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(Adnkronos) - L'attentato a Sydney ha riportato all'attenzione internazionale e degli analisti una realtà, il sedicente Stato islamico, considerata in declino e che nel corso degli anni si è trasformata da califfato, ovvero un'organizzazione territoriale con confini riconoscibili, a rete globale frammentata, in grado di colpire lontano dai teatri di guerra tradizionali e di radicarsi in diversi continenti. L'attacco a Bondi Beach, in cui sono state uccise 15 persone, è emblematico di questo cambiamento. Gli attentatori, padre e figlio che avrebbero giurato fedeltà all'Is, avevano viaggiato nelle Filippine nelle settimane precedenti l'attentato. Sajid Akram e Naveed Akram erano arrivati insieme il primo novembre da Sydney. Entrambi avevano poi lasciato il Paese il 28 novembre. Questo viaggio è un dettaglio non marginale. Le Filippine, infatti, rappresentano da anni uno dei teatri più sensibili del jihadismo in Asia. Nel sud dell'arcipelago, tra Mindanao e l'area di Sulu, gruppi come Abu Sayyaf e Maute sono affiliati allo Stato islamico già dalla metà dello scorso decennio. L'assedio jihadista di Marawi durato cinque mesi nel 2017 segnò la sconfitta militare di queste due formazioni, ma non la loro definitiva scomparsa. Le reti sono sopravvissute e continuano a funzionare come hub logistico e ideologico, soprattutto per i militanti dell'Asia sud-orientale. Anche gli attacchi contro forze di polizia e luoghi di culto cristiani non sono cessati del tutto. Nel 2023, militanti islamici hanno fatto esplodere una bomba durante una messa cattolica all'Università di Mindanao a Marawi, uccidendo quattro persone e ferendone decine. Il passaggio dagli scenari di guerra a quelli apparentemente 'periferici', come l'Australia, è - secondo gli analisti - coerente con l'evoluzione dell'Is negli ultimi anni. Dopo la perdita del 'califfato', l'organizzazione ha scelto - o meglio è stata costretta - a rivedere la sua strategia, puntando sul decentramento e sulla maggiore autonomia di singoli o micro-cellule ispirati dalla propaganda. "Lo Stato Islamico per quanto sia stato sconfitto nella sua manifestazione statuale, assurda che aveva preso tra la Siria e l'Iraq, in realtà non è mai scomparso come entità", ha affermato all'Adnkronos Alessia Melcangi, politologa e professoressa associata alla Sapienza. Ma per comprendere dove oggi si concentri davvero la forza dello Stato islamico, bisogna guardare all'Africa, in particolare al Sahel. E' in questa regione che l'Is ha trovato il suo principale baricentro operativo. Tra Mali, Niger e Burkina Faso, l'Is-Sahel ha approfittato del collasso statale, delle tensioni etniche e del ritiro progressivo dei Paesi occidentali per radicarsi sul territorio. Secondo gli analisti, il Sahel è diventato il laboratorio della nuova strategia jihadista: conflitti locali trasformati in guerra ideologica globale, violenza estrema come strumento di governo, competizione e talvolta cooperazione tattica con gruppi legati ad Al-Qaeda. Altre aree del continente mostrano dinamiche simili. In Nigeria e nel bacino del Lago Ciad opera l'Is-Africa occidentale, erede di una scissione di Boko Haram, mentre in Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, il gruppo è diventato un attore militare strutturato. In Europa e nelle Americhe, al contrario, la minaccia resta prevalentemente ideologica. Attacchi complessi sono sempre più rari, ma il rischio di azioni isolate non è scomparso. "Non si è mai messa la parola 'fine' all'esperienza dello Stato Islamico", ha osservato Melcangi, spiegando come su "persone già o emarginate o non integrate in alcune realtà o particolarmente sensibili alla propaganda, all'infowar certi messaggi penetrano e portano alla semplificazione pericolosissima alla quale stiamo assistendo". È la stessa logica che sembra aver guidato il caso australiano: pochi individui, nessun comando diretto dimostrato, ma un forte valore simbolico. L'Is non conquista più capitali, ma sfrutta il caos. E' proprio questa capacità di mutazione, più che la forza militare, a rendere la sua minaccia ancora globale.
