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(Adnkronos) - "Forse non è mai stata così 'americana' la politica italiana. E cioè incentrata, nel bene e nel male, sul legame atlantico e sugli oneri, le conseguenze e le imprevedibilità che ne discendono. Come a dire che da lì, da quella frontiera, da come ci si pone a cavallo di quella alleanza, scaturisce tutto il resto. Prima la visita lampo di Giorgia Meloni a Mar-a- Lago, poi la mancata visita di commiato che Biden aveva previsto di fare a Roma, poi ancora, di qui a poco, la cerimonia di insediamento di Trump, con il consueto censimento dei presenti e degli assenti. Nel frattempo, tutte le ombre e le voci sul progetto Starlink. Un ribollire di intenzioni, strategie, curiosità e sospetti che sembra annunciare il controverso destino che si affaccia sui confini del nostro cortile di casa. Non è la prima volta che accade, si dirà. Fin dal dopoguerra, nei tardi anni quaranta, l’Italia si divise principalmente sull’adesione alla Nato. E fu la decisione di De Gasperi a tracciare il solco che avrebbe opposto i partiti dell’epoca davanti al bivio tra un mondo e l’altro. Quella decisione finì alla lunga per essere condivisa un po’ da tutti -anche da quelli che inizialmente l’avevano avversata. E un po’ tutti, infatti, riconobbero alla fine che proprio il primato geopolitico americano costituiva la migliore garanzia per la libertà e la sicurezza del nostro paese. Ora ci troviamo però alle prese con un’altra America. E cioè con un modello politico che non appare più così votato come un tempo né verso l’equilibrio dei poteri al suo interno né verso una ragionevole condivisione delle scelte all’esterno. Resta la più forte democrazia del pianeta, si dirà. Eppure a leggere le cronache degli ultimi tempi sembra quasi che quel credo politico che l’ha guidata nei meandri della guerra fredda stia lasciando ora il posto a un diverso ordine di priorità e di preoccupazioni. Non perché la democrazia possa essere capovolta a vantaggio di una dittatura, ci mancherebbe. Ma perché quella forma politica che per noi è sostanza da quelle parti appare ora meno strategica e fondamentale di un tempo. Come se altre priorità e altre premure ne avessero insidiato il primato. O almeno il fulgore. Si affaccia così, di là dai confini di quell’oceano, una visione un po’ sbrigativa e quasi insofferente verso tutte quelle procedure che da sempre servono a tenere in equilibrio la bilancia dei poteri. Come se il trumpismo -per giunta con la variante 'turbo' di Elon Musk- avesse fretta di prendere un sopravvento ancora più marcato, fin quasi a rendere irrilevanti tutte le altre visioni in campo. Quella dell’opposizione democratica. Quella delle voci critiche. Quella delle altre istituzioni. E ovviamente anche quella degli alleati. Verso i quali il potere americano ha sempre mostrato una certa diffidenza. Ma che ora vengono per così dire confinati in un angolo ancora più stretto e angusto. In molti paventano che a lungo andare di questo passo si possa profilare il rischio di una deriva autoritaria. Ma anche senza rincorrere paure e fantasmi così estremi resta il fatto che in tutte le democrazie (e segnatamente in quella americana) si avverte come una sorta di stanchezza verso quelle ritualità politiche e istituzionali che pure hanno fatto la fortuna del nostro modello politico. Così, la suggestione di forme più sbrigative da un lato e la spinta delle nuove tecnologie globali dall’altro sembrano disegnare il percorso -o almeno il rischio- di un progressivo scivolamento verso esiti politici ben diversi da quelli delle più nobili consuetudini che stanno alle nostre spalle. Quasi che il nostro mondo non potesse più venire governato con tutte le cautele, i riguardi, le remore, le prudenze che pure avevano reso a suo tempo così forti le istituzioni e così suggestivi i messaggi che venivano da occidente. Una politica troppo lenta viene a questo punto sfidata da un’economia troppo veloce e da una tecnologia troppo