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(Adnkronos) - L'Ucraina ottiene un successo parziale a Pokrovsk, la città del Donetsk da mesi fulcro della guerra con la Russia. I militari del reggimento ucraino di assalto 'Skelia' hanno liberato il palazzo del consiglio comunaledagli invasori russi ed hanno issato la bandiera ucraina", riferisce Ukrinform citato un comunicato pubblicato su Telegram dal reggimento. I militari di Kiev affermano che "le truppe di assalto hanno riportato la bandiera ucraina nell'edificio del consiglio comunale di Pokrovsk". L'operazione rappresenta un successo più a livello di immagine che sostanziale. Il quadro nell'area della città - snodo logistico fondamentale per il controllo di ferrovie, arterie stradali e vie di rifornimento - rimane critico per i soldati ucraini. L'analisi dell'Institute for the study of war (Isw), il think tank statunitense che monitora il conflitto dall'inizio, evidenzia la costante pressione delle forze di Mosca. Le recenti avanzate russe sono il coronamento di una campagna durata 21 mesi per conquistare la città e di uno sforzo di 'interdizione aerea' sul campo di battaglia durato cinque mesi per ridurre le capacità difensive ucraine. I reparti russi hanno compiuto progressi grazie in particolare alle azioni che hanno limitato le le capacità dei droni ucraini. Le forze di Mosca stanno inviando a Pokrovsk ogni giorno quasi 100 squadre di fuoco composte da un massimo di tre uomini ciascuna. Il pressing degli invasori è tale da impedire che gli operatori ucraini riescano a lanciare i droni in maniera efficace. Questa strategia si unisce agli attacchi aerei che colpiscono obiettivi nella parte posteriore della prima linea di Kiev per influenzare le operazioni sul campo di battaglia nel breve termine: i soldati ucraini non possono utilizzare linee logistiche cruciali e strutture necessarie per sostenere le operazioni sul campo di battaglia. Le forze russe hanno impiegato 21 mesi per avanzare di 39 chilometri (poco più di 24 miglia) da Avdiivka a Pokrovsk. L'offensiva è iniziata a febbraio 2024, ricorda l'Isw. Gli attacchi frontali, per quasi tutto lo scorso anno, non hanno prodotto sfondamenti. Il copione è cambiato quest'estate, a luglio. Mosca ha introdotto nuovi droni, ha modificato la propria strategia limitando i movimenti delle truppe ucraine, le evacuazioni e le operazioni di logistica. Gli attacchi a ondate non sono stati accantonati, ma sono stati affiancati da blitz di unità ridotte. La pressione degli invasori è notevole a nord della città. Scontri sono segnalati anche lungo l'autostrada M-30 Pokrovsk-Pavlohrad a sud-est dell'insediamento. Le forze ucraine, secondo l'analisi, provano a rispondere a nord-ovest e anche sul lato orientale. Kiev e Mosca enfatizzano rispettivi successi, evidenziano progressi di poche centinaia di metri e avanzamenti che non modificano il quadro sostanziale. In questo contesto, in cui anche la gestione dell'informazione è un elemento inserito nel puzzle, immagini come la bandiera issata sul palazzo del consiglio comunale assumono un valore simbolico che va - probabilmente - oltre la reale portata del risultato.
(Adnkronos) - "E' una manovra luci e ombre, perché vi sono indubbiamente alcuni aspetti positivi ma anche altri che non condividiamo. In primis, è positivo una tenuta forte dei conti pubblici, perché avere uno spread di 76 punti base significa avere minori interessi sul debito pubblico e quindi tendenzialmente maggiori risorse che vengono investite sul sistema". Così, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Cristian Camisa, presidente nazionale di Confapi, la Confederazione italiana della piccola e media industria privata, analizza la manovra economica del governo. Per Camisa, "altra cosa positiva è il rifinanziamento della Sabatini, che è comunque uno strumento importante per il mondo delle imprese, così