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(Adnkronos) - “Confindustria dispositivi medici ribadisce l'urgenza di risolvere” la criticità del payback “per oggi, per il passato e per il futuro: si tratta di una norma che penalizza tutti i cittadini, i pazienti, le famiglie e le imprese. Non si può scaricare sulle imprese il fatto che la spesa non sia stata adeguata a coprire i reali fabbisogni di salute della popolazione. Quindi noi ne chiediamo la cancellazione”. Lo ha detto Anna Citarella vicepresidente Confindustria Dispositivi Medici in occasione della seconda giornata del Welfair 2024 la Fiera del fare Sanità, organizzata da Fiera Roma ed Experience – Fare Sanità in collaborazione con LTM&Partners e IdeaGroup e in corso fino a domani nella Capitale. La misura a cui si riferisce Citarella - si legge in una nota - richiede alle aziende di pagare oltre 1 miliardo di euro in forma retroattiva per compensare lo sforamento delle spese regionali maturato fino al 2018 e pretenderà ulteriori miliardi per gli anni successivi. Secondo le stime, il payback - addebitando a molte aziende una cifra superiore a quella del loro bilancio annuale - porterà a rischio chiusura oltre 1.400 realtà, mettendo a rischio il lavoro di oltre 190 mila lavoratori. “Pmi sanità ribadisce l'urgenza di risolvere la problematica del payback anche per i dispositivi medici - aggiunge Gennaro Broya de Lucia presidente Pmi Italia - che crea un impatto devastante sull'erogazione dei servizi sanitari ai cittadini e sulla tenuta di un comparto strategico come quello del MedTech italiano che sta per essere spazzato via da una norma iniqua, ingiusta e illegittima. Noi chiediamo al ministero della Salute che entri immediatamente in campo per risolvere il disastro”. Anche nella gestione del pronto soccorso è stato richiesto un cambiamento netto sul questioni come “trovare personale disposto a fare la vita del medico di pronto soccorso con un weekend libero al mese – dice Adolfo Pagnanelli, direttore Dea Policlinico Campus Bio-Medico Roma - Su 100 posti messi a concorso non riusciamo a coprirne neppure 50. E quest'anno l’80% dei posti di specializzazione in medicina d'urgenza andrà deserto”. All’evento si è parlato anche di zone blu. “Una certa modernità, con abitudini alimentari sbagliate, vite sempre più stressanti e la riduzione del movimento quotidiano stanno mettendo a repentaglio le tradizionali zone blu”, ha spiegato Jorge Eduardo Vindas Lopez, fondatore e direttore della Asociación Peninsula de Nicoya, zona blu della Costa Rica. Ma se alcune zone blu si stanno restringendo, stanno però comparendo nuove zone blu, come certe aree di Martinica e Guadalupe e la Galizia. “La grande opportunità che ci offrono gli studi su quei laboratori a cielo aperto che sono le zone blu - ha sottolineato il neuroscienziato Giovanni Scapagnini - è trasferire elementi di biologia positiva al maggior numero di persone possibile: trasmettere a tutti i ‘segreti di benessere’ dei super sani. Un’operazione di enorme valore in un contesto come quello italiano in cui l’aspettativa di vita media è di 85 anni, ma l’aspettativa di vita in salute si ferma a 60”. Per ridurre il gap è necessario “pensare un'età anziana nella cultura e nella società – ha osservato l’onorevole Paolo Ciani, segretario della XII commissione della Camera dei Deputati politiche sociali e sanitarie - Negli ultimi 200 anni c'è stata una grande riflessione sull'infanzia. Una riflessione simile e una elaborazione culturale simile sull'età degli anziani non è ancora stata fatta ed è il momento di farla”. Gli esperti si sono confrontati anche sulle pandemie non trasmissibili come il lipedema, patologia riconosciuta dall’Oms solo nel 2018, che - ha spiegato Sandro Michelini, angiologo e presidente dell’Associazione internazionale Lwa, Lipedema World Alliance - è una patologia cronica, sottostimata, multifattoriale e fortemente disabilitante fisicamente e psicologicamente, sulla quale uno stile di vita che tenga sotto controllo l’infiammazione incide molto positivamente”. La buona notizia è che oltre il 70% delle principali cause di mortalità, associate a patologie come malattie cardiovascolari, diabete mellito, obesità, sindrome metabolica, malattie neurodegenerative e cancro, può essere prevenuto semplicemente migliorando il proprio stile di vita: restrizione calorica, esercizio fisico, smettere di fumare e ridurre l'esposizione agli inquinanti possono modulare l'espressione dei geni. “Le ultime ricerche – ha evidenziato David Brenner, professore di Cancer Metabolism negli Stati Uniti – ci dicono che la differenza tra età cronologica ed età biologica non è genetica, ma epigenetica; dovuta, cioè, all’espressione dei geni che provocano l’invecchiamento cellulare e che è guidata da fattori come l’infiammazione. Fattori, a loro volta, legati in maniera particolarmente forte all’alimentazione”. Su queste