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(Adnkronos) - È botta e riposta tra il sindaco di Milano, Giuseppe Sala e Fedez, sulla questione sicurezza a Milano. A 'scagliare' la prima rima, ieri, è stato il rapper di Rozzano, che in un freestyle a Real Talk ha attaccato tutti, compreso il primo cittadino meneghino. Che oggi ha replicato incassando anche la nuova risposta dell'artista. "Milano brucia, uno stupro ogni venti ore, Beppe Sala influencer con fascia tricolore" canta Fedez. Parole alla quali il sindaco ha replicato in giornata, in occasione della presentazione del programma espositivo cittadino del 2025. "Io non so cosa dire - ha detto Sala - non mi sembrava che Fedez avesse contribuito alla sicurezza milanese, se vogliamo dirla tutta. E la chiudo qui". A stretto giro la replica del rapper: "È il tuo lavoro, non il mio" ha scritto in una storia su Instagram, replicando alle parole del sindaco. Eppure i rapporti con il sindaco, fino a questo momento, non erano mai stati tesi. Anzi. E' proprio dalle mani di Sala che, assieme all'ex moglie Chiara Ferragni, Fedez nel 2020 aveva ricevuto l'Ambrogino d'oro, la massima onorificenza cittadina a Milano, per il loro impegno contro il Covid. L'ex coppia Ferragnez aveva dato vita a un’iniziativa benefica che consentì di ampliare la terapia intensiva all'interno dell'Ospedale San Raffaele di Milano. Grazie a questa iniziativa la coppia aveva ottenuto la massima onorificenza cittadina a Milano. L'intesa che si era creata con il sindaco, ha dato l'opportunità al rapper anche di dare vita a 'Love Mi', un evento di beneficenza musicale italiano organizzato da Fedez in collaborazione, proprio, con il Comune di Milano, per due edizioni di fila realizzato nel cuore della città meneghina, in Piazza Duomo.
(Adnkronos) - Se da un lato aumentano gli investimenti nel benessere dei lavoratori, dall’altro le loro condizioni di salute, soprattutto mentale, mostrano segnali di peggioramento, evidenziando un disallineamento tra le risorse stanziate e l’effettiva efficacia delle iniziative proposte. Ecco che quindi si parla di 'carewashing', un termine che indica la discrepanza tra la retorica dell’azienda sulla cultura della cura e la reale esperienza quotidiana dei dipendenti: alcune aziende tendono sostanzialmente a costruire un’immagine di realtà attenta al benessere dei propri dipendenti, seppure non sempre supportata da azioni concrete in tal senso. “Questa mancanza di coerenza - commenta Marika Delli Ficorelli, head of hr di Zeta service, azienda italiana specializzata nei servizi hr e payroll e pluripremiata in termini di welfare e gestione flessibile dei dipendenti - è molto spesso la causa dell’insoddisfazione delle persone. Ad esempio, promuovere un workshop sulla salute mentale nel quale vengono fornite indicazioni su come stabilire confini appropriati tra lavoro e vita privata e, al contempo, non monitorare i carichi di lavoro, inducendo le persone a sacrificare il proprio tempo personale per rispondere a scadenze serrate, mostra come un’iniziativa potenzialmente virtuosa, possa al contrario rivelarsi un boomerang per l’azienda che l’ha promossa. La fiducia verso il management e la capacità di guardare al proprio futuro con positività vengono drasticamente compromesse, rendendo inefficaci anche le migliori iniziative di benessere”. Un disallineamento, dunque, che si riflette nella crescente sfiducia verso le politiche dichiarate dai datori di lavoro: secondo un’indagine Gallup, la percentuale di lavoratori che a livello globale percepisce un sincero impegno dell’azienda verso il proprio benessere è crollata drasticamente, passando dal 49% nel 2020 al 21% nel 2024, con una riduzione del 57%. Il 79% dei dipendenti, dunque, ritiene che la propria azienda non si preoccupi davvero del proprio benessere complessivo. Infatti, negli ultimi anni, i dipendenti hanno sperimentato livelli sempre più alti di emozioni negative