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(Adnkronos) - Fino a cinque mesi in meno di attesa per la formazione di nuovo osso andato perduto, abbattendo i tempi di guarigione, che in media vanno dai 4 ai 12 mesi, per inserire un impianto. Ora è possibile sfruttando 'fattori di crescita' presenti nelle cellule staminali ricavate dalla polpa dei denti estratti, nelle piastrine e in gel contenenti proteine e acido ialuronico in grado di stimolare lo sviluppo naturale di nuovo tessuto osseo e gengivale in tutto e per tutto uguali a quelli circostanti nativi. e che aprono orizzonti inimmaginabili fino a 10 anni fa, presentate oggi al congresso internazionale Osteology-SIdP, in corso a Firenze, organizzato dalla Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) e dalla Fondazione Osteology. L’odontoiatria rigenerativa è in costante e rapida crescita con una spesa che in Italia si attesta oggi su circa 92 milioni di euro l’anno e che entro 5 anni si stima raggiungerà quasi 138 milioni. Un’espansione guidata dalla crescente domanda di impianti dentali legata all’invecchiamento della popolazione con circa 10 milioni di interventi in Italia, dalla crescente richiesta di procedure mininvasive e dai progressi della ricerca mai così avanzata. "La parodontite è una malattia molto diffusa nella popolazione adulta e, se non trattata, può portare al riassorbimento dell’osso e alla ritrazione della gengiva, con conseguente perdita dei denti. Le terapie parodontali chirurgiche consentono di rigenerare i tessuti andati perduti grazie all’utilizzo di vari biomateriali che vengono posizionati all’interno di un’area di “difetto” per aumentare il volume o rigenerare la quantità di osso e gengiva persi, in genere per la sostituzione con un impianto di un dente mancante, a seguito di traumi o parodontite – dichiara Francesco Cairo, presidente SIdP e Professore di Parodontologia dell’Università di Firenze –. Il materiale di innesto può essere prelevato dal paziente stesso oppure avere origine animale o sintetica, con evoluzioni sempre più biocompatibili e sicure per il paziente". "Gli interventi di rigenerazione si eseguono generalmente in ambito ambulatoriale e anestesia locale, con un decorso operatorio piuttosto semplice. Tuttavia - precisa Cairo - il processo di guarigione a livello osseo dura diversi mesi e, qualora la rigenerazione sia stata fatta al fine del successivo impianto, questo potrà essere posizionato dopo un periodo che va dai 4 ai 12 mesi. Lo sviluppo di terapie rigenerative innovative ha portato oggi ad approcci mininvasivi che velocizzano la maturazione dell’innesto riducendo i tempi di guarigione fino a 5 mesi, in base alla risposta individuale”. “La terapia con cellule staminali derivate dalla polpa dei denti estratti è tra i trattamenti più avanzati per rigenerare osso e gengive, consentendo una ricrescita 'naturale' dei tessuti con risultati clinici eccellenti e minore impiego di tessuto prelevato dal paziente stesso – osserva Cairo -. Anche le iniziative governative, tra cui l’ampliamento della copertura tramite il servizio sanitario nazionale e i finanziamenti per la ricerca su biomateriali stanno sostenendo la crescita in questo campo”. “Un’altra promettente procedura rigenerativa e minimamente invasiva, altamente efficace – aggiunge Cairo - è il trattamento con piastrine estratte dal plasma del paziente, di gravi riassorbimenti ossei. Questa tecnica impiega sostanze che stimolano le cellule residue attorno alla radice del dente e che si attivano a riformare i tessuti persi”. Per favorire la rigenerazione degli innesti esistono anche nuove molecole. “Si tratta di gel contenenti proteine derivate dalla matrice dello smalto dentale e più recentemente da polinucleotidi e acido ialuronico, in grado di favorire la crescita combinando le loro proprietà. Da un lato l’acido ialuronico crea un ambiente idratato, attira fattori di crescita e ha un effetto antibatterico, dall’altro, i nucleotidi favoriscono un ambiente trofico e protettivo per la riparazione e la crescita cellulare promuovendo una guarigione più rapida”, illustra Raffaele Cavalcanti, vicepresidente SIdP. Diversi studi, soprattutto italiani e coreani, stanno infine esplorando l’azione rigenerativa ossea di un particolare polinucleotide, chiamato Pdrn, derivato dal Dna purificato di pesci, tra cui trota e salmone. “Molti studi in vitro, su modelli animali e trial clinici hanno mostrato capacità del Pdrn di promuovere angiogenesi, ridurre l’infiammazione e stimolare la proliferazione dei fibroblasti, se iniettato localmente in associazione a biomateriali. Il Pdrn è un promettente coadiuvante e le prime prove cliniche sono incoraggianti ma limitate: serviranno ulteriori studi e follow-up a lungo termine per validarne l’efficacia”, conclude Cavalcanti.
