 7) Ottenere certificazioni e standard esterni da enti indipendenti: certificazioni come la ISO 9001 o la UNI/PdR 125:2022 per la parità di genere, che per loro natura prevedono un monitoraggio costante interno e assessment di verifica annuali, offrono garanzie per collaboratori e collaboratrici, clienti e fornitori, migliorano e garantiscono la credibilità delle iniziative, validando l’impegno dell’azienda verso standard sociali e ambientali. 8) Favorire la responsabilità e l’accountability: rendere responsabili le figure chiave per i risultati può aiutare a mantenere l’impegno e la trasparenza a lungo termine.
(Adnkronos) - “Sostenibilità sociale vuol prendersi carico della felicità delle persone, far sì che ognuno possa fiorire secondo la propria natura con pari opportunità. È fra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu. Dal prossimo anno, circa 7.800 aziende italiane dovranno inserire indicatori sociali nel bilancio di sostenibilità. Tuttavia, a differenza di quanto accade per la sostenibilità ambientale, in quest’ambito c’è un ritardo di mezzo secolo in termini di parametri, certificazioni e requisiti". Lo ha detto Eugenia Romanelli, direttrice artistica della manifestazione, founder di rewriters.it e Ceo ReWorld, in occasione della quarta edizione del ReWriters fest, il festival europeo dedicato alla sostenibilità sociale che si è svolto a Roma presso l’Università La Sapienza. "Per queste ragioni, attraverso l’impresa sociale ReWorld, abbiamo trasformato il Manifesto Etico di Sostenibilità Sociale, che dà origine al ReWriters Fest, e alla testata di Advocacy Journalist, in un rating definito da Sapienza Università di Roma e ottimizzato da Aecom Strategic Consulting. Con il ReWriters Fest, da un lato cerchiamo di aiutare le organizzazioni a misurarsi, posizionarsi e raccontarsi sulla sostenibilità sociale, e dall’altro parliamo alla società civile, alla comunità accademica, alle imprese, alle istituzioni, di temi tanto attuali quanto divisivi, come ad esempio la violenza sulle donne, il body shaming o l’etica delle nuove tecnologie. Problematiche universali che riguardano il mondo che lasceremo a chi verrà dopo di noi”, conclude la direttrice artistica del ReWriters Fest.