ENTRA NEL NETWORK |
ENTRA NEL NETWORK |
(Adnkronos) - Cecilia Sala è una brava giornalista. Le parole che si stanno usando in queste ore, da quando è stata diffusa la notizia del suo arresto in Iran, sono tutte appropriate: intelligente, curiosa, preparata, prudente. Provano a descriverla, a raccontarla a chi ancora non la conosce e provano a dare conforto a chi la conosce, a chi deve dare un senso a quello che sta succedendo. Le parole aiutano sempre, anche quando si concedono alla retorica o alla celebrazione. Le parole diventano invece pericolose quando sono fuori posto e finiscono al servizio della disinformazione. Sta avvenendo anche questo, come accade spesso, in Rete e sui social, dove la tentazione di esprimere gli istinti peggiori trova lo spazio per prevalere sul buon senso. Nel mirino dei fenomeni da tastiera ci sono la giornalista e il giornalismo. Gli argomenti che si usano sono contaminati dalla banalizzazione e dall'approssimazione ma anche da una sgangherata ideologia anti sistema, che ha l'ansia di depotenziare e delegittimare l'informazione, a maggior ragione quella di qualità che fanno giornalisti come Cecilia Sala. L'arresto in Iran di una professionista affermata, che lavora per Il Foglio e per Chora Media, è un evento che rimette al centro dell'attenzione la funzione e la missione del giornalismo. A maggior ragione perché si lega al profilo di una giornalista giovane, 29 anni, e che ha una reputazione costruita anche sulla Rete, grazie alla capacità di raccontare quello che vede in giro per il Mondo su tutti i supporti disponibili, dalla carta al video, dai podcast ai reel. Nel caso di Cecilia Sala, non ci può essere la critica al 'vecchio' giornalismo, al presunto privilegio di una casta, alla rendita di posizione di una penna che spiega il mondo con una celebrata carriera alle spalle. Cecilia Sala è il volto di un giornalismo 'nuovo', moderno, capace di mettersi in discussione quotidianamente per tenere insieme la professionalità con l'innovazione, le regole sacre del mestiere con la sperimentazione di tutti i mezzi disponibili per arrivare al lettore, allo spettatore, all'ascoltatore, all'utente. Quello che rappresenta Cecilia Sala è però anche un giornalismo meno difeso e più ingombrante. Meno difeso, e più difficile da difendere, perché è meno forte, nel mondo e a maggior ragione in Italia, il peso delle testate, perché si sono ridotti, nel mondo e a maggior ragione in Italia, gli investimenti sull'informazione e perché, nel mondo e a maggior ragione in Italia, la reputazione e la credibilità del giornalismo è sempre più messa in discussione e ha perso la protezione dell'opinione pubblica. Il lavoro di Cecilia Sala è più ingombrante perché è più visibile, proprio lì nei luoghi dove la disinformazione, la censura e la propaganda sono più forti. E' più ingombrante, e più esposto, anche perché sono poche le altre voci capaci di portare il giornalismo lì dove serve, dove è più sottile la soglia fra quello che è vero e quello che si vuole rappresentare. Questo aspetto del giornalismo porta oltre il caso specifico di Cecilia Sala e oltre il caso specifico dell'Iran. Tutti i giorni, in qualsiasi contesto, c'è una verità da cercare, più difficile da raccontare, perché è scomoda per qualcuno, e c'è una rappresentazione della realtà più accessibile, disponibile e conveniente. I giornalisti, il giornalismo, e anche l'editoria, si trovano continuamente di fronte a questa scelta. Cecilia Sala, e chi ha scelto di investire sul suo lavoro, hanno dimostrato che si può scegliere da quale parte andare, lavorando per avvicinarsi il più possibile alla verità. Una scelta che non è mai scontata, che comporta dei costi e dei rischi, che va ribadita tutti i giorni e che non rende immune dagli errori, che qualsiasi testata e qualsiasi giornalista devono mettere in conto. L'unica opzione disponibile per difendere i giornalisti e il giornalismo è lavorare per recuperare credibilità e ridare peso alla funzione principale dell'informazione: vedere, conoscere, verificare e raccontare. Oggi però la storia di Cecilia Sala dice che è diventato più difficile farlo. E da qui si deve ripartire. (Di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - L’alta gioielleria Made in Italy e internazionale danno appuntamento alla business community di Vicenzaoro dal 17 al 21 gennaio. Brand iconici, ritorni prestigiosi e alcune new entry offriranno la più completa panoramica sul gioiello luxury. Il boutique show di Italian Exhibition Group apre il calendario internazionale delle fiere orafe e del gioiello con un nuovo sold-out da 1.300 brand espositori; 170 dei quali nel salone delle tecnologie T.Gold. Tra i sette distretti merceologici in cui Vicenzaoro January si articola, dalle gemme di “Essence” all’oreficeria di “Creation”, sino alla