(Adnkronos) - "La prima cosa sono le tasse: il ceto medio italiano è il più tartassato del mondo occidentale. Cito il rapporto Taxing wages dell'Ocse del 2024: chi guadagna 2.500 euro al mese oggi in Italia, pari a 50mila euro lordi, ha un'aliquota fiscale del 43%, ai quali si sommano le addizionali locali, quindi 45-46% totale, una pressione fiscale che in Germania, Francia, Gran Bretagna pesa su chi guadagna 10-12mila euro al mese”. È quanto affermato da Luigi Marattin, deputato e segretario del Partito Liberal Democratico, in occasione della seconda edizione del Global Welfare Summit, il principale appuntamento italiano dedicato all’evoluzione del welfare, dedicata alle 'Eccellenze che ispirano', organizzato a Villa Miani a Roma. “Questa è l'emergenza del ceto medio italiano e in questa Legge di Bilancio si spreca un'occasione, perché viene fatta una piccola riduzione, pari al massimo ad un caffè al giorno, solo fino a fino ai 50mila euro di reddito lordo", spiega Marattin. "Il Partito Liberal Democratico sta dicendo da stamattina, dopo che sono usciti i numeri della relazione tecnica della Legge di bilancio, che se evitiamo di fare la mossa sulle pensioni e se evitiamo di fare l'ennesima inutile rottamazione, ci sono i soldi per ridurre di dieci punti l'aliquota fiscale, per lo meno nella fascia da 50 a 60 mila euro annui lordi”, continua. “Si tratterebbe di soldi veri che comincerebbero a curare questa anomalia italiana di essere il Paese che tartassa di più al mondo il ceto medio e se lo tartassi, non potrai mai tornare a crescere”, conclude.
(Adnkronos) - In occasione del World Energy Day, giornata che promuove a livello globale un utilizzo più consapevole e sostenibile delle risorse energetiche, Automobili Lamborghini annuncia il completamento dell’ampliamento del proprio impianto fotovoltaico nello stabilimento di Sant’Agata Bolognese. L’impianto - si sottolinea - "segna un ulteriore passo nella strategia di decarbonizzazione della Casa e rafforza l’autonomia energetica del sito produttivo". D'altronde il percorso di Automobili Lamborghini nell’ambito delle energie rinnovabili è iniziato nel 2010 con l’installazione del primo impianto fotovoltaico, successivamente esteso fino a raggiungere una superficie complessiva di 15.000 mq, tra i più grandi della regione all’epoca, in grado di generare oltre 2 milioni di kWh all’anno e ridurre circa 800 tonnellate di CO₂ ogni anno. L’ampliamento dell’impianto fotovoltaico si inserisce in un processo che già nel 2015 ha visto Automobili Lamborghini conseguire il raggiungimento della neutralità carbonica on balance del sito produttivo: un traguardo - si spiega - conseguito come scelta volontaria e pionieristica, che ha reso lo stabilimento di Sant’Agata Bolognese il primo certificato all’interno del Gruppo Audi e il primo al mondo a ottenere la certificazione di neutralità da parte dell’ente DNV". Da allora, Automobili Lamborghini ha mantenuto questo status nonostante il raddoppio delle superfici produttive, grazie a una strategia integrata che combina crescita dello stabilimento, investimenti in efficienza energetica, riduzione diretta delle emissioni e progetti di compensazione delle emissioni residue. Con l’ampliamento appena ultimato, che ha interessato la superficie in copertura del magazzino, la capacità complessiva dell’impianto è cresciuta ulteriormente: oggi è in grado di produrre circa 2,89 milioni di kWh aggiuntivi all’anno, garantendo una riduzione stimata delle emissioni pari a 1.200 tonnellate di CO₂ annue. L’intervento ha previsto l’installazione di più di 4.000 pannelli fotovoltaici su una superficie di circa 12.000 metri quadrati, con una potenza installata complessiva pari a 2,5 MWh.