basi, il medico e scienziato Eugenio Luigi Iorio ha fondato nel 2014 ad Ascea l'Università Popolare di Medicina degli Stili di Vita, che si basa su quattro pilastri: alimentazione, esercizio fisico, spiritualità e integrazione sociale. In quest’ottica le città vanno ripensate come fattore di salute e analizzate come fattore di rischio. “Entro il 2030 - ha ricordato Fabio Mosca, professore ordinario di Pediatria e delegato del rettore sui temi della Salute Urbana Università degli Studi di Milano - il 70% della popolazione vivrà nelle città e questo porterà ad un sovraffollamento dei centri urbani. Bisogna voltare lo sguardo ai contesti nord europei che adottano modelli di vita più sostenibili. Incentivare la mobilità dolce, aumentare le aree verdi che riducono il rischio di malattie non trasmissibili e migliorano la salute mentale. Occorre adottare una pianificazione urbana orientata alla tutela della salute che possa ridurre gli effetti negativi del cambiamento climatico”. A proposito della parità di genere, si è ricordato, nel corso dell’evento che , in sanità 7 operatori sanitari su 10 sono donne, ma meno di 3 su 10 occupano una posizione di leadership. Non è solo un tema di parità. “È un tema centrale – ha rimarcato Monica Calamai, direttore generale Ausl Ferrara, presidente Associazione donne protagoniste in sanità - È uno degli obiettivi dell'Agenda 2030, è l'obiettivo 5, andare a eliminare il gender. Negli anni abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla violenza di genere piuttosto che sulla medicina di genere che è un altro modo per dire: cure personalizzate adatte alla singola persona. Le differenze fra uomo, donna non sono legate unicamente da quello che è l'apparato genitale, e riproduttivo, ma sono legate a una molteplicità di fattori che influenzano sia la genesi della malattia che la risposta alle cure e le risposte alle ricerche scientifiche”. Infine, ha puntualizzato Angelo Aliquò, direttore generale Ao San Camillo Forlanini: “Una società dove si investe nella ricerca è più civile, che sta meglio e dove la qualità della vita è migliore”. Pubblico e Privato possono collaborare a questo obiettivo. “Quando si parla di ricerca gli obiettivi devono essere ambiziosi. Si può fare molto di più di quanto non sia stato fatto finora. Non dobbiamo porre limiti alla possibilità di collaborazione e di sinergia, ma piuttosto - ha concluso - trarre vantaggi gli uni dagli altri”.
(Adnkronos) - "È sconcertante che per scoraggiare la regolarizzazione degli immigrati nel nostro Paese, il Governo usi ogni mezzo pur di raggiungere il risultato. È quanto afferma Inca, dopo aver verificato che l’accesso al Portale Ali per inoltrare le domande di nulla osta al lavoro per i cittadini stranieri era precluso ai Patronati. Ad una richiesta di chiarimento rivolta ai Ministeri dell’Interno e del Lavoro, è seguita una nota tecnica nella quale si specificava che gli Istituti di Patronato non figuravano più nell’elenco dei soggetti autorizzati, disattendendo quanto è esplicitamente previsto dal protocollo firmato nel 2007 tra il Ministero dell’Interno e della Solidarietà sociale, da una parte, e gli Istituti di Patronato dall’altra, tutt’ora in vigore. Protocollo da ritenersi tacitamente rinnovato anche per quest’anno, considerando che nessun preavviso di disdetta è stato notificato, come previsto all’articolo 5 del documento". E' quanto denuncia in una nota il Patronato Inca Cgil facendo riferimento al decreto Flussi 2025. "Con questa grave scelta, confermata in data odierna nel corso di un incontro richiesto dal Ce.Pa al Ministero dell’Interno e svoltosi anche alla presenza del Ministero del Lavoro, il Governo si rende responsabile dell’interruzione dell’attività di assistenza gratuita dei Patronati, garantita negli ultimi 16 anni applicando correttamente le disposizioni contenute in ogni decreto flussi", spiega ancora il Patronato. "Un atto di arroganza, ancor più inquietante considerando come la decisione miri ad ostacolare solo il lavoro di coloro che offrono gratuitamente il servizio privilegiando invece l’attività privata da parte dei consulenti del lavoro e delle categorie di rappresentanza dei datori di lavoro (inclusi nell’elenco), che potrebbero richiedere un corrispettivo in denaro per la prestazione", attacca ancora il Patronato. “Mentre il fabbisogno di manodopera straniera da parte delle imprese si fa incessante, il Governo pensa di colpire i Patronati, che in tutti questi anni si sono mostrati alleati affidabili della Pubblica amministrazione per favorire i flussi migratori regolari nel rispetto delle disposizioni di legge nazionali", commenta Michele Pagliaro, presidente di Inca. "Ancora una volta sono gli ultimi, le persone più fragili, a essere colpite: un Governo che dice di combattere l’immigrazione irregolare e lo sfruttamento del lavoro sommerso, così di fatto incoraggia tali fenomeni”, conclude.
