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(Adnkronos) - L’esecuzione di procedure mini-invasive comporta un’importante abbassamento dei costi grazie alla riduzione della degenza dei pazienti in ospedale, minori morbilità e mortalità. Così l’avanguardia della radiologia interventistica ha ricadute importanti non solo sul benessere dei pazienti – con operazioni meno impattanti, recupero molto più rapido e minori rischi di complicanze– ma anche sulle casse del Servizio sanitario nazionale. È la realtà messa in luce in occasione del 42° Convegno nazionale della sezione di studio di Radiologia interventistica di Sirm-Società italiana di radiologia medica e interventistica. L’evento – che si svolge a Torino da oggi fino al 22 novembre – riunisce fino a 800 tra clinici, docenti e operatori del settore per parlare di innovazione tecnologica e dell’importante collaborazione con le altre specialità cliniche, ma anche della necessità di ambulatori dedicati e rimborsi regionali. "Le innovative tecnologie radiologiche - spiega Paolo Fonio, presidente del Convegno – ci permettono di operare i pazienti con interventi mininvasivi che preservano i tessuti, causano minori complicanze intra e post-operatorie e permettono di rientrare alla vita quotidiana presto, riducendo in modo importante i giorni di degenza ospedaliera previsti in caso di altre terapie più invasive. Si confrontano clinici di diverse specialità - aggiunge - a testimonianza del valore di queste terapie nella gestione integrata dei nostri pazienti: oncologi, chirurghi di diverse discipline ma anche anestesisti, che si stanno formando in tecniche di sedazione differenti rispetto a quelle utilizzate nella chirurgia tradizionale. Grande attenzione - precisa - anche gli aspetti organizzativi della nostra professione: la gestione dei materiali e la necessità di creare ambulatori specificatamente dedicati alla radiologia interventistica. È un tema che ci sta molto a cuore e che vorremmo portare all’attenzione delle Istituzioni: eseguiamo migliaia di procedure l’anno, eppure fatichiamo ancora a ottenere il giusto riconoscimento e la corretta visibilità, che ci permetterebbero di accedere a una maggiore operatività". La radiologia interventistica "nasce negli anni Sessanta - sottolinea Nicoletta Gandolfo, presidente Sirm – come naturale evoluzione della radiologia diagnostica nel momento in cui i radiologi iniziavano a capire che, grazie alle immagini, non era possibile solo vedere l’interno del corpo, ma anche agire al suo interno in modo mirato e poco invasivo: entrare in un vaso sanguigno con un semplice ago e far avanzare fili e cateteri in modo sicuro, non solo per studiarlo, ma anche per curarlo, dilatandone i tratti ristretti senza ricorrere alla chirurgia aperta". Nel corso "dei decenni successivi si sono affermate, e moltiplicate le procedure vascolari: angioplastiche, stent, embolizzazioni. La tecnologia migliora, gli apparecchi di radiologia sono diventati più precisi, le sale angiografiche più avanzate - osserva Gandolfo - e la figura del radiologo interventista ha progressivamente acquistato una identità ben precisa. Oggi la radiologia interventistica rappresenta in moltissimi casi un’opzione terapeutica efficace e vantaggiosa, alternativa o preparatoria alla chirurgia non solo in ambito vascolare, ma anche in molte altre condizioni patologiche extra vascolari e oncologiche e nel trattamento delle emergenze. La Sirm promuove la formazione dei nuovi medici radiologi sia nel campo della diagnosi che della cura, con particolare attenzione alla sua branca interventistica, poiché si tratta di un settore promettente e molto dinamico, in grado di portare grandi vantaggi al sistema". "Oggi i pazienti sono molto più propensi ad accettare il trattamento con radiologia interventistica - evidenzia Luca Brunese, presidente Eletto Sirm - Questo perché la minore invasività e la riduzione dei rischi operatori e dei tempi di degenza rendono molto più accettabile questa opzione terapeutica, riducendo, in molti casi, anche i tempi di attesa dell’intervento". Spesso "il ricorso alle tecniche di radiologia interventistica non rappresenta più solo un’alternativa terapeutica, ma l’opzione migliore, come nel trattamento delle ostruzioni delle arterie degli arti inferiori: il problema viene risolto efficacemente in via endovascolare, mentre anni fa era necessaria un’operazione molto impattante, che poteva richiedere anche 10 giorni di ricovero ospedaliero. Queste tecniche si stanno espandendo anche in altri distretti storicamente appannaggio della chirurgia tradizionale, come nel trattamento dell’aneurisma addominale o in oncologia". "I nostri interventi prevedono l’utilizzo di mezzi di diagnostica per immagini, come tac, ecografia, risonanza magnetica, angiografia e la tomografia computerizzata cone beam (Cbtc) – conclude Giampaolo Carrafiello, direttore di Radiologia del Policlinico di Milano e professore dell’Università di Milano – Con l’ottimizzazione di queste tecnologie possiamo garantire al paziente una precisione e un’accuratezza un tempo insperate: questo comporta una maggiore sostenibilità per il sistema e per il paziente stesso, che può rientrare prima alle attività quotidiane e professionali. Gli interventi che effettuiamo sono validati per offrire un’ulteriore opzione di trattamento delle patologie, in collaborazione con gli specialisti di chirurgia tradizionale da cui veniamo guidati nella definizione della procedura più adatta per il paziente, e di cui non potremmo fare a meno".
