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(Adnkronos) - Il senso di precarietà di questo momento storico sta mettendo alla prova l’attitudine degli italiani verso il lascito solidale, che non arretra ma conosce una battuta d’arresto dopo anni di progressiva crescita. Una crescita sostanziale attestata dai dati degli enti del Terzo Settore degli ultimi 5 anni. Sono linee di tendenza tracciate dall’inedita ricerca promossa dal Comitato Testamento Solidale sotto la direzione dell’Istituto Walden Lab e in collaborazione con Vita. Lo studio è stato condotto tra giugno e luglio 2025 su due target paralleli: da un lato gli italiani dai 25 anni in su, dall’altro un campione di 197 Organizzazioni Non Profit che operano in Italia, con l’obiettivo di rilevare e analizzare dati su volumi, tipologie e tendenze della raccolta fondi da lasciti testamentari nel nostro Paese. I risultati sono stati presentati questa mattina a Roma, in un incontro che ha visto la presenza di Rossano Bartoli, Portavoce Comitato Testamento Solidale e Presidente Lega del Filo d’Oro; Flavia Fiocchi, Consigliere nazionale del Notariato con Delega al Notariato per il Sociale; Paolo Anselmi, Presidente WaldenLab; Anna Rita Longo, Esperta di linguaggio, Docente di “Media, divulgazione della scienza, giornalismo scientifico” (Università del Salento), divulgatrice scientifica; Jean-Luc Giorda, Psicologo, Psicoterapeuta, Formatore e Divulgatore scientifico. La ricerca sugli italiani rivela una leggera flessione nella propensione verso i lasciti solidali, fenomeno che sembra riflettere un più ampio deterioramento della fiducia nel futuro. I dati mostrano infatti una diminuzione dal 18% al 15% della propensione a fare testamento, mentre si registra una crescita significativa (+5 punti percentuali) del pregiudizio secondo cui i lasciti riguarderebbero solo "chi è ricco o ha molte proprietà". Parallelamente, cala leggermente la percentuale di coloro che si dichiarano orientati al lascito "certamente" (dal 5% al 4%) o "probabilmente" (dal 17% al 15%), mentre rimane stabile al 3% la quota di over 50 che ha già previsto un lascito testamentario. Una battuta d'arresto collegata al peggioramento della percezione collettiva riguardo alle sfide future - dalla crisi climatica alle guerre e alle crescenti diseguaglianze sociali: gli italiani non vogliono prendere impegni a lungo termine che possano “sottrarre risorse al futuro dei miei eredi” (39%) e togliere un paracadute alla “precarietà lavorativa dei miei figli/nipoti” (1 su 4). Interessante per contro come rimanga invariata al 68% la percentuale di chi coinvolgerebbe i familiari nella decisione del lascito, confermando l'importanza del dialogo intergenerazionale in queste scelte di solidarietà. "Questi dati ci restituiscono un quadro di comprensibile preoccupazione per il futuro – commenta Flavia Fiocchi, Consigliere nazionale del Notariato con delega al Notariato per il Sociale - ma vogliamo rassicurare gli italiani su un aspetto fondamentale: fare un lascito solidale non significa in alcun modo mettere a rischio i diritti dei propri familiari. La legge italiana tutela, infatti, rigorosamente la quota legittima degli eredi, cioè quella porzione di patrimonio che spetta per legge ai familiari più stretti. Il lascito solidale può essere disposto quindi nei limiti della quota disponibile, cioè’ di quella parte del patrimonio di cui ciascuno può liberamente disporre senza intaccare minimamente le tutele previste per coniuge, figli o, in mancanza, genitori. È anche importante sfatare il pregiudizio, evidenziato dalla nostra ricerca, secondo cui i lasciti sono di appannaggio solo di chi possiede grandi patrimoni: anche un piccolo gesto può fare la differenza e rappresentare un atto di generosità verso le future generazioni. Il nostro impegno come Notariato, al fianco del Comitato Testamento Solidale, è proprio quello di fornire informazioni chiare e trasparenti, accompagnando i cittadini in scelte consapevoli che concilino la responsabilità verso i propri cari con la solidarietà verso chi ha più bisogno". Tra il 2020 e il 2024, il settore dei lasciti solidali mostra una chiara tendenza positiva: cresce di 12 punti la percentuale di ONP che hanno