gioielleria contemporanea di “Look” al packaging di “Expression”, è “Icon” che presenta al mercato l’alto di gamma. Il Made in Italy sarà rappresentato dai gioielli firmati Damiani e dal sofisticato costante tributo alla storia e allo stile veneziano delle collezioni di Roberto Coin. Tanti i red carpet per Crivelli, il cui tocco artigianale ha conquistato il music biz italiano e per Fope e le sue catene elastiche. A Vicenza, anche le silhouette che rendono i gioielli Annamaria Cammilli quasi delle sculture. E ancora. Palmiero con le sue creazioni artistiche e scultoree. La versatilità dinamica dei gioielli Roberto Demeglio, le linee classiche di Leo Pizzo e Mirco Visconti o quelle contemporanee e sempre realizzate a mano di Davite & Delucchi. Il classico, senza tempo, di Giorgio Visconti. La sperimentazione di Peruffo Jewelry. I diamanti hand made di World Diamond Group. Il tocco contemporaneo di Adolfo Courrier. Le textures di Nanis. Le cromie delicate di Giovanni Ferraris. L’impronta artigianale di Staurino Fratelli. La creatività di K di Kuore. La passione per il dettaglio di Mariani 1878 e, infine, tre brand che ben identificano tradizione ed evoluzione della gioielleria campana: Chantecler, De Simone Fratelli e Coscia. Nel lounge, al primo piano della Hall 7 nel quartiere fieristico, Morellato Group. E per la gioielleria maschile, infine, Zancan e Barakà. Tra le case di alta gioielleria europee e internazionali: a Vicenzaoro January esporranno le tedesche Schreiner Fine Jewellery, Hans Krieger, Breuning, Niessing, Jörg Heinz e Heinz Mayer, Yana Nesper, Al Coro, Stenzhorn e Autore. Le spagnole Dámaso Martinez, Carrera y Carrera. Le francesi Akillis e La brune et la blonde. La svizzera Fullord. La turca Terzhian. L’americana, fondata a Mumbai, Sutra. Infine l’iconica Fabergé dal Regno Unito. Tra le novità di Vicenzaoro January 2025, i ritorni della maison italiana Gianni Carità, della greca Etho Maria e della francese Matthia’s & Claire, le new entry francesi Copin, Chrstns, Rouvenat e Oscar Massin. Inoltre, l’indiana PG Design, vincitrice del Singapore Jewellery Design Award 2024 che Ieg Asia ha voluto durante l’ultima edizione di Sije – Singapore International Jewelry Expo assieme all’Associazione dei gioiellieri di Singapore e la Jewellery Design & Management International School. Tema di quest’anno era il “lusso sostenibile” e da Singapore si vedranno a Vicenza le sue creazioni. Nel distretto “Icon”, Design Room è lo spazio dedicato ai designer di alta gioielleria che reinterpretano il gioiello con creazioni spesso audaci e non convenzionali. A gennaio la Design Room sarà popolata dai brand Vicky Shawe, Chiarelli Milano, Miseno, Jmg Designer, Antonini Milano, Cédille Paris, Karen Suen, Busatti Milano, Mousson Atelier, Misani, Mattia Cielo, Netali Nissim e Mike Joseph oltre ad Alessio Boschi. Lo stesso Boschi e Alessia Crivelli sono i mentori del progetto “The 8”, voluto da Ieg per valorizzare i nuovi talenti italiani e internazionali della gioielleria. I designer scelti per questa edizione provengono da istituti come Ied, Tads - Tarì Design School, e il Master in Storia, Design e Marketing del Gioiello di Arezzo, sono Emma Calce, Lal Dal Monte, Enrico Valenza e 512 LAB (Carolina Lazzaro e Cristiano Di Iorio). In contemporanea, dal 17 al 20 gennaio si svolgerà con ingresso gratuito al pubblico, previa registrazione sul sito, la sesta edizione di VO Vintage, salotto dell’orologeria e della gioielleria vintage di pregio aperto agli esperti, ai collezionisti e agli appassionati.
(Adnkronos) - “La Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità nasce per attrarre investimenti sostenibili a Venezia. È l’unica maniera per salvare una città, salvata dalle acque grazie al Mose, ma che va salvata anche dal punto di vista economico. Per far questo occorrono investimenti nel futuro che abbiano come obiettivo l’energia, l’ambiente, la sostenibilità urbana. Abbiamo messo insieme 47 soci, le più grandi istituzioni scientifiche della città, le accademie, le università, il Cnr e le più grandi aziende e multinazionali italiane e straniere. Va salvata la città della gente, bisogna tenere e attrarre a Venezia i giovani attraverso campus universitari e laboratori”. Sono le parole di Renato Brunetta, presidente della Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità/ Venice Sustainability Foundation - Vsf, in occasione dell’incontro con i media per fare il punto sulle attività svolte da Vsf nel 2024 e sulle progettualità future. “Questa è la nostra missione - conclude Brunetta - Ci stiamo riuscendo ed è un lavoro fondamentale che durerà decenni. Possiamo raccontarlo al mondo affinché il mondo lo possa riprodurre. È una grande soddisfazione avere dentro la fondazione il meglio delle industrie e delle istituzioni italiane”.