(Adnkronos) - “'Cura’ è una parola molto contemporanea, tutt'altro che antiquata, ed è un principio ordinatore, secondo me, della politica e delle politiche pubbliche. Proporre questo concetto oggi ai ragazzi e alle ragazze in questo contesto - dove hanno la possibilità di simulare colloqui di lavoro - vuol dire proporre la visione dello spazio pubblico come uno spazio loro. Esso infatti riguarda sicuramente chi amministra, ma tocca anche la responsabilità di ciascuno e ciascuna. Non esiste uno spazio pubblico decoroso, importante, inclusivo, bello se ciascuna persona non se ne prende cura come fosse casa sua, come fosse il proprio spazio. Questo vuol dire cambiare un approccio, perché a oggi non è così”. Sono le dichiarazioni di Titti Di Salvo, presidente Municipio Roma IX, in occasione dell’edizione 2025 di Labordì, l’evento promosso dalle Acli di Roma dove i giovani incontrano il mondo del lavoro. “E questa cosa va detta ai ragazzi e alle ragazze - conclude - perché nel futuro saranno loro a guidare i processi politici, economici e sociali”.
(Adnkronos) - Il finanziamento da 40 milioni di euro accordato dalla Banca europea per gli investimenti alla Commercianti indipendenti associati (Cia), una delle cooperative socie del Consorzio nazionale Conad, "punta a efficientare le attività dei nostri punti vendita" e si inserisce nel piano complessivo da 80 milioni promosso da Cia. Lo sottolinea all'Adnkronos Luca Panzavolta, amministratore delegato di Cia-Conad, spiegando che uno dei principali interventi sarà quello di moltiplicare gli impianti fotovoltaici presenti nel punti vendite. "Già oggi abbiamo già un'ottantina di negozi dotati di impianti fotovoltaici ma vorremmo superare quota 100, quindi vicini al 50% della nostra rete associata" continua. Ma si vuole - aggiunge - anche "intervenire sul raffreddamento dei negozi, dal gas non inquinante all'efficientamento dei sistemi, che non solo consentono un risparmio energetico importante ma migliorano anche il microclima dentro il punto vendita". Panzavolta ricorda come Cia-Conad "produce un bilancio di sostenibilità già da 2 anni, lo facciamo per l'impegno che abbiamo assunto nei confronti dei nostri soci e dei nostri stakeholder. Con il bilancio 2025, che presenteremo nel prossimo maggio, illustreremo gli impegni che ci siamo assunti e presenteremo una rendicontrazione di quanto fatto nei nostri impianti". "D'altronde - ricorda - per una azienda la sostenibilità non è più una scelta ma un obbligo. E noi lo sentiamo come tale anche dal punto di vista sociale, del territorio, delle nostre comunità e dei nostri soci". Grazie agli interventi attuati e a quelli in corso, aggiunge, " per l'impatto sull'ambiente di un nostro punto vendita crediamo di essere vicini a -30% rispetto a dieci anni fa. Senza dimenticare che questo lavoro rende più sostenibile il business dei singoli punti vendita: certo gli interventi di efficientamento costano, ma è un investimento da cui i nostri associati rientrano nel corso degli anni". "Il nostro modello - sottolinea - è la dimostrazione che si possono ottenere ottimi risultati quando si è inseriti in una rete efficiente : noi forniamo aiuti ai nostri soci con finanziamenti per gli impianti fotovoltaici e convenzioni con le aziende installatrici, e questo consente ai soci di massimizzare i risparmi possibili, senza contare altri vantaggi come l'economia di scala, gli acquisti collettivi e le attività di marketing comuni". Il manager riconosce come "c'è poi un ritorno di immagine verso i clienti perché oggi l'attenzione a queste cose da parte dei consumatori, soprattutto quelli più giovani, è molto forte". " Panzavolta evidenzia poi i risultati ottenuti sulla riduzione degli imballaggi inutili grazie alla forte presenza di prodotti a marchio Conad: "La nostra cooperativa è fra quelle con la quota più alta in Italia di prodotti con il nostro marchio, quest'anno abbiamo superato il 41% di fatturato". Questo offre un duplice beneficio "da una parte perché il prodotto a marchio costa meno mediamente di quello 'industriale' e poi perché in questi anni abbiamo fatto molto per rendere riciclabili o recuperabili gli imballaggi o comunque limitarli. Credo che sia vicino il traguardo del 75% di imballaggi biodegradabili o riciclabili, che era il nostro obiettivo". "Certo, non puo' essere solo un impegno della distribuzione ma deve essere anche delle industrie: credo però - conclude- di poter dire che su questo in generale la sensibilità è molto aumentata "