(Adnkronos) - “L’Italia prosegue a vele spiegate il suo percorso verso un’economia realmente circolare: continua a crescere il tasso di riciclo dei rifiuti urbani e speciali che rafforza la leadership assoluta del nostro Paese in Europa, aumenta l’impiego dei materiali riciclati al posto delle materie prime e, contestualmente, prosegue la ‘dematerializzazione’ della nostra economia. Un primato che va ben oltre la fotografia scattata dai parametri europei, oggi inefficaci a misurare concretamente il livello di circolarità complessivo dei Paesi Ue". Sono queste le principali evidenze che emergono dall’analisi 'Misurare la circolarità dei Paesi Ue', presentata da Assoambiente, l’Associazione che rappresenta le imprese che operano nel settore dell’igiene urbana, riciclo, recupero, economia circolare e smaltimento di rifiuti, nonché bonifiche, in occasione di Ecomondo, la fiera per la transizione ecologica in corso a Rimini. L’analisi evidenzia a che punto è il nostro Paese nella gestione dei rifiuti (urbani e speciali) e per livello di circolarità nell’Ue. Il documento contiene, inoltre, le proposte avanzate dall’Associazione per migliorare gli attuali tre parametri europei che fotografano i processi di cambiamento in atto nei singoli Paesi e che già vedono l’Italia tra i più virtuosi. Italia leader assoluta del riciclo dei rifiuti urbani e speciali - Il tasso riciclo individua quanta parte dei rifiuti urbani viene effettivamente riciclata. L’Italia nel 2021 (ultimi dati Eurostat) ha raggiunto quota 51,9%, superando il target del 50% previsto al 2020. In Europa il tasso medio di riciclo è pari al 48,7%. In questa speciale graduatoria, l’Italia si colloca all’ottavo posto, dopo la Germania (67,8%), l’Austria (62,5%), la Slovenia (60,8%), i Paesi Bassi (57,8%), la Danimarca (57,6%), il Belgio (55,5%), il Lussemburgo (55,3%). Se guardiamo al totale dei rifiuti solidi, urbani e speciali, il Belpaese, con il suo 85%, è primo assoluto nella classifica dell’avvio a riciclo, davanti al Belgio. Italia quarta in Europa per circolarità - L’indice di circolarità misura la quota di materiale riciclato reintrodotto nelle produzioni industriali, che consente di evitare l’utilizzo di materie prime. L’Italia nel 2022 con il 18,7% (era al 5,8% nel 2004) si colloca al quarto posto nella classifica europea di questo indice, dietro ai Paesi Bassi (27.5%), al Belgio (22.2%) e alla Francia (19.3%). "L’indice di circolarità tiene conto non solo dal tasso di riciclo dei rifiuti, ma comprende anche i combustibili fossili usati e il materiale stoccato in manufatti e beni. Per questo motivo le percentuali risultano così basse", spiega Assoambiente. Italia tra le big in Europa per dematerializzazione dell’economia - L’indice di produttività nell’uso di risorse indica la capacità di un’economia di produrre ricchezza con sempre meno materiali e mette in rapporto il Prodotto Interno Lordo e il consumo di materiale. Nel 2023 l’Italia si è collocata al secondo posto in Europa con un indice di 4.3 euro per kg, dietro ai soli Paesi Bassi con 5.8. “L’analisi Assoambiente evidenzia come il nostro Paese sia oggi al vertice in Europa per livello di circolarità e nel raggiungimento dei target fissati, sempre ben oltre la media europea, con punte di eccellenza per quanto concerne l’effettivo riciclo dei rifiuti urbani e speciali - osserva il presidente Assoambiente Chicco Testa - L’eccellenza del nostro Paese va ben oltre i dati evidenziati dagli indicatori europei, che oggi andrebbero sottoposti a un tagliando in quanto, soprattutto su alcuni di essi incide in maniera significativi l’utilizzo o meno di combustibili fossili, che poco hanno a che fare (non essendo recuperabili) con l’indice di circolarità di un Paese. Misurare in maniera corretta la circolarità di uno Stato può fare la differenza tra subire o meno una procedura d’infrazione, con tutti i costi e gli effetti che questa comporta”.