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(Adnkronos) - Un'eredità scomoda, senza dubbio, che oggi può e deve diventare "una chance di prevenzione", e non va vista come una condanna senza appello. Sono i 'geni Jolie', o meglio le mutazioni dei geni Brca1 e Brca2, che espongono a un rischio aumentato di alcuni tumori, rese famose dalla storia personale e dal racconto pubblico della star hollywoodiana Angelina Jolie. Su questo fronte "ha fatto di più una copertina dedicata nel 2013 all'attrice Usa che 30 anni di ricerche dei clinici e dei genetisti", riflette Domenica Lorusso, professore ordinario all'Humanitas University di Rozzano e direttore dell'Unità operativa di Ginecologia oncologica medica di Humanitas San Pio X. "Perché testimonianze" come in Italia quella della modella Bianca Balti "hanno la capacità di arrivare al pubblico", spiega l'esperta all'Adnkronos Salute mentre proprio in questi giorni è ripartita da Milano una campagna di informazione sui tumori eredo-familiari. 'Conoscerli è il primo passo', il claim dell'iniziativa realizzata da AstraZeneca e Msd e patrocinata da diverse realtà impegnate a promuovere la conoscenza e la corretta informazione sulle più importanti patologie oncologiche. La condivisione d'impatto delle esperienze, storie come quella di Bianca Balti, "sono importantissime", osserva l'oncologa del centro che segue la modella. Balti "sta molto onestamente raccontando la sua storia, spiega che è stata una scelta quella di non togliere le tube e le ovaie. Lo ha scelto perché, pur sapendo di essere predisposta alla malattia, avrebbe voluto un'altra gravidanza. Oggi combatte con una malattia che è una malattia importante, con tutte le conseguenze che questo sta comportando. E lei molto trasparentemente ha denunciato la sua scelta e probabilmente oggi farebbe una scelta diversa. Anche la testimonianza che ha dato a Sanremo, dove si è presentata come professionista e non come malata di cancro, è una testimonianza forte, perché la vita è un'altra cosa. La vita non è la malattia, la vita va avanti malgrado la malattia". Quello che oggi le persone devono sapere - e la consapevolezza su questo "sta aumentando" - è che "il tumore è per definizione una malattia multifattoriale e sulla totalità dei tumori circa un 15% è legato a mutazioni. In particolare, in ambito ginecologico, sappiamo che circa il 20% dei tumori ovarici sierosi di alto grado, che sono peraltro i più comuni tumori ovarici, possono essere legati alle mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. E in aggiunta, oggi sappiamo che questi sono i geni più famosi, ma non gli unici coinvolti nell'ereditarietà. Anzi la lista si allunga sempre più, al punto che oggi pensiamo che uno su due tumori ovarici sierosi di alto grado possa avere in qualche modo una componente di ereditarietà". Un altro aspetto che Lorusso tiene a chiarire è che "la mutazione non trasmette il tumore, ma una maggiore predisposizione, un rischio aumentato di ammalarsi di alcuni tumori, incluso tumori dell'ovaio, del seno, del pancreas, alcuni melanomi, il tumore della prostata nell'uomo. Cosa posso fare se so di avere una mutazione? Mettere in atto strategie di prevenzione primaria o secondaria per intercettare la malattia". "La prevenzione primaria - illustra Lorusso - è ciò che posso fare per fare in modo che la malattia non arrivi, togliere l'organo prima che si ammali. E da qui la mastectomia profilattica o l'annesiectomia (asportazione di tube e ovaie) profilattica. Poi c'è una prevenzione secondaria che consiste nel fare degli esami periodicamente per potersi accorgere prima dell'insorgenza della malattia, quando è iniziale. La prevenzione secondaria l'abbiamo per il tumore della mammella, con mammografia ed eco mammaria, e anche con la risonanza magnetica se so di avere una mutazione. Ma non ce l'abbiamo per il tumore dell'ovaio: anche se tutte le linee guida riportano che le donne devono fare un'ecografia e il CA 125, che è il marcatore del tumore ovarico, ogni 