quotidiane sul posto di lavoro, come stress (41%), preoccupazione (38%), tristezza (22%) e rabbia (21%). Disimpegno e demotivazione sono le conseguenze, con costi per l'economia globale di 8,9 trilioni di dollari, ovvero il 9% del PIL mondiale. Non a caso l'occupazione è associata ad alti livelli di soddisfazione quotidiana e a bassi livelli delle emozioni negative. Inoltre, venendo meno l’impegno e il benessere dei dipendenti, il turnover diventa sempre più frequente: secondo il report State of the Global Workplace” di Gallup, i cosiddetti 'quiet quitters' hanno infatti indicato che il miglioramento del benessere sul lavoro è considerato un obiettivo più importante rispetto all'aumento della retribuzione. “La sfida - commenta Delli Ficorelli - è costruire un ambiente di lavoro permeato da trasparenza, coerenza e fiducia, in cui le persone percepiscano un reale ascolto delle proprie esigenze e si sentano in questo senso valorizzate, un ambiente nel quale gli obiettivi di produttività che l’azienda si pone riescano a dialogare costantemente con l’impatto che questi avranno sulle persone. Dobbiamo infatti avere chiaro che il benessere non solo influisce sull’engagement delle persone, ma ha anche un impatto diretto sulla performance complessiva dell'azienda In questo senso risulta essenziale costruire una people strategy che parta dall’ascolto delle persone e che guidi la realizzazione di azioni che sappiano rispondere agli specifici bisogni”. Per evitare il carewashing, le organizzazioni devono costruire una cultura aziendale autentica, basata su fiducia reciproca, empatia, sicurezza psicologica e integrità. Ma per raggiungere questi obiettivi ci sono otto azioni concrete che Zeta Service suggerisce a leader e aziende. 1) Garantire coerenza tra parole ed azioni: l’impegno e l’investimento delle aziende dovrebbero essere coerenti con i valori sui quali si fondano. 2) Coinvolgere le proprie persone: creare un clima di ascolto autentico e condurre valutazioni periodiche che permettano di comprendere le esigenze delle persone e di monitorare l’impatto delle proprie iniziative coinvolgendo collaboratori e collaboratrici, clienti e fornitori nelle decisioni che riguardano i benefit ed i servizi. Questo può avvenire tramite sondaggi, tavoli di lavoro e consulenze aperte, che rendono l’impegno aziendale più partecipato e reale. Per questo motivo Zeta Service ha sviluppato, con il supporto dell'Università Sapienza di Roma, Eleva people value, uno strumento che consente di analizzare e monitorare il clima aziendale, offrendo alle imprese dati concreti per predisporre poi interventi mirati. 3) Rendere trasparente l’impatto delle proprie iniziative: pubblicare dati dettagliati e report trasparenti sui risultati delle iniziative. Questo può includere il monitoraggio e la pubblicazione di indicatori chiave di performance che permettano di dimostrare con concretezza i progressi e i risultati raggiunti. 4) Dare risposte diverse a seconda dei bisogni: personalizzare la proposta di valore con iniziative customizzate, evitando risposte standardizzate su un’idea avulsa dal contesto e dal target di riferimento. 5) Favorire lo sviluppo di una leadership consapevole: l’impegno verso pratiche autentiche dovrebbe essere parte della cultura aziendale. Investire in programmi di formazione, prima sulle linee di leadership e a seguire sul resto della popolazione, può aiutare a diffondere i valori sociali e ambientali e a far sì che l’intera azienda si muova in modo coerente. 6) Investire in progetti a lungo termine: impegnarsi in programmi di lungo periodo, con un impatto reale e sostenibile, evitando iniziative o promozioni legate a eventi specifici e trend del momento. 7) Ottenere certificazioni e standard esterni da enti indipendenti: certificazioni come la ISO 9001 o la UNI/PdR 125:2022 per la parità di genere, che per loro natura prevedono un monitoraggio costante interno e assessment di verifica annuali, offrono garanzie per collaboratori e collaboratrici, clienti e fornitori, migliorano e garantiscono la credibilità delle iniziative, validando l’impegno dell’azienda verso standard sociali e ambientali. 8) Favorire la responsabilità e l’accountability: rendere responsabili le figure chiave per i risultati può aiutare a mantenere l’impegno e la trasparenza a lungo termine.
