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(Adnkronos) - “La sfida ‘Anita-L’infanzia prima’ si radica nel presente ma è anche un filo rosso che si lega al passato, più precisamente ad un'iniziativa che la Commissione Centrale di Beneficenza della Cariplo istituì nel 1882 e chiamò ‘Fondo Garibaldi’ perché il 2 giugno dello stesso anno era stato celebrato il funerale dell'Eroe dei Due Mondi, Giuseppe Garibaldi”. Così Valeria Negrini, vice presidente di Fondazione Cariplo, alla presentazione di ‘Anita - L’infanzia prima’, tenutasi al Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Il nuovo programma strategico della Fondazione è dedicato ai bambini da 0 a 6 anni e promuove servizi, spazi e cultura accessibili e a misura di infanzia, aiutando così a contrastare le crescenti disuguaglianze in questa fascia d’età. “Il fondo Garibaldi, che rimase attivo fino al 1958, indirizzava le sue risorse allo sviluppo sul territorio di asili, anche attraverso un lavoro certosino di mappatura dei Comuni. Successivamente si costituì anche un'altra linea di intervento: quella del sostegno ai bambini più poveri grazie alla ricerca e all'individuazione, in collaborazione con i Comuni, di quelle famiglie che non erano nemmeno in grado di pagare la retta degli asili. Il nome 'Anita' ha quindi un significato simbolico importante - prosegue Negrini - e ricollegare questa iniziativa con l'esperienza fatta dalla Commissione Centrale di Beneficenza con il fondo Garibaldi è una soddisfazione. Le due iniziative condividono lo stesso spirito di rigore nell'analisi e nella ricerca e di apertura alle collaborazioni con gli enti pubblici, oltre alla volontà di sostenere le comunità a partire soprattutto dalle fragilità e dalle vulnerabilità”. “Con ‘Anita-L’infanzia prima’ vogliamo provare a facilitare l’accesso alla cultura, ad esempio ottimizzando la presenza e l’accesso alle biblioteche affinché diventino luoghi dove i bambini possano usufruire e capire l’importanza della cultura. Vogliamo poi migliorare e rendere più numerose le aree pensate per i bambini, come le aree gioco -. spiega dal palco la vice presidente Negrini - Le tre aree principali su cui si concentra Anita sono infatti i servizi, gli spazi di vita e la cultura, che si intersecano con due altre azioni trasversali e necessarie: la ricerca scientifica integrata e multidisciplinare, che può darci elementi per orientare al meglio le politiche che vogliamo provare ad attuare; e la comunicazione che, provando nuovi strumenti, linguaggi e canali, deve sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema dell'infanzia e dei bisogni dei bambini, che non riguarda solo chi ha figli in questa fascia d'età, ma anche chi ha figli grandi e chi non ne ha. Tutto questo lo faremo aprendoci a quante più alleanze e partnership possibili, come è nel dna di Fondazione Cariplo”. Quella dedicata all’infanzia è una delle quattro sfide di Fondazione Cariplo. Con una dotazione economica complessiva di oltre 80 milioni di euro, la volontà della Fondazione è quella di costruire “degli interventi, dei servizi e delle azioni che riescano a trasformare il tessuto delle comunità. Oltre ad ‘Anita-L’infanzia prima’, abbiamo lanciato la sfida ZeroNeet, che vuole provare a dare risposte a quei giovani che vivono una situazione di disagio, non solo per la mancanza di lavoro e di formazione, ma, forse, anche per qualcosa di più profondo. Nei primi mesi del 2026 - aggiunge la vice presidente - lanceremo la sfida che riguarda il mondo delle persone con disabilità, che cerca quindi di rispondere al loro desiderio e diritto di autonomia e, infine, più avanti nel 2026 partirà la sfida che riguarda le persone detenute, un tema abbastanza scomodo di cui spesso si sente parlare solo per episodi negativi e che invece va affrontato in maniera molto seria, perché è la cifra della civiltà di un Paese”. Quello della Fondazione è “un programma di sfide pluriennali che attraverserà tutto questo mandato e che, oltre all'ambizione di provare a modificare quelle che sono le condizioni di queste persone nella comunità - conclude - ha anche la volontà e il desiderio di raccogliere alleanze più ampie e diversificate possibili, perché credo che tutti abbiano la voglia e forse anche la responsabilità di concorrere a rendere migliore la vita di tutti”.
