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(Adnkronos) - In una nota Palazzo Chigi commenta la lettera con cui Donald Trump ha comunicato all'Unione Europea dazi del 30% a partire dal prossimo 1° agosto. "Il governo italiano - si legge - continua a seguire con grande attenzione lo sviluppo dei negoziati in corso tra Unione Europea e Stati Uniti, sostenendo pienamente gli sforzi della Commissione Europea che verranno intensificati ulteriormente nei prossimi giorni". La nota continua affermando: "Confidiamo nella buona volontà di tutti gli attori in campo per arrivare a un accordo equo, che possa rafforzare l'Occidente nel suo complesso, atteso che - particolarmente nello scenario attuale - non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell'Atlantico. Ora è fondamentale rimanere focalizzati sui negoziati, evitando polarizzazioni che renderebbero più complesso il raggiungimento di un'intesa". In una nota la Lega sottolinea che "le relazioni commerciali tra Usa e Italia sono ottime e - come giustamente sottolineato dal governo - lo scontro è insensato". "Trump non ha motivi per prendersela col nostro Paese, - si legge nella nota - ma ancora una volta paghiamo il prezzo di un’Europa a trazione tedesca. Anziché minacciare ritorsioni che Oltreoceano potrebbero solo far sorridere, la tedesca von der Leyen azzeri l’eccesso di burocrazia Ue che è il vero dazio che pagano le nostre imprese come dimostrano i danni dell’ideologia green deal. Le follie di Bruxelles hanno danneggiato imprese e famiglie europee ben prima dei possibili dazi di Trump". "È chiaro che i dazi che gli Usa vorrebbero imporre sono sbagliati e sproporzionati, ma non dobbiamo cedere alla tentazione di dare una risposta emotiva e arrivare a una guerra commerciale che si abbatterebbe su imprese, lavoratori e famiglie", afferma il presidente di Noi moderati, Maurizio Lupi. "L’Unione europea deve, anzi, intensificare gli sforzi negoziali e dare una risposta unitaria, equilibrata ma ferma, senza arrivare a un braccio di ferro. Accanto alla necessità di continuare a trattare, è fondamentale abbattere i molti dazi interni presenti nell’Unione, rafforzare il mercato interno e intensificare i rapporti con altri mercati, a partire da Canada e Sud America. Siamo sempre convinti che rafforzare l’asse euro-atlantico sia una necessità storica oltre che economica, nella consapevolezza che il peso economico dell’Unione è pari a quello americano". "È una vera e propria follia autarchica, quella che sta portando avanti per ragioni puramente ideologiche Donald Trump", dice Elly Schlein, segretaria del Partito democratico, a margine della conferenza 'Le rotte del futuro' organizzata dal Pd per le politiche industriali. "L'impatto dei dazi al 30% - spiega - sarebbe devastante per l'economia italiana e per l'economia europea, ma dentro l'economia europea soprattutto per imprese, lavoratori e lavoratrici italiane, perché siamo un Paese con una forte vocazione alle esportazioni. Io spero che da qui al primo agosto ci sia ancora il tempo e lo spazio per rafforzare il negoziato europeo e che si arrivi a un accordo che sventi una guerra commerciale che sarebbe disastrosa non soltanto per noi, Europa e Italia, ma pure per l'economia degli Stati Uniti. "Ci aspettiamo una presa di posizione netta e forte, che fin qui non c'è stata da parte del governo e di Giorgia Meloni, perché non è che per le loro amicizie politiche possono danneggiare l'interesse nazionale e l'interesse europeo. Adesso c'è da rafforzare ogni tentativo negoziale che possa evitare questi dazi al 30%", afferma Schlein. "Io credo che l'Europa - dice ancora Schlein - debba stare unita e compatta e che sarebbe deleterio avviare una strategia di negoziazioni bilaterali per dare ragione alla strategia di Trump, che è sicuramente quella del divide et impera. Adesso proviamo davvero a sostenere il negoziato europeo. Mi auguro che sia un altro elemento di clamore ma che da qui al primo agosto ci sia ancora il tempo per chiudere un accordo e sventare questa guerra commerciale". "La prima strategia - aggiunge la segretaria del Pd - è quella di fare qualsiasi cosa per evitare i dazi di questo tipo, e se non sarà possibile, essere pronti a una reazione molto forte europea, che vada a toccare dove fa più male a Donald Trump, cioè sugli interessi delle grandi multinazionali delle big tech americane". "Accanto a questo si può fare subito quello che abbiamo chiesto al governo: Sanchez ha messo in campo un piano da 14 miliardi, di cui oltre la metà erano risorse nuove, Giorgia Meloni ha annunciato mesi fa un