come la sterilizzazione della plastic tax e della sugar tax", sottolinea. Secondo il numero uno di Confapi nel provvedimento del governo manca "una visione di politica industriale a lungo termine. Noi siamo imprenditori, siamo abituati a programmare, ad avere una programmazione pluriennale e quindi ci aspettiamo anche che i provvedimenti vadano in questa direzione", sottolinea. "Ad esempio -spiega Camisa- noi reputavamo il credito di imposta uno strumento estremamente importante, perché è già conosciuto dal nostro mondo, già utilizzato con l'industria 4.0, ma anche con 5.0, seppur con le difficoltà legate ai vincoli europei. Ritornare al superammortamento, all'iperammortamento significa privilegiare la grande industria, perché tutti gli studi e tutte le nostre esperienze ci dicono che questo strumento è utilizzato per la gran parte dalla grande industria, soprattutto perché lo si utilizza nel momento in cui si fanno degli utili. Mentre il credito di imposta -insiste Camisa- era fondamentale in una fase come questa, perché noi stiamo vivendo e andremo a vivere nei prossimi due o tre anni delle sfide epocali, tra cui quelle legate alla digitalizzazione e alla sostenibilità, che se non vinte rischiano di farci andare fuori mercato". "Altri punti non condivisibili -spiega- sono quello della tassazione sui dividendi per quelle anticipazioni sotto il 10%, perché da un lato aumenta la tassazione dall'1,2% al 24%, ma anche perché va a scoraggiare tutta una serie di investimenti in capitale di rischio che sono fondamentali anche per le nostre imprese. E soprattutto, ad esempio, tutte le imprese che sono all'interno delle filiere hanno a volte le partecipazioni incrociate, e quindi si arriva a una doppia tassazione che porta la tassazione complessiva su queste partecipazioni al 57,3%. E quindi non è condivisibile". E Camisa auspica, in conclusione, una "modifica sul tema del payback sanitario per le pmi, non solo una tassa inigua, ma anche insostenibile per le piccole e medie imprese e che rischia di portarle al collasso", ribadisce. Gli effetti dei dazi Usa Ma ad angosciare le pmi industriali sono gli effetti dei dazi Usa. "Il mercato statunitense -sottolinea Camisa- incide per il 10% dell'export complessivo italiano e quindi alcuni dazi, in particolare quello del 50% su acciaio e alluminio, quelli sulla pasta ma anche su altri prodotti stanno creando un danno potenziale estremamente importante per le nostre aziende quantificabile secondo uno studio recente in 20 miliardi di euro. Noi stiamo realizzando uno studio per avere una quantificazione complessiva sugli effetti sul mondo delle pmi industriali, ma possiamo già dire che di questi 20 miliardi all'incirca il 50%, e cioè 10 miliardi, è un danno riconducibile alle pmi industriali", sottolinea. E Camisa sottolinea che "a soffrire per i dazi sono sicuramente le industrie agroalimentari perché questa tassazione soprattutto su beni di consumo sta portando il livello dei prezzi a una condizione che comincia a diventare insostenibile, anche perché non dimentichiamoci che oltre il dazio del 15% su tanti prodotti c'è stato un deprezzamento del dollaro nei confronti dell'euro di circa il 13%, quindi l'aumento reale sul costo dei prodotti si avvicina al 30%, e tutto questo porta a una diminuzione importante dei consumi di certi beni di prima necessità", chiarisce. Secondo il presidente di Confapi il governo la manovra può essere un'occasione per agire a sostegno delle aziende che stanno subendo gli effetti dei dazi di Trump. "La nostra proposta -spiega Camisa- è di inserire in Manovra una 'sterilizzazione', attraverso un credito di imposta, dell'effetto dei dazi Usa sulle imprese italiane, che vada a compensare il peso di questi costi in più per le aziende che esportano negli Stati Uniti. E' un modo per dare respiro alle aziende, per poter fare una programmazione a medio e lungo termine