possente. E la concentrazione di tutte queste dinamiche finisce per rendere non più tollerato, o magari anche solo non più conveniente come una volta, il modo di pensare, di agire e di scegliere che improntava le nostre più antiche procedure democratiche. Sono fantasmi? A leggere le cronache non si direbbe. Fatto sta questa doppia sfida che ci viene da questa nuova America che ora sta prendendo il largo pone a Meloni e a tutta la politica italiana, un dilemma assai originale. E cioè come restare stretti alleati degli Stati Uniti mantenendo per tutti noi -italiani, europei- quei larghi margini di originalità e di iniziativa che danno fondamento ai nostri più preziosi caratteri politici. Per tutte le blasonate democrazie europee si annuncia un tempo di molte incognite e di qualche rischio". (di Marco Follini)
(Adnkronos) - “L’industria ceramica italiana, che esporta l’85% sui mercati esteri, è fortemente condizionata dalle crisi internazionali e dall’aumento nei costi dell’energia, che producono pesanti impatti sui budget e richiedono necessari ed urgenti interventi”. Così, con Adnkronos/Labitalia, il presidente di Confindustria Ceramica, Augusto Ciarrocchi, sull'impatto dell'aumento del costo del gas per le aziende associate. Per Ciarrocchi il momento per il settore della ceramica non è facile. “Stiamo affrontando una crisi da domanda -spiega- dovuta ad una contrazione nell’ordine del 5% degli investimenti in edilizia residenziale in Francia e Germania, nostri principali mercati esteri, mentre la congiuntura appare ancora positiva negli Stati Uniti e nei paesi del Golfo Arabico. Anche per il mercato italiano emergono preoccupazioni dovute al peggioramento nel segmento delle ristrutturazioni edilizie, dopo che si sono esauriti gli effetti ma anche le distorsioni del Superbonus”, sottolinea. Una situazione che non permette di fare previsioni a lungo termine. "Difficile fare previsioni sia su volumi che su fatturato per il 2025 perché per i primi l’imprevedibilità e la mutevolezza degli scenari potrebbe cambiare la situazione in modo repentino e consistente", spiega Ciarrocchi. E il presidente di Confindustria Ceramica vede di buon occhio un'intesa Italia-Germania per agire sul prezzo dell'energia, come ventilato dal ministro Pichetto Fratin. "Che le due maggiori manifatture europee -sottolinea- concordino sulla assoluta necessità di una politica energetica comune e razionale, che miri a salvaguardare la competitività delle imprese europee, è di per sé una buona notizia. I costi energetici più elevati sono da sempre un fattore di debolezza per le nostre imprese a cui oggi si aggiunge una elevata volatilità dei prezzi introdotta dalla scelta politica dell'abbandono del gas russo. In questo nuovo scenario, occorre che la politica europea si doti di strumenti idonei a controllare gli effetti sui prezzi delle possibili situazioni di crisi e le spinte speculative che abbiamo visto operare negli ultimi mesi", aggiunge. "Mi pare però che la creazione di una politica energetica europea richiederà tempo mentre già adesso bisogna adottare misure temporanee per ridare fiato alla competitività delle imprese italiane. Da quasi tre anni parliamo di una gas release che ancora non è partita; andrebbe invece attuata subito alimentandola con una quota del gas derivante dai nuovi flussi di approvvigionamento attivati grazie all’azione del Governo dopo la crisi del 2022", conclude. (di Fabio Paluccio)
(Adnkronos) - Lavorare sulla transizione dagli ioni di litio a quelli di sodio per risparmiare e ridurre la dipendenza dai paesi in cui si estraggono e vengono lavorate le terre rare. È questa la sfida in cui si sono cimentati gli esperti del Canepa Lab e quelli del CNRS, in Francia, ottenendo buoni risultati. In tal senso, giocherebbero un ruolo chiave il fosfato di sodio e vanadio, che nei test di laboratorio hanno fatto registrare delle performance molto interessanti. I risultati della ricerca sono stati recentemente pubblicati su “Nature Materials”.