6 mesi, con assoluta trasparenza va detto che anche con questa sorveglianza noi non riusciamo a trovare il tumore in uno stadio iniziale e ad aumentare la sopravvivenza, perché il tumore ovarico è un tumore molto veloce e anche facendo l'ecografia ogni 6 mesi, lo troviamo nell'80% dei casi in una forma avanzata", al "terzo-quarto stadio, quando ha già colonizzato il peritoneo". In altre parole, "la storia di Bianca Balti è la storia dell'80% delle donne che hanno la sua stessa situazione di partenza". E' una sfida complessa. Per anni il tumore ovarico, evidenzia l'esperta, "è stato chiamato 'killer silenzioso'. In realtà ha dei sintomi aspecifici - mal di pancia, gonfiore addominale, difficoltà digestive, raramente perdite ematiche - che vengono più facilmente confusi con sintomi di gastriti, coliti, diverticoliti". La prima 'arma' contro questa neoplasia è dunque "la prevenzione primaria: se so di avere questa mutazione, devo togliere le tube e le ovaie entro i 40 anni se la mia mutazione è su Brca1 ed entro i 42 se la mia mutazione è di Brca2". Come si fa a scoprire se si è portatori? "Un tempo noi offrivamo il test genetico solo alle donne in età giovane, in cui il tumore insorgeva prima dei 40 anni, oppure alle donne che avevano una familiarità di primo grado. In realtà abbiamo scoperto che circa un 30% dei tumori legati alla mutazione insorge in donne senza storia di familiarità e in età avanzata. Per cui abbiamo cambiato il paradigma e oggi nel tumore ovarico il test del Brca lo facciamo a tutte. Se lo troviamo nel tumore, lo cerchiamo nel sangue. E se è nel sangue vuol dire che è ereditario e a quel punto studiamo tutte le famiglie". Obiettivo della campagna in corso è "sensibilizzare" su questi temi, "portare l'attenzione sul fatto che esistono tumori ereditari e che anche se ce l'abbiamo scritto nel nostro Dna, questo non significa che non si possa usare l'informazione per prevenire la malattia. Bisogna viverla come un'opportunità: se io so di essere predisposta, devo mettere in atto strategie di prevenzione più attente per fare in modo che la malattia non insorga, uso l'informazione contro la malattia", sottolinea Lorusso. Oggi c'è comunque "una migliore comprensione dei tumori ereditari e non. Ed è importante affidarsi a centri di riferimento, dove c'è conoscenza di come si devono curare queste specifiche patologie, con ottimi chirurghi, esperti di terapia medica, di nuovi farmaci, con patologo e radiologo dedicati, un'équipe che 'avvolge' la paziente e se ne prende cura". Quanto a Bianca Balti "io sono fiduciosa" che possa aumentare il livello di sensibilizzazione delle donne. "Lo sta facendo e devo dire che la sua testimonianza arriva molto forte". Oggi gli strumenti per affrontare queste neoplasie anche avanzate sono aumentati, il profilo molecolare permette cure più mirate. "E abbiamo le terapie di mantenimento, farmaci che prolungano il beneficio della chemioterapia puntando a intercettare e scongiurare la recidiva. Si va molto verso la personalizzazione delle cure, che parte dal Dna, ma non è solo legata al Dna". Cosa ci riserva la ricerca per il futuro? "Stiamo studiando una nuova classe di farmaci che si chiamano anticorpi farmacoconiugati, che rappresentano, dal mio punto di vista, veramente la grande novità. Saranno i farmaci - prospetta Lorusso - che nei prossimi anni rappresenteranno un'altra pietra miliare nel trattamento dei tumori ginecologici: si lega un chemioterapico a un anticorpo e l'anticorpo riconosce un recettore espresso sulla cellula tumorale, si lega, internalizza il farmaco che viene liberato all'interno della cellula tumorale". Questa strategia "non elimina gli effetti collaterali come speravamo ma è un modo più intelligente e più efficace di convogliare la chemio sul tumore", e di arrivare dunque in maniera più massiva su tutte le cellule maligne. "Pensiamo che sia il meccanismo per cui vediamo delle risposte come mai ne avevamo viste. Ed è una buona prospettiva per il futuro", conclude.