perché purtroppo soprattutto per una pmi industriale cercare un nuovo mercato non è una questione di mesi ma di anni. E quindi, almeno a breve termine, è indispensabile avere un supporto, seppur consapevoli che le risorse non sono infinite, per non rischiare di fare entrare in crisi aziende per una decisione unilaterale che non è sicuramente frutto di una mala gestione dell'imprenditore", sottolinea. La crisi dell'automotive Le piccole e medie imprese industriali del settore dell'automotive in Italia "vivono una situazione molto negativa, questo è uno dei lati maggiormente dolenti per noi, e su questo auspico una grande moral suasion da parte del governo anche perché le ultime dichiarazioni dell'amministratore delegato di Stellantis, Filosa, sul mercato statunitense come principale mercato per l'investimento e su quello francese come secondo mercato di riferimento fanno pensare che si stia un po' dimenticando il mercato italiano. Noi abbiamo tantissime aziende che lavorano per fornitori di Stellantis che stanno chiudendo o sono in liquidazione perché senza ordini", spiega Camisa. "Noi rappresentiamo -continua Camisa- tantissime aziende del'industria dell'auto, in particolare nella zona piemontese, ma chiaramente non solo. Molto spesso rappresentiamo le seconde aziende di indotto all'industria, ma quelle che forniscono a fornitori di Stellantis. E da un momento all'altro aziende solide, capitalizzate, che avevano un business assolutamente fluido, si sono trovate senza un ordine perché le prime aziende dell'indotto hanno internalizzato tutta la produzione lasciando senza commesse le aziende di piccola e media dimensione", sottolinea. Uno shock "che sta portando queste aziende alla chiusura, alla liquidazione e qualsiasi idea, che pur è benvenuta, di riconversione non può essere fatta anche qui in poche settimane, in pochi mesi. Quindi anche su questo, seppur nelle difficoltà, è necessario un segnale per queste aziende perché questa riconversione possa essere supportata anche da strumenti di aiuto", sottolinea ancora Camisa. Il focus energia "Penso che il tema su cui il sistema Paese debba concentrarsi a lungo termine -spiega Camisa- è quello del nucleare, perché noi non possiamo avere oggi centrali nucleari ai confini e non avere un sistema nostro che vada in quella direzione e che possa finalmente e definitivamente dare una risposta alle richieste del sistema industriale italiano" sull'energia. Secondo Camisa, infatti, "il tema energia è uno di quelli focali" per il Paese "perché noi abbiamo mediamente un costo dell'energia che è molto maggiore rispetto ai nostri competitor". "Abbiamo auspicato che si possa agire su due livelli. Uno: finalmente si vada a definire una politica energetica europea, perché è impensabile in una situazione come quella in cui siamo che le nostre industrie debbano partire fin da subito con dei gap competitivi estremamente importanti rispetto al resto d'Europa. A livello governativo abbiamo chiesto alcune cose importanti: innanzitutto agire sull'azzeramento degli oneri di sistema che sono una componente significativa e su cui ci si è dimenticati di includere le piccole e medie industrie. E poi come strategia a medio termine, strategie di autoproduzione e autoconsumo, quindi cercare di dare degli incentivi per le batterie di accumulo su impianti fotovoltaici esistenti, ma anche incentivi al revamping e al repowering", dice. "Per finire -conclude- dei fondi di garanzia per i gruppi d'acquisto di energia per le piccole industrie, perché attraverso questi si può permettere alle aziende chiaramente di avere un potenziale completamente diverso nei confronti dei fornitori in tema di forza contrattuale e quindi in qualche modo di andare a ridurre i costi dell'energia stessa", conclude. (di Fabio Paluccio)