(Adnkronos) - Rispetto a boomer e generazione X, hanno una radicata cultura sugli aspetti centrali della sostenibilità come natura, clima e ambiente e sulla necessità di un atteggiamento proattivo delle persone, con parole come riciclo, riutilizzo, risparmio ecc…, ma si trovano spesso a dover fare scelte obbligate dalla necessità o semplicemente dalla volontà di non fare rinunce. Sono i futuri protagonisti del 2030, una platea censita da Istat in oltre 11,5 milioni di cittadini italiani, i 16-34enni interpellati dalla ricerca di Eikon Strategic Consulting Italia dal titolo ‘Giovani e sostenibilità sociale’ e si collocano tra millennials e (soprattutto) GenZ. La presentazione della ricerca è l’evento di apertura della Social Sustainability Week, in programma a Roma, dal 2 al 6 dicembre. “La Social Sustainability Week nasce per costruire una comunità di pensiero e di pratica tra leadership visionarie e organizzazioni impegnate nella sostenibilità sociale. Una settimana ogni anno per fare network e cambiare le regole del gioco, usando il fattore ‘S’ come strategia trainante”, afferma Cristina Cenci, Senior Partner di Eikon Strategic Consulting Italia. La ricerca è stata oggi al centro del dibattito, al quale hanno partecipato Paola Ansuini, direttore della Comunicazione-Tutela clientela e educazione finanziaria di Banca d'Italia, Enrico Giovannini, direttore scientifico AsviS, Francesco Sinopoli, presidente della Fondazione Di Vittorio, Patrizia Lombardi, presidente del comitato coordinamento Rete Università Sostenibili, Giorgio Grani, vicepresidente dei Giovani di Confagricoltura - Anga, Dario Scalia, vicepresidente dei Giovani Imprenditori Confcommercio - Imprese per l'Italia e Riccardo Porta, presidente dei Giovani imprenditori Confartigianato. “Quest’anno abbiamo voluto interpellare i Generazione 2030 - spiega Enrico Pozzi, Ceo di Eikon Strategic Consulting Italia - perché dalle precedenti rilevazioni avevamo colto alcuni tratti distintivi di questi giovani rispetto alla sostenibilità e agli obiettivi dell’Agenda 2030. Scuola, università e social media tornano spesso su questi temi ma i ragazzi li interpretano o li applicano spesso in maniera originale. E colpisce il fatto che nelle loro risposte non venga mai menzionata l’Europa e il Green Deal. L’indagine 2024 ‘Giovani e sostenibilità sociale’ vuole capire se e quanto attraverso la Sostenibilità Sociale i protagonisti del futuro del nostro Paese si sentano autentici attori-chiave del cambiamento delle proprie vite e del mondo che li circonda”. La ricerca conferma, infatti, che il 78% conosce Agenda 2030, 64% dei giovani ha sentito parlare di sostenibilità sociale e il 65% si sente molto coinvolto mentre ritiene che aziende (47%) e istituzioni lo siano molto meno (38%). Poi, entrando nel dettaglio, un giovane su 4 non sa spiegare la sostenibilità sociale e quasi 9 su 10 (86%) non ha mai sentito parlare dell’acronimo Environmental, Social, Governance. Ma pur apprezzando l’impegno per smart working e lavoro flessibile (53%), il campione crede (78%) che le istituzioni non si impegnino nella promozione dell’occupazione giovanile e le aziende (67% dei giovani che lavorano) siano poco attente al benessere psico-fisico delle persone. Anche se nella scelta dell’azienda a pesare di più sono sempre la retribuzione (47%) e il contratto stabile (41%). Sempre in materia di lavoro, per il 59% di chi lavora, le donne sono discriminate professionalmente quando diventano madri. E proprio l’attenzione verso i giovani e la visione delle aziende risulta