(Adnkronos) - Il sistema informativo Excelsior (2024) rivela che in Italia, nel quinquennio 2024-2028, la previsione del fabbisogno per i lavoratori in possesso di una formazione terziaria in ambito stem (science, technology, engineering, and mathematics) dovrebbe attestarsi tra 72mila e 82mila unità in media all’anno. Tuttavia, la ridotta presenza di studenti in possesso di questo tipo di formazione determinerà una carenza di queste figure compresa tra 8mila e 17mila giovani ogni anno, nonostante il numero di immatricolazioni sia in aumento (+73,4% nel gruppo scientifico dal 2000 al 2024, dati Censis). Come rendere le competenze nelle stem accessibili a un numero sempre maggiore di persone attraverso la formazione scientifica è stato il focus del talk Non solo numeri, cosa raccontano i dati che si è svolto nell’ambito del Cicap Fest 2025 a Padova. Oltre a essere un fattore di competitività, l’istruzione stem può essere un potente motore di promozione sociale, fornendo alle persone competenze tecniche e di risoluzione dei problemi e migliorando le loro prospettive di carriera. Ma proprio la dimensione sociale rappresenta spesso il primo ostacolo. "Le disuguaglianze economiche e sociali hanno un peso enorme nelle scelte formative e l’Università oggi non è più un vero ascensore sociale. I figli dei laureati hanno più possibilità di laurearsi a loro volta -afferma Lorenzo Montali, presidente di Cicap, professore associato di psicologia sociale, dipartimento di psicologia, università degli studi di Milano-Bicocca- secondo l’Istat 2025 nel periodo 1992-2022, al netto delle caratteristiche individuali (genere) e di territorio, si stima che uno dei due genitori laureato aumenti la probabilità di laurearsi della figlia/o di 20 punti percentuali rispetto ai figli di genitori non diplomati". Rafforzare le competenze stem è uno degli obiettivi della Commissione europea, che lo scorso marzo ha lanciato un piano strategico per la formazione in queste discipline, sulla base di una specifica raccomandazione contenuta nel rapporto sulla competitività di Mario Draghi. Rispetto a Paesi come Cina e India, dove oltre il 30% dei laureati proviene da aree stem, in Europa la percentuale di laureati Stem si aggira sul 25% (dato Oecd/Commissione Europea 2023). Le stem rappresentano oggi un importante elemento formativo non solo per il mondo del lavoro. "La conoscenza delle stem dovrebbe riguardare tutti, anche chi non diventerà mai un ingegnere o un biologo – osserva Silvia Bencivelli, giornalista scientifica, scrittrice, autrice e conduttrice radiotelevisiva – 'Cittadinanza scientifica' (scientific citizenship) significa che ogni persona debba avere un livello minimo di cultura scientifica per orientarsi nel mondo". Avvicinare i giovani alla scienza richiede un cambiamento di percezione sociale della conoscenza che superi lo stereotipo dello scienziato come monade isolata dal contesto. "Secondo i dati Eurostat 2024, in Italia il 23,4% dei laureati proviene da percorsi scientifici o tecnologici – dichiara Donata Columbro, Giornalista, divulgatrice e scrittrice – tendiamo a considerare le discipline scientifiche come qualcosa di 'tecnico', riservato a pochi. Invece, sono fondamentali in ogni contesto. I dati e la statistica permeano ormai tutti gli ambiti della società". Promuovere la formazione scientifica significa sostenere la crescita personale e sociale, stimolare la curiosità, rafforzare il legame tra scienza e comunità e ispirare talenti nelle stem anche attraverso il contributo decisivo del mondo delle imprese. È il principio alla base