ricevuto un numero di lasciti compreso tra 1 e 5 (dal 39% del 2020 al 51% del 2024); cresce di 3 punti la percentuale di ONP che hanno ricevuto un numero di lasciti compreso tra 6 e 30 (dal 16% del 2020 al 19% del 2024) ed anche (dal 6% all’8%) di chi ne ha ricevuti più di 30; la percentuale di ONP che non hanno ricevuto nessun lascito cala di ben 16 punti, passando dal 39% del 2020 al 23% del 2024; contestualmente, cresce anche il peso percentuale dei lasciti sul totale delle raccolte fondi che quasi raddoppia passando dall’8% del 2020 al 14% del 2024. E guardando al futuro, la previsione risulta ancor più positiva: il 76% prevede un aumento (certo o probabile), solo il 3% una diminuzione. I lasciti in denaro o in beni mobili rappresentano circa i tre quarti di quelli ricevuti dalle organizzazioni, una tendenza che rimane sostanzialmente stabile negli ultimi anni. Altrettanto netta è la prevalenza dei lasciti liberi nell’utilizzo (87%) - che rappresentano un atto di fiducia nella mission generale delle organizzazioni destinatarie - rispetto ai lasciti vincolati a specifici progetti (13%). "I dati della nostra ricerca confermano una tendenza molto incoraggiante, che contrasta con le preoccupazioni emerse dall'indagine sulla popolazione generale. – spiega Rossano Bartoli, Portavoce del Comitato Testamento Solidale e Presidente della Lega del Filo d’oro - Durante il periodo pandemico e post-pandemico, dal 2020 al 2024, abbiamo assistito a una vera e propria crescita del fenomeno dei lasciti solidali: questo ci dice che il lascito solidale si sta diffondendo capillarmente nel tessuto del Non Profit italiano. Ancora più rilevante è il dato economico: il peso dei lasciti sul totale delle raccolte fondi è quasi raddoppiato, dimostrando che si tratta di una forma di sostegno sempre più strategica per la sostenibilità delle nostre organizzazioni”. Tra le Onp che dichiarano di aver ricevuto almeno un lascito nell’ultimo quinquennio: crescono significativamente le Organizzazioni con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro (dal 16% del 2020 al 20% del 2024); restano sostanziale stabili quelle con un fatturato compreso tra 1 e 10 milioni di euro (rappresentavano il 33% nel 2020 e il 34% nel 2024); diminuiscono significativamente le ONP con un fatturato inferiore al milione di euro (dal 51% del 2020 al 45% del 2024). Queste tendenze indicano che si viene rafforzando la relazione tra dimensione economica dell’organizzazione e capacità di attrarre lasciti. Ma non dimentichiamo che le piccole organizzazioni restano comunque il segmento maggioritario tra le ONP destinatarie di lasciti, seppure non più la maggioranza assoluta come sono state fino al 2020. La maggioranza delle Onp che hanno partecipato all’indagine (55%) non ha mai realizzato in passato una campagna per la promozione dei lasciti. E per chi invece l’ha fatto, è decisione recente o molto recente: solo per una minoranza (17%) l’anno di avvio della prima campagna si colloca prima del 2010; per quasi la metà (47%) tra il 2010 e il 2020; per oltre un terzo (36%) negli ultimi 5 anni (dopo il 2020). Evidente è la correlazione con la dimensione economica dell’organizzazione e con la disponibilità di uno staff dedicato: ha fatto comunicazione sui lasciti solo il 22% delle Onp con meno di 1 milione di fatturato, il 51% di chi ha un fatturato compreso tra 1 milione e 10 milioni e l’83% di chi ha un fatturato superiore ai 10 milioni e dispone di uno staff dedicato. Tra le Onp che non hanno mai attivato una campagna, i motivi prevalenti risiedono infatti nella mancanza di risorse e di competenze: manca una figura dedicata (49%), competenze specifiche (36%), strumenti adeguati (29%), capacità di affrontare gli aspetti legali e fiscali del lascito (19%). Ma a questi motivi si affianca – con minor peso ma comunque rilevante – la mancanza di «cultura» e di interesse sul tema dei lasciti: il tema non è ancora percepito come una priorità (31%), mancano le richieste (21%), è un investimento di lungo termine difficile da sostenere (10%). "Le previsioni per il futuro, con il 76% delle Onp che si aspetta un ulteriore incremento, ci dicono che, nonostante le incertezze del momento, gli italiani hanno saputo