(Adnkronos) - "I dazi antidumping del 91,74% sull'importazione di pasta italiana annunciati dagli Stati Uniti non sono, al momento, ancora entrati in vigore. Da quando sono stati comunicati, a inizio settembre, si è infatti aperta una finestra di 120 giorni per presentare ricorso e la procedura è tuttora in corso. Sommati al cosiddetto dazio reciproco del 15%, i dazi antidumping porterebbero il dazio totale per importare pasta dall'Italia agli Usa a quasi il 107%. Se guardiamo ai prezzi al dettaglio della pasta italiana in vendita nei supermercati americani, risulta davvero difficile immaginare che i produttori italiani di pasta pratichino dumping. In Italia mezzo chilo di pasta si vende intorno a 1 euro, 1 euro e 10 centesimi. Negli Stati Uniti un pound (454 grammi) viene venduto a 2,50, 2,99 fino anche a 3,20 dollari. Sembra difficile pensare a un ribasso artificiale. Se questi livelli di prezzo vengono considerati dumping, allora a quanto si dovrebbe vendere la pasta in America? Dieci dollari al pound? È evidente che l’accusa non regge". Ad affermarlo, ad Adnkronos/Labitala, Lucio Miranda, presidente di ExportUsa (società di consulenza che aiuta le imprese italiane a entrare, con successo, nel mercato americano). "Analizzando i documenti del Dipartimento del Commercio americano, emerge - spiega - che alcune aziende sottoposte ad audit non avrebbero fornito tutte le informazioni richieste; in alcuni casi la documentazione è stata prodotta, ma in italiano. Queste imprese sono state classificate come 'uncooperative', ovvero non collaborative. Riteniamo, quindi, che i dazi antidumping siano stati imposti per questo atteggiamento 'uncooperative', piuttosto che per una ragione legata a vere e proprie pratiche di dumping sul mercato Usa. La logica del Dipartimento è chiara: se non mi dimostri che non stai facendo dumping, io applico il dazio". "Proprio per questo motivo, un ricorso ben costruito e presentato nei tempi previsti può realmente avere effetto. I ricorsi vanno redatti con la massima accuratezza: se la motivazione del dazio è stata la presunta mancata collaborazione, allora bisogna dimostrare in modo impeccabile il contrario. Ne vale la pena e bisogna muoversi rapidamente perché il tempo stringe. Ricordo che nel 2024 l’Italia ha esportato negli Stati Uniti circa 750 milioni di dollari di pasta, su un mercato totale che vale 6,2 miliardi di dollari. Le importazioni complessive americane di pasta ammontano a circa 1,8 miliardi: l’Italia, con i suoi 750 milioni, rappresenta quindi quasi il 40%. Un settore di questo peso merita una difesa solida e ben strutturata", conclude.
(Adnkronos) - "Il Cresco Award Città Sostenibili è un riconoscimento che da dieci anni valorizza l’impegno dei Comuni italiani nello sviluppo sostenibile dei territori, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite". Così Giorgio Germani, Consigliere Delegato di Fondazione Sodalitas, intervenendo alla premiazione del Cresco Award 2025 – Comuni sostenibili e Agenda 2030. Ogni anno, ha spiegato Germani, partecipano "circa 90 Comuni, spesso con più progetti, e vengono consegnati complessivamente 120 premi". I riconoscimenti sono assegnati sia dalla giuria di esperti – composta da accademici e personalità del mondo della sostenibilità – sia dalle imprese partner dell’iniziativa, che scelgono di sostenere direttamente progetti virtuosi. "Questo legame tra mondo privato e pubblico è un valore aggiunto fondamentale – ha sottolineato Germani – perché consente di creare sinergie concrete tra aziende e istituzioni locali". Dopo dieci anni, ha concluso, "registriamo una partecipazione stabile e convinta: i Comuni italiani mostrano una crescente consapevolezza ambientale e sociale. Certo, si può fare sempre di più, ma il percorso è tracciato e i risultati sono evidenti".