piano da oltre 20 miliardi di cui nemmeno uno era un euro nuovo ma erano tutte rimodulazioni di fondi già promessi e stanziati. Ci aspettiamo molta più serietà da parte di questo governo anzitutto", conclude Schlein. "Donald Trump ha annunciato dazi del 30% nei confronti dell’Unione europea. Questo vuol dire che per l’Italia sarà una catastrofe, in termini di Pil e di posti di lavoro. Non sono però solo i dazi di Trump, ma sono anche dazi made in Giorgia Meloni, che con Matteo Salvini e gli altri patrioti hanno tifato per Trump, lo hanno sostenuto e magari continueranno a farlo. Meloni ora, invece di affidarsi alla buona volontà di Trump, che non c’è, dovrebbe solo chiedere scusa agli italiani: non solo ha appoggiato il presidente americano ma, insieme ai suoi amici sovranisti, ha picconato l’Europa indebolendola nelle trattative". Lo afferma Il segretario di +Europa, Riccardo Magi, afferma che i dazi saranno "per l’Italia" "una catastrofe, in termini di Pil e di posti di lavoro". "Non sono però solo i dazi di Trump, ma sono anche dazi made in Giorgia Meloni, - dice - che con Matteo Salvini e gli altri patrioti hanno tifato per Trump, lo hanno sostenuto e magari continueranno a farlo. Meloni ora, invece di affidarsi alla buona volontà di Trump, che non c’è, dovrebbe solo chiedere scusa agli italiani: non solo ha appoggiato il presidente americano ma, insieme ai suoi amici sovranisti, ha picconato l’Europa indebolendola nelle trattative" Matteo Renzi invece ha commentato sui social la lettera di Trump: "Dazi al 30% e dunque Trump dichiara guerra (commerciale) all’Europa. Chi negli ultimi mesi ha esaltato quotidianamente l’importanza della 'relazione speciale' tra Meloni e Trump oggi ha perso la voce. Muto all’improvviso. E del resto stanno tutti zitti i sovranisti alle vongole, tutti zitti quelli che dicevano che i dazi sono una opportunità, tutti zitti quelli che dicevano 'Tranquilli, ci pensa Giorgia'". "Spero che gli imprenditori di questo Paese si sveglino dalla cotta che hanno preso per un governo incapace e ininfluente - aggiunge ancora il leader di Italia viva -. Spero che l’Europa si svegli, ora o mai più, uscendo dal letargo della burocrazia. E spero che chi per mesi ha occupato le Tv e i media con la litania del 'Giorgia Meloni è l’amica del cuore di Trump' stiano facendo le valigie per andare in ferie. Qualche settimana al mare, certo. E soprattutto qualche mese lontani dalle redazioni, dai talk, dai social. Alle ultime politiche hanno vinto i sovranisti ma il sovranismo uccide l’Italia che produce. A noi servono la libertà, la globalizzazione, gli accordi commerciali. Il contrario cioè di quello che vogliono Trump e i suoi servi inutili italiani". "Dopo mille giorni di governo sovranista l’Italia di Meloni è più povera e ingarbugliata di prima. E chi lo nega mente", conclude Renzi "Trump fa il gangster: ha appena rovesciato il tavolo delle trattative sui dazi con l’Unione Europea e ha annunciato l’introduzione di dazi al 30% per le merci europee da vendere negli Usa. Dazi che ovviamente riguardano anche l’Italia. A nulla sono servite le vagonate di miliardi di euro che gli Stati europei stanno garantendo all’industria bellica americana, come per altro avevamo previsto. A Trump non basta". Lo afferma Nicola Fratoianni di Avs in un post su Facebook. "Vuole eliminare ogni tassa sulle sue multinazionali, vuole inondare il mercato europeo - prosegue il leader di Si - di cibi e prodotti che non rispettano i nostri standard e la nostra qualità. Vuole che tutte le aziende europee producano le merci in Usa. In sostanza, vuole strozzare l’Europa e far pagare a noi il gigantesco debito pubblico americano. Tutto ciò non porterà a nulla di buono. Bisogna tenere duro, tenere unita l’Europa e rispondere subito con decisione, soprattutto sulle big tech. Aspettiamo parole chiare dal governo italiano e per una volta speriamo che siano in grado di avere la schiena dritta. Meloni ricordi - conclude Fratoianni - di essere il primo ministro del governo italiano e non un ministro del governo Usa". Il Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, dice che ora "serve mantenere tutti la calma e avere i nervi saldi. Non possiamo compromettere i nostri mercati finanziari. E’ ovvio che la lettera arrivata dagli Stati Uniti è una sgradevole volontà di trattare". Lino Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio, commenta all'Adnkronos: "Sul tema dei dazi è evidente che l’impatto ricade direttamente sul sistema produttivo. In particolare, per quanto riguarda l’agroalimentare, sono emersi chiaramente anche i rischi