trasformare l'esperienza della pandemia in una maggiore consapevolezza dell'importanza della solidarietà per le generazioni future. - conclude Bartoli - Assistiamo a un cambio generazionale importante: le nuove generazioni di anziani sono più informate, più consapevoli delle problematiche sociali e ambientali, e hanno sviluppato una maggiore familiarità con il mondo del non profit attraverso decenni di volontariato e donazioni. Inoltre, il crescente impegno delle organizzazioni Non Profit nel comunicare correttamente le opportunità offerte dal lascito solidale, sfatando pregiudizi e timori infondati, sta creando le basi per una crescita strutturale del settore".
(Adnkronos) - 'Una Pizza Napoletana' di Anthony Mangieri, a New York, e 'I Masanielli' di Francesco Martucci, a Caserta, con un ex aequo, sono le migliori pizzerie al mondo nel 2025 per '50 Top Pizza', la prima e più importante guida di settore al mondo, curata da Barbara Guerra, Luciano Pignataro e Albert Sapere. Questo il verdetto, annunciato ieri sera al Teatro Mercadante di Napoli, durante una seguitissima ed avvincente cerimonia di premiazione, trasmessa in diretta sui canali social del network e presentata da Verónica Zumalacárregui, nota giornalista e influencer spagnola. Al secondo posto 'The Pizza Bar on 38th' a Tokyo, che vede alla guida Daniele Cason, e terza posizione per 'Leggera Pizza Napoletana' di André Guidon, a San Paolo del Brasile. Per la quarta posizione ancora un ex aequo, con la coppia tutta italiana 'Diego Vitagliano Pizzeria', a Napoli, e 'Confine' di Francesco Capece e Mario Ventura, a Milano. Seguono 'Napoli on the Road' di Michele Pascarella, a Londra e, sesto, 'Seu Pizza Illuminati' di Pier Daniele Seu e Valeria Zuppardo, a Roma. Settima posizione per 'I Tigli' di Simone Padoan, a San Bonifacio. In ottava posizione, 'Baldoria' di Ciro Cristiano, a Madrid. Al nono posto 'Pizzeria Sei' di William Joo, a Los Angeles. A chiudere la top ten, Tony’s Pizza Napoletana di Tony Gemignani, a San Francisco. Ecco i premi speciali consegnati: William Joo di Pizzeria Sei, a Los Angeles, è il Pizza maker of the year 2025 – Ferrarelle Award; la 'Pizza of the Year 2025 – Latteria Sorrentina Award' è 'Ricordi d’Infanzia' di 'Napoli on the Road', a Londra; il premio 'Best Pasta Proposal 2025 – Pastificio Di Martino Award' va a Flama, a Miraflores; il premio 'Best Wine List 2025 – La Gioiosa Award' va a 'Confine', a Milano; il premio 'Best Beer Service 2025 – Peroni Nastro Azzurro Award' va a 'Via Toledo', a Vienna; il premio 'Best Cocktail List 2025 – Sei Bellissimi Award' va a 'Dry Milano', a Milano; il premio 'Made in Italy 2025 – Salumi Coati Award' va a 'IMperfetto', a Puteaux; il premio 'Performance of the Year 2025 – Robo Award' va a 'La Clásica', a San Salvador; il premio 'New Entry of the Year 2025 – Solania Award' va a Babette, a Stoccolma; il premio 'Best Marketing 2025 – Mammafiore Award' va a 'Slice & Pie' a Washington; il premio 'One to Watch 2025 – Orlando Foods Award' va ad 'ANTO', a Singapore; il premio 'Best Dessert List 2025 – Latteria San Salvatore Award' va a 'La Bolla', a Caserta; il premio 'Best Fried Food 2025 – Il Fritturista – Oleificio Zucchi Award' va a 'Fratelli Figurato', a Madrid. Inoltre, sono stati consegnati attestati e riconoscimenti a persone ed organizzazioni che si sono distinte durante l’anno per il loro lavoro nella valorizzazione della pizza. Primo tra tutti, il premio 'Outstanding Career Achievement 2025 – Fedegroup Award' assegnato a Jonathan Goldsmith di Spacca Napoli Pizzeria, a Chicago. Tra le associazioni, il riconoscimento all’Associazione Pizzaiuoli Napoletani e al Gruppo la Piccola Napoli per la promozione dell’arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano in Italia e nel Mondo; tra gli eventi di settore, il riconoscimento all’European Pizza Show, a Londra, al Sigep world, a Rimini, e a TuttoPizza, a Napoli, per la Promozione della Pizza in Italia e nel Mondo. A salire sul palco, nel corso della serata, anche John Arena, che già a New York aveva ritirato il premio speciale Icon 2025 Award, per aver dedicato la sua vita alla pizza artigianale negli Stati Uniti, e a cui va un plauso per il suo impegno nella John Arena Foundation, organizzazione non profit dedicata alla creazione di attività culinarie rivolte a persone affette da disturbi neurologici.