fondamentale per attrarre i talenti, valorizzare la sostenibilità sociale, come hanno raccontato in occasione dell’evento di presentazione alcuni dei rappresentanti delle organizzazioni partner della Social Sustainability Week: Stefano De Vita, responsible Gaming&Global Research Director di Sisal, Andreana Esposito, responsabile Sviluppo Sostenibile del Gruppo Poste Italiane, Anna Maria Morrone, responsabile Organization&People Development del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e Michelangelo Suigo, External Relations Communication&Sustainability Director di Inwit. Tra i partner anche Edison. “Gli under 34 già occupati - osserva Paola Aragno, Vice President Eikon Strategic Consulting Italia - hanno un’idea ben precisa di ciò che vogliono: ritengono fondamentale il work life balance e quasi il 70% chiede con forza alle aziende di mettere al centro il benessere psico-fisico delle persone. Non sono disposti a scendere a compromessi sugli aspetti contrattuali e il 67% giudica inappropriato il ricorso a stage e contratti a termine. Abbastanza buono il giudizio sulle misure a supporto della genitorialità messe in campo dalle organizzazioni, attenzione però a quel 60% che ritiene che le donne siano discriminate professionalmente quando diventano madri”. Colpiscono le risposte sulla transizione energetica, il 56% dei giovani vede il nucleare ‘molto’ o ‘abbastanza’ una valida scelta green, e sull’intelligenza artificiale, con un atteggiamento molto equilibrato: 8 giovani su 10 invitano alla prudenza. Alcune risposte denotano un forte pragmatismo dovuto in parte a disponibilità economiche, come ha di recente confermato Istat sulle retribuzioni di Under 35, e dall’altra da logiche di praticità o comodità che prevalgono su quelle di tutela ambientale o sociale. Il 75% degli intervistati, ad esempio, non considera la sostenibilità negli spostamenti quotidiani ma si fa guidare da rapidità e comodità. Gli acquisti sono guidati più dall’economicità dei prodotti che dalla sostenibilità dell’azienda che li produce e/o commercializza. Al prezzo si guarda meno con l’alimentazione: il 76% non approva il consumo di cibi pronti e l’uso dei delivery. E il futuro non è molto roseo: solo il 37% intravede più opportunità rispetto ai genitori. Stessa percentuale di chi crede nella meritocrazia, puntando sulle proprie capacità mentre il 13% ritiene centrale anche il ruolo della fortuna. Ma il 22% dice di resistere a fatica, identificandosi in un albero, pur carico di frutti, piegato dal vento. Il 23% sceglie la sterile immagine in bianco e nero di un albero isolato che sta perdendo le sue foglie e il 17% sceglie la negazione fiabesca e onirica del problema del ‘chi sono’ (albero centrato e colorato carico di frutti). Nelle associazioni spontanee degli intervistati, temi di ampio respiro come economia, lavoro, clima, inquinamento, guerra, sanità, povertà, crisi e disoccupazione dominano l’orizzonte delle incertezze. A livello personale, invece, trovano spazio preoccupazioni più intime: la casa, i figli, la famiglia, l’amore, la libertà, la felicità, e la paura della solitudine. Il futuro non appare lontano, appesantito da timori concreti e tangibili, in cui l’insicurezza economica è il filo conduttore (dallo stipendio alla pensione). Particolarmente significativa è la paura per la salute, considerata la giovane età del campione. La Social Sustainability Week proseguirà all’Università di Roma La Sapienza con il 'Rewriters fest.' dove si ritrovano per fare rete organizzazioni, influencer, società civile, imprenditori, aziende, artisti, intellettuali, professionisti, stakeholder, opinion leader, giornalisti e istituzioni per un focus point sul game-changing. La ricerca ha coinvolto un campione nazionale rappresentativo di 2000 persone, tra i 16 e i 34 anni, e ha rilevato la conoscenza e la percezione della sostenibilità e il coinvolgimento del campione in 9 su 17 Obiettivi Sdgs 2030.