dell’impegno di Fondazione Amgen, che, attraverso diversi programmi di formazione nelle scienze della vita, offre agli studenti universitari la possibilità di vivere esperienze di ricerca in Università e Centri di eccellenza in tutto il mondo. Solo nel 2024 Fondazione Amgen ha raggiunto 25 milioni tra studenti e docenti a livello globale. Col progetto Amgen Scholars – attivo dal 2007 – la Fondazione ha coinvolto oltre 5.800 studenti universitari provenienti da più di 1000 college e Università, che partecipano a intense esperienze di ricerca estiva sotto la guida di professori di primo piano, prendendo parte a seminari, eventi di networking e simposi regionali. Per gli studenti europei sono cinque i centri ospitanti: Eidgenössische Technische Hochschule Zürich (Svizzera), Institut Pasteur (Francia), Karolinska Institutet (Svezia), Ludwig-Maximilians-Universität München (Germania) e University of Cambridge (UK). Ad oggi, gli alumni di questo programma lavorano in ambiti scientifici in oltre 40 Paesi. In parallelo, l’anno scorso è stato raggiunto il traguardo di 1 milione di studenti che dal ’90 hanno partecipato ad Abe (amgen biotech experience), il programma di insegnamento delle discipline stem che porta le biotecnologie sui banchi della scuola secondaria. "Amgen intende sostenere non solo l’innovazione tramite terapie di ultima generazione, studi clinici e ricerca in Italia, ma con Fondazione Amgen si impegna a promuovere il capitale umano del Paese, aspetto che consideriamo altrettanto fondamentale", dichiara Alessandra Brescianini, direttore medico Amgen Italia. "Realizziamo progetti rivolti a universitari che già studiano nel campo della scienza, e a cui offriamo l’opportunità di frequentare centri di eccellenza per affinare le proprie competenze ed inserirsi presso prestigiosi network internazionali. Intendiamo in questo modo incentivare l’approccio scientifico affinché i giovani apprendano non solo elementi che possano poi utilizzare in un successivo percorso di carriera, ma anche un metodo, che permetta loro di appassionarsi alla scienza e sviluppare un pensiero critico sempre più indispensabile a comprendere e capire il mondo", conclude.
(Adnkronos) - “La sensazione è quella di un’indifferenza strisciante, una neutralità operativa e ideologica rispetto alla sostenibilità ambientale. Ci siamo chiesti da cosa derivasse e la conclusione è che molto probabilmente l’aver scisso la sostenibilità ambientale dalla sostenibilità sociale e aver inflazionato la prima ha depauperato la possibilità della maggior parte dei referenti dell’opinione pubblica di identificarsi con temi e problemi che fanno parte della vita quotidiana e che hanno a che fare con la sostenibilità sociale”. Così il Ceo di Eikon Strategic Consulting Italia Enrico Pozzi, intervenendo all’apertura della Social Sustainibility Week in corso oggi a Palazzo dell’Informazione a Roma, illustrando i risultati della ricerca ‘Salute, benessere e sostenibilità’, presentata da Eikon in occasione dell’evento. “La sostenibilità sociale è difficile: parlare di uguaglianza, di diritti, di procedure, di norme e di policies è difficile. Sono cose complesse dalle quali le istituzioni tendono a sfuggire”, aggiunge Pozzi. “La sostenibilità sembra cedere il passo a una privatizzazione psicologica e microsociale della sostenibilità che si traduce in quell’universo psicologico e microsociale che definiamo salute, e che tendenzialmente ha a che fare con il proprio corpo. Salute come passaggio della sostenibilità a un universo dove gli attori sociali sembrano sparire”, conclude Pozzi.