legati alle esportazioni: pensiamo al vino, ai prodotti alimentari, ai formaggi e così via. L’export italiano verso gli Stati Uniti, se non erro, si aggira intorno ai 70 miliardi di euro — una cifra tutt’altro che trascurabile. Si tratta quindi di un mercato strategico, da tutelare con attenzione, e politiche di tipo protezionistico certamente non vanno in questa direzione". Così Ieri, ad esempio, il Presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha affrontato apertamente il tema, sottolineando che – se certe condizioni dovessero concretizzarsi – esiste un reale rischio di recessione. "La situazione è complessa - spiega Stoppani - perché questi fattori incidono anche sul tasso di cambio con la valuta americana. Un eventuale deprezzamento del dollaro aggraverebbe ulteriormente i danni previsti, raddoppiandone l’impatto. Infatti, un dollaro più debole rende più costosi per gli americani i beni importati e, allo stesso tempo, riduce la competitività del nostro sistema turistico", sottolinea. "Basta pensare a quanti americani, che vivono delle proprie entrate e redditi, rappresentano una parte importante del flusso turistico verso l’Italia. Perdere una fetta di quel turismo – proprio a causa della perdita di competitività dovuta al cambio sfavorevole – significherebbe subire un danno economico concreto e significativo", prosegue ancora. Alla domanda se ci siano tatticismi nel comportamento di Trump, Stoppani risponde: "Non so se ci siano dietro dei tatticismi", risponde. "È evidente, però, che i comportamenti di Trump — anche quelli più recenti — hanno mostrato una certa instabilità nelle sue decisioni: prima interviene, poi rettifica, poi sospende... Insomma, non si tratta certo di una linea diplomatica coerente. Queste oscillazioni, in ogni caso, non giovano all’economia, perché generano instabilità, incertezza e complicano anche la gestione commerciale delle attività", conclude.
(Adnkronos) - "Il Report sulla retribuzione 2024 di Coverflex ha rilevato come il 60% dei lavoratori percepisca poca chiarezza nei criteri per promozioni e aumenti salariali, mentre il 74% ritiene il proprio pacchetto retributivo inadeguato o poco competitivo rispetto ad altre aziende del settore. In un mercato del lavoro sempre più fluido e intergenerazionale, questi dati non sorprendono affatto: la trasparenza non è più un 'nice to have', ma un principio imprescindibile per costruire ambienti di lavoro equi, attrattivi e sostenibili". Lo dice all'Adnkronos/Labitalia Andrea Guffanti, general manager Coverflex Italia. "La direttiva europea 2023/970 - spiega - che dovrà essere recepita dai Paesi membri entro giugno 2026 rappresenta un passaggio cruciale, perché introduce l’obbligo di rendere espliciti criteri retributivi, scatti di livello e parametri salariali, assicurando che il divario retributivo tra generi non superi il 5%. Si tratta di un punto di svolta che rischia però di restare solo un atto formale se non accompagnato da un cambiamento culturale più ampio. I numeri italiani, del resto, parlano chiaro. Secondo un recente sondaggio di Indeed, solo il 19,3% degli annunci di lavoro pubblicati online include una fascia di retribuzione, a fronte del 50,7% in Francia e del 69,7% nel Regno Unito. Anche all’interno delle imprese, la strada è lunga: meno della metà adotta politiche trasparenti, e appena il 40% si dichiara favorevole al fatto che i propri dipendenti possano discutere apertamente di salario". "Come manager - sottolinea - credo che la trasparenza non debba essere solo una risposta normativa, ma un valore fondante del modo in cui ripensiamo la retribuzione oggi. E' con questa convinzione che ogni giorno in Coverflex lavoriamo per costruire un sistema più equo, accessibile e consapevole e per ridurre l’asimmetria informativa tra dipendente e azienda. Credo anche che parlare di 'salario' non basti più. Dobbiamo iniziare a parlare di pacchetto retributivo: una combinazione di strumenti che include retribuzione, stock option, benefit, flessibilità e benessere individuale". "Sempre più persone- avverte - in particolare tra le nuove generazioni, chiedono coerenza, chiarezza e partecipazione nei processi retributivi. Non si tratta solo di sapere 'quanto si guadagna', ma come e perché quella cifra è stata definita, quali diritti e opportunità si accompagnano a quel ruolo, quali strumenti rendono realmente sostenibile la vita delle persone e quali possono essere i percorsi di crescita all’interno dell’azienda. In questo scenario, la trasparenza è un impegno che deve riguardare l’intera comunità del lavoro: imprese, manager, istituzioni, collaboratori". "Per essere parte attiva di questo cambiamento - suggerisce Andrea Guffanti - chi fa impresa deve contribuire a promuovere un approccio in cui il dialogo interno, la chiarezza dei criteri, la condivisione degli obiettivi diventino elementi di fiducia e non di conflitto. Perché la fiducia è il fondamento di ogni cultura aziendale sana". "Non basta allinearci a una direttiva europea - ammette - è il momento di abbracciare un nuovo approccio al lavoro, basato su responsabilità condivisa, inclusione e trasparenza piena. Un approccio in cui finalmente retribuire non significa solo pagare una persona, ma prendersene cura".