(Adnkronos) - Lo stato di salute della green economy in Italia registra luci ed ombre. Nel 2024 le emissioni di gas serra diminuiscono troppo poco; aumentano i consumi finali di energia per edifici e trasporti e si importa troppa energia dall’estero; il consumo di suolo non si arresta; la mobilità sostenibile si scontra con 701 auto ogni 1000 abitanti, il numero più alto d’Europa. Dall’altro lato, la produzione di energia elettrica da rinnovabili è arrivata al 49% di tutta la generazione nazionale di elettricità, l’Italia mantiene il suo primato europeo in economia circolare, l’agricoltura biologica cresce del 24% nel 2024 e le città italiane mostrano vivacità nella transizione ecologica. È questa la fotografia dell’Italia della Green Economy contenuta nella Relazione sullo Stato della Green Economy 2025 presentata oggi in apertura degli Stati Generali della Green Economy, il summit verde promosso dal Consiglio Nazionale della Green Economy e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. “L’Italia, con le sue leadership in settori fondamentali come l'economia circolare, ha le carte in regola per essere nel gruppo di testa di un'Europa che guardi alla transizione in modo realistico e pragmatico. In un contesto complesso sotto il profilo geopolitico e di profondi cambiamenti climatici, il nostro continente deve investire in innovazione, crescita sostenibile e sicurezza energetica - osserva Gilberto Pichetto, ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica - L'Italia delle imprese impegnate nella Green Economy è un esempio da seguire per l'economia del futuro". “Abbiamo messo al centro di questa edizione un tema cruciale per il nostro paese - osserva Edo Ronchi, presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile - conviene o meno all’Italia tornare indietro nella transizione ad una Green Economy decarbonizzata, circolare e che tutela il capitale naturale? Noi riteniamo di no, anche alla luce dell’impatto positivo sull’economia italiana avuto con i progetti del Pnrr, nei quali è stato rilevante l’aspetto della sostenibilità ambientale. Senza il Pnrr, il Pil italiano sarebbe stato in stagnazione o, addirittura, in recessione e sarebbe stato molto difficile contenere il deficit al 3%. Per l’Italia, al centro dell’hot spot climatico del Mediterraneo, con un aumento delle temperature che corre il doppio della media mondiale, la transizione energetica e climatica è di vitale importanza”. Dal 1990 al 2024 sono state ridotte complessivamente del 28% ma nel solo 2024 il taglio delle emissioni di gas serra è stato di poco più di 7 milioni di tonnellate, neanche un -2% su base annua: un quarto della diminuzione registrata nel 2023. Per raggiungere l’obiettivo assegnato all’Italia nell’ambito del burden sharing europeo del 43% al 2030, occorre tagliarle di un altro 15% nei rimanenti 6 anni. In Italia il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre con oltre 3.600 eventi climatici estremi, quattro volte quelli del 2018. Dal 2005 al 2024, in Italia i consumi di energia per unità di ricchezza prodotta si sono ridotti del 28% (meno della media europea del 35%). L’Italia rimane inoltre fra i Paesi europei con la più alta dipendenza energetica dall’estero. Per i consumi finali di energia, le stime per il 2024 non sono positive: i consumi registrano un aumento di circa l’1,5%, da ricondursi interamente ai settori degli edifici e dei trasporti, che si confermano i veri settori 'hard to abate' per l’Italia. Nel 2024 la produzione di elettricità da rinnovabili ha superato i 130 miliardi di kWh, al 49% della generazione di elettricità, in traiettoria col target del Pniec del 70% al 2030. Ma i dati del primo semestre del 2025 - si legge nell'analisi - mostrano un nuovo possibile rallentamento del 17% per le nuove installazioni di eolico e fotovoltaico rispetto al primo semestre del 2024, probabilmente per la fine del superbonus del 110% e per la frenata attivata da alcune Regioni. "Più efficienza, maggiore