(Adnkronos) - L’aumento del 5% della superficie alberata in città comporterebbe una riduzione degli inquinanti atmosferici tale da evitare circa 5mila morti premature all’anno. È quanto emerge da uno studio internazionale al quale ha partecipato Enea, condotto in 744 città di 36 Paesi europei, pubblicato su The Lancet Planetary Health e realizzato nell’ambito del progetto europeo Life Airfresh. Inoltre, la ricerca ha evidenziato che si potrebbero evitare fino a 12mila morti all’anno se ogni centro cittadino avesse una copertura arborea di almeno il 30%. “In ambito urbano polveri sottili, biossido di azoto e ozono sono tra gli inquinanti più pericolosi per la nostra salute e per quella degli ecosistemi. Entro il 2050, si stima che circa l’80% della popolazione europea risiederà in contesti urbani, accentuando la rilevanza di queste problematiche - spiega la coordinatrice del progetto per Enea Alessandra De Marco, responsabile del Laboratorio Impatti sul territorio e nei paesi in via di sviluppo - Aumentare la quantità di alberi in città permetterebbe di ottenere benefici simultanei come il miglioramento della qualità dell’aria, la mitigazione dell’effetto isola di calore estiva, la conservazione della biodiversità e, soprattutto, il benessere dei cittadini”. La Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (Unece) raccomanda l’adozione della strategia del 3-30-300 che consiste nel raggiungimento di tre obiettivi specifici: 3 alberi visibili da ogni casa, scuola o luogo di lavoro, 30% di copertura arborea in ogni quartiere e 300 metri di distanza massima della propria abitazione da un parco o da spazio verde pubblico. Utilizzando un approccio integrato che combina dati ambientali e sanitari a livello europeo su un arco temporale di 20 anni (2000-2019), lo studio ha evidenziato che la copertura arborea media è cresciuta di appena 0,76 punti percentuali e che il 73,5% delle città analizzate ha registrato un incremento del verde. Parallelamente, la mortalità attribuibile all’inquinamento atmosferico è diminuita in media del 3,4%. Nel 2019, 130 città dei 744 centri urbani europei presi in esame (oltre 50 milioni di abitanti, pari a circa il 25% della popolazione di questi centri) avevano una copertura arborea media superiore al 30%. Attualmente, in Italia la copertura vegetale raggiunge il 30% solo a Napoli (32%), mentre a Milano e a Roma arriva, rispettivamente, al 9% e 24%. “Una copertura arborea urbana al 30%, come quella raggiunta da alcune città europee, potrebbe ridurre le morti premature del 9,4% da Pm2,5, del 7,2% da biossido di azoto e del 12,1% da ozono. Al contrario, abbattere la superficie alberata fino ad azzerarla comporterebbe un aumento della mortalità: +19,5% da Pm2,5 (circa 19mila morti premature in più ogni anno), +15% da biossido di azoto (oltre 5.200 in più) e +22,7% da ozono (circa 700 in più)”, sottolinea De Marco. I benefici del verde urbano non si fermano alla qualità dell’aria; gli alberi possono infatti ridurre la temperatura percepita, mitigando l’impatto delle ondate di calore come quella dell’estate 2022 che ha causato circa 62mila morti in Europa (+4%). La Strategia Ue sulla biodiversità al 2030 prevede l’impegno dei Paesi aderenti a piantare almeno 3 miliardi di alberi entro la fine del decennio per portare a un aumento significativo della copertura arborea media nelle città. “Per raggiungere questo obiettivo, i programmi di piantumazione dovrebbero interessare non solo gli spazi pubblici, ma anche, e soprattutto, quelli privati, come cortili residenziali, oltre alle aree periurbane. È fondamentale che urbanisti e amministratori vengano incoraggiati a integrare infrastrutture verdi urbane pensate su misura per i diversi contesti locali. Questo approccio dovrebbe essere accompagnato da politiche di riduzione delle emissioni e da interventi complementari, come i corridoi di aria fredda o i tetti verdi, per massimizzare i benefici in termini di salute pubblica e qualità della vita, con il risultato di città più sostenibili e resilienti ai cambiamenti climatici nel lungo termine”, conclude De Marco.