(Adnkronos) - “Riteniamo che l’intelligenza artificiale sia un tema che, come patronato, dobbiamo impegnarci ad affrontare sia negli aspetti positivi sia nelle criticità. Ci siamo resi conto che c’è molta attenzione e conoscenza generica dei nostri intervistati. Ci siamo resi conto che c’è molta attenzione e conoscenza generica tra i nostri intervistati, ma in realtà conoscono poco le applicazioni e una grossa parte non la utilizza per quanto riguarda la pubblica amministrazione”. Queste le parole di Mauro Soldini, membro del collegio di presidenza di Inca Cgil, che ha spiegato all’Adnkronos cosa è emerso dall’indagine demoscopica su intelligenza artificiale e diritti di cittadinanza in Italia promossa da Inca e realizzata dall'Osservatorio Futura con Fondazione Di Vittorio partendo dalla domanda 'Se gli italiani hanno poca dimestichezza con le pratiche digitali della pubblica amministrazione, si fideranno dell’intelligenza artificiale per tutelare i propri diritti e vedersi garantite prestazioni come indennità, pensioni o sussidi?'. ( VIDEO ) La nuova indagine ha coinvolto un campione di 6.000 persone maggiorenni, sufficientemente rappresentativo della popolazione residente in Italia, estratto in maniera casuale da un panel costituito da oltre 150.000 individui. “L’Italia - spiega Soldini è molto lontana dalla cosiddetta uguaglianza digitale. Ci sono molti problemi per quanto riguarda sia l’ambito dell’utilizzo degli strumenti, sia del possesso dei device e della rete internet per poter usufruire di questi servizi. La cartina al tornasole l’abbiamo avuta durante il lockdown quando si è ulteriormente allargata la forbice tra chi aveva conoscenza e mezzi e chi non li aveva”. Ma come i patronati cambiano di fronte ad intelligenza artificiale e nuove tecnologie? Soldini risponde così: “Il ruolo del patronato non cambia, è sempre quello si supporto e sostegno alle persone. A cambiare sono le necessità e i problemi. Noi abbiamo come punto di riferimento l’articolo tre della Costituzione che dice che lo Stato deve superare gli ostacoli che si frappongono tra i cittadini e i loro diritti. Il nostro patronato si è dotato delle capacità, delle competenze e anche della conoscenza digitale che lo rende in grado di essere al fianco delle persone”.
(Adnkronos) - “Nelle nostre città, spesso negli anni passati il verde è passato in secondo, terzo e quarto piano. Oggi stiamo recuperando. Milano e Torino stanno tornando a una gestione più efficace dal punto di vista della gestione del verde complessivo. La digitalizzazione e la accountability delle Nature-based solutions, degli effetti della stessa natura al servizio dei cittadini, si deve vedere, ma anche misurare. Oggi, grazie all'intelligenza ufficiale, grazie ai digital tool e ai Nature capital accounting è possibile ed è possibile anche fare bilanci su quanta natura produciamo e possiamo continuamente aumentare e migliorare”. A sostenerlo Andreas Kipar, presidente Green City Italia e membro della Task Force “Nature-Positive Cities” del World Economic Forum, intervenendo a margine del panel ‘Learning from … Gestione del Verde pubblico e cambiamento climatico’ che si è svolto nell’ambito della IX edizione del Salone internazionale del verde, Myplant & Garden 2025. L’incontro, a cura di Green City Italia, in collaborazione con Myplant & Garden, Regione Lombardia e Comune di Milano, ha rappresentato un'importante piattaforma per la condivisione di esperienze e strategie volte a migliorare la gestione del verde pubblico e la natura urbana. Un’iniziativa che quest’anno ha presentato l'esperienza di Green Riyadh alla prima giornata della manifestazione dedicata al florovivaismo, in svolgimento a Fiera Milano Rho, fino al 21 febbraio 2025. Dal confronto sono emersi interessanti aspetti, tra questi Kipar sottolinea: “Dal confronto tra una realtà nuova e le realtà delle nostre città, più che altro storiche e antiche, abbiamo capito subito che laddove c'è una governance con un senso di programmazione, con i fondi e una volontà politica precisa, le cose si realizzano”, conclude.