risparmio energetico e un forte sviluppo delle rinnovabili sono essenziali non solo per la decarbonizzazione, ma anche per ridurre in Italia i costi dell’energia e aumentare la competitività", rimarca il report. La transizione verso una maggiore circolarità dell’economia è particolarmente importante per l’Italia che utilizza grandi quantità di materiali che importa per il 46,6%. L’Italia ha le migliori performance di circolarità fra i grandi Paesi europei per la produttività delle risorse, cresciuta dal 2020 al 2024 del 32%, da 3,6 a 4,7 €/kg; per il tasso di utilizzo circolare dei materiali, che nel 2023 ha raggiunto il 20,8; per il tasso di riciclo dell’86% del totale dei rifiuti e per il 75,6% di riciclo degli imballaggi. Attenzione però al mercato delle Mps, in particolare quello della plastica riciclata che è precipitato in una forte crisi e che, se non risolta, potrebbe produrre ricadute negative anche sugli sbocchi delle raccolte differenziate, si evidenzia. In Italia, benché nel 2024 abbiamo raggiunto il record europeo di 701 auto ogni 1000 abitanti (571 la media Ue), la produzione è scesa ai minimi storici, a 310mila unità, con una quota, ormai marginale, del 2,1%, della produzione di auto in Europa. Non solo: si stanno accumulando ritardi anche nell’industria automobilistica del futuro, quella delle auto elettriche, calate del 13% nel 2024, con una quota di mercato in diminuzione dall'8,6% al 7,6%, un terzo della media Ue che è al 22,7%. Benzina e diesel alimentano ancora l’82,5% del parco auto che invecchia ogni anno di più, è arrivato a una media di 12,8 anni. Tra il 1980 e il 2023 in Italia i danni causati all’agricoltura da eventi atmosferici estremi sono stati pari a 135 miliardi di euro, il dato più elevato in Europa. "È essenziale che l’agricoltura italiana sia più coinvolta nella transizione climatica, con misure di adattamento e mitigazione", si segnala nell'analisi. L’Italia è il Paese europeo con il più elevato numero di prodotti Dop, Igp, Stg: nel 2023 sono stati 856. Cresce ormai ogni anno l’agricoltura biologica. Nel 2024 la somma delle aree certificate e in conversione è stata di 2.514.596 con un incremento del 2,4% rispetto all’anno precedente e dell’81,2% in confronto al 2014. La Sicilia continua a essere la regione con la maggiore estensione in valore assoluto (402.779), seguita da Puglia e Toscana. Queste tre regioni concentrano il 38% di tutta la superficie biologica nazionale. Tra il 2022 e il 2023 il consumo di suolo in Italia è stato di 64,4 km2 circa 17,6 ettari al giorno, il terzo valore più alto dal 2012. L’impermeabilizzazione del suolo aumenta il deflusso superficiale e riduce la capacità di assorbimento delle piogge, contribuendo ad aumentare gli impatti degli eventi atmosferici estremi. In termini di impermeabilizzazione, tra i capoluoghi delle Città Metropolitane, si segnala che Napoli con il 34,7% e Milano con il 31,8%, hanno i valori più elevati, mentre Messina (6%), Reggio Calabria (5,8%) e Palermo (5,7%) registrano le minori percentuali. Le città italiane sono molto esposte ai rischi della crisi climatica. Nei mesi estivi del 2024, il 90,6% della popolazione residente nelle città italiane è stata esposta a temperature medie superiori a 40°C. Grazie alla partecipazione ad iniziative europee e ai fondi del Pnrr, molte città hanno realizzato interventi di mitigazione e di adattamento alla crisi climatica e iniziative dedicate alla transizione ecologica: impianti innovativi per la gestione dei rifiuti urbani, aumento di piste ciclabili e potenziamento del trasporto pubblico, rinnovo delle flotte di bus, tutela e valorizzazione del verde urbano, ecc... "Nel 2026, terminati i fondi del Pnrr, occorrerà attivare nuove forme di finanziamento per continuare a sostenere la grande vivacità e qualità delle iniziative per la transizione ecologica avviate nelle città", conclude il documento.