(Adnkronos) - Nuovo record per gli energy manager, l'esperto in gestione dell'energia, nel 2024: sono 2571 le nomine totali (+19% tra il 2014-2020 e +4% 2020-2024) di cui 1752 da soggetti obbligati (+17% 2014-2020 e +3% 2020-2024). Questi i dati del Rapporto ufficiale sugli energy manager nominati in Italia, predisposto da Fire e presentato in occasione del webinar 'Presentazione del Rapporto Gli Energy Manager in Italia 2025'. "C'è stato un trend tendenzialmente crescente che si è interrotto solo fra il 2021 e il 2022 a causa della pandemia e della forte riduzione dei consumi registrata in quel periodo - spiega Dario Di Santo, direttore Fire - Appena c'è stata una ripresa, le statistiche sono tornate a salire raggiungendo nuovi record". "Complessivamente abbiamo 1869 energy manager che sono meno delle nomine perché per le realtà medio-piccole spesso un consulente opera per più soggetti, quindi ovviamente non c'è un'equivalenza fra nomine ed energy manager", osserva. Da segnalare "una continua crescita della parte femminile che è arrivata al 12%, era al 10% l'anno scorso, al 7% 3-4 anni fa" e che "un terzo delle nomine viene da soggetti non obbligati che quindi ritengono un energy manager comunque fondamentale per le loro attività". Dal punto di vista dell'inquadramento, "se parliamo dei soggetti che scelgono di nominare un proprio dipendente, vediamo che per il 28% sono dirigenti, per il 34% quadri, per il 38% hanno altre posizioni all'interno dell'azienda. Dopodiché un 33% circa delle nomine riguarda consulenti esterni. L'energia gestita è pari a 95 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio". Di Santo sottolinea nel suo intervento che "usare meglio l'energia conviene non solo in termini di bolletta: c'è la riduzione delle emissioni, sia climalteranti sia nocive, c'è il tema del miglioramento della sostenibilità, che ovviamente è importante per imprese che magari sono sottoposte agli obblighi di reportistica, e c'è il tema del miglioramento dell'uso delle risorse economiche perché chiaramente se uso meglio l'energia riduco i rischi sugli approvvigionamenti, riduco i costi, libero risorse per poter fare altro. D'altra parte in termini sistemici usare meglio l'energia mi consente di ridurre gli investimenti in nuova potenza di generazione, riduce la domanda e la dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti energetici e riduce anche la necessità di intervenire sulle reti di trasporto e distribuzione". Il tutto con una serie di ricadute in termini di "valore degli asset, sicurezza, continuità produttiva, produttività, conformità legislativa o ambiente". Durante il webinar è stata presentata, tra le altre, un'indagine realizzata da Fire sull'uso dell’Ia per l’energy management. Il campione contattato da Fire coinvolge fornitori di tecnologie, esperti del settore e aziende utilizzatrici di media-grande dimensione. "Il 38% delle aziende di taglia medio-grande ha implementato l'Ia nel proprio lavoro. Invece, il 56% sta valutando come può implementarla nei prossimi anni", spiega Yasaman Meschenchi di Fire. Quanto alle aree di applicazione, l'Ia viene impiegata per lo più "per monitoraggio, ottimizzazione dei consumi, manutenzione predittiva, automazione dei processi e gestione delle rete". Tra i benefici indicati, "riduzione dei costi, aumento dell'efficienza energetica, riduzione degli sprechi, riduzione del tempo necessario per fare analisi". Non mancano le sfide come la "mancanza di risorse umane con formazione adeguata e macchinari adatti, e a volte ci sono scetticismo e diffidenza verso l'Ia". In conclusione "i risultati della nostra indagine confermano che l'intelligenza artificiale è una leva strategica per migliorare l'efficienza energetica, per ridurre i costi, accelerare la transizione verso un futuro più sostenibile. Se usiamo bene l'intelligenza artificiale, possiamo sfruttare molto bene l'Ia nel nostro lavoro", conclude Meschenchi.