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(Adnkronos) - La Sfida. Quella con la S maiuscola. Quella che, per i prossimi 10 anni salvo imprevisti, potrebbe dominare la scena del tennis mondiale. Ai leggendari Big Three (Djokovic, Federer e Nadal, in rigoroso ordine alfabetico), si è sostituito un binomio che domenica, sul Philippe Chatrier, gioca la prima finale Slam: Jannik Sinner e Carlos Alcaraz si sfidano per il trono del Roland Garros. Erano cinque anni che le prime due teste di serie del torneo non approdavano all’atto conclusivo di Parigi: allora fu Rafa Nadal a imporsi nettamente su Nole Djokovic. Se, a inizio torneo, Carlitos partiva con i favori del pronostico, adesso si viaggia su un binario di totale equilibrio sebbene l’erede del mancino di Manacor sia il campione in carica in Francia: gli esperti Sisal, infatti, vedono Sinner e Alcaraz appaiati in quota a 1,90 per centrare, rispettivamente, il quarto e il quinto Slam della carriera. L’azzurro, in caso di successo, non solo riporterebbe la Coppa dei Moschettieri in Italia dopo 49 anni, l’ultimo a riuscirci fu Adriano Panatta, ma si troverebbe a metà strada del Santo Graal del tennis: il Grande Slam. Vincere i 4 Major (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open) nello stesso anno solare è impresa che, in ambito maschile, è riuscita solo alla leggenda Rod Laver nel 1969. Tornando alla sfida di domenica, Alcaraz è in vantaggio 7-4 su Sinner e ha una striscia aperta di 4 successi consecutivi: nonostante il numero 1 del ranking ATP sia arrivato alla finale senza perdere un set, si preannuncia una sfida lunga e intensa tanto che un risultato esatto di 3-2 si gioca a 5,75 per Carlitos mentre quello a favore di Jannik pagherebbe 6 volte la posta. Se l’equilibrio regna sovrano sin dal primo parziale, entrambi sono dati a 1,85 per la vittoria del set di apertura, ecco che l’ipotesi, offerta a 3,75, di vedere almeno due tie-break in finale è assai concreta: lo storico delle sfide tra Sinner e Alcaraz parla di 11 tie-break in altrettante sfide ma solo in due occasioni non si è arrivati al 6 pari.
(Adnkronos) - Il referendum sul Jobs Act? Di nessuna utilità, perchè il provvedimento varato dall'allora governo Renzi è stato già 'smantellato' nei suoi aspetti più innovativi dalle sentenze della Corte Costituzionale. Ne è convinto il giuslavorista Luca Failla, avvocato dello studio Failla&Partners, come spiega ad Adnkronos/Labitalia. "All’esito degli interventi della Corte Costituzionale, da ultimo in particolare grazie alle sentenze cosiddette gemelle 128 e 129 del 2024 - si può dire senza tema di smentita che il regime prevalentemente 'indennitario' anziche reintegratorio all’epoca introdotto dal Jobs Act di fatto sia stato integralmente smantellato, annullandosi così ogni differenza fra tale disciplina e quella prevista dalla previgente disciplina della Legge Fornero", sottolinea il giuslavorista. Secondo Failla, "alla luce della giurisprudenza costituzionale, che ha già inciso pesantemente sull’impianto originario del cosiddetto contratto a tutele crescenti, è lecito interrogarsi sull'effettiva utilità e impatto dell'iniziativa referendaria, a mio avviso pressoché nulla". Per il giuslavorista, "l’iniziativa referendaria mantiene certamente un valore politico e simbolico, soprattutto a mio avviso con riferimento agli altri quesiti proposti, ma appare limitato nella sua portata applicativa con riferimento al primo quesito dell’abrogazione del Jobs Act. "E infatti - ribadisce - le differenze ormai colmate, ad opera della giurisprudenza costituzionale, in tema di reintegrazione fra la disciplina Fornero e quella del cosiddetto contratto a tutele crescenti oggetto del primo quesito rendono di fatto di alcuna concreta utilità la abrogazione di quest’ultima anche in caso di esito positivo del referendum, se non addirittura peggiorando la misura massima dell’indennizzo che da trentasei scenderebbe a ventiquattro mensilità anche per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015", sottolinea. Secondo Failla, è necessario quindi guardare al futuro. "La parabola del Jobs Act -sottolinea- sembra oggi segnata da una profonda revisione operata dai giudici, più che dal legislatore. In questo scenario, è auspicabile una riforma sistemica e complessiva della disciplina del licenziamento, che aggiorni soglie, criteri e tutele alla luce delle trasformazioni del lavoro e del sistema produttivo, magari andando ad integrare il criterio semplicemente numerico della soglia dei 15 dipendenti, come da più parti richiesto e come anche rilevato dalla Corte Costituzionale". "A prescindere dalla questione relativa al raggiungimento del quorum o meno, in relazione al quesito referendario relativo al Jobs Act, l’abrogazione di singole disposizioni di legge senza una contestuale riformulazione organica del quadro normativo -sottolinea il giuslavorista- rischia di produrre vuoti regolativi ed ulteriore confusione applicativa che necessiterebbe a quel punto l’iniziativa del legislatore. Tuttavia, più che un ulteriore intervento normativo oggi si avverte l’esigenza di una revisione sistemica e coerente della integrale disciplina dei licenziamenti, che tenga conto delle trasformazioni del mercato del lavoro e dell’evoluzione del sistema produttivo italiano". "Senza un intervento legislativo razionale e complessivo, si continuerà infatti a demandare alla giurisprudenza, costituzionale e ordinaria, il compito di colmare lacune normative, esponendo il sistema a incertezze e disomogeneità interpretative", conclude.
(Adnkronos) - “Il contributo che i biocombustibili sostenibili possono dare al processo di decarbonizzazione – o meglio, di defossilizzazione – dei trasporti, non è un’opzione: è un elemento essenziale. Si stima che sarà necessario incrementare di due volte e mezzo, se non tre, la produzione registrata nel 2023 per poter restare sul percorso verso il net zero e, al tempo stesso, dare alle altre filiere – elettrico, idrogeno, e-fuels e altre tecnologie – il tempo di svilupparsi e raggiungere la necessaria scala industriale. Ricordiamo anche che questi altri combustibili richiedono un importante sviluppo delle infrastrutture, mentre i biocarburanti sono essenzialmente pronti: possono essere distribuiti attraverso infrastrutture esistenti e utilizzati con i sistemi attuali. Applicando una corretta valutazione della sostenibilità, con un approccio ‘well to wheel’ e non ‘tank to wheel’, cioè dal campo alla ruota, possiamo ottenere risultati estremamente rilevanti sul piano della riduzione delle emissioni climalteranti. In alcuni casi, possiamo addirittura andare in negativo, rimuovendo CO₂ dall’atmosfera e restituendola come carbonio organico destinabile al suolo – dove ce n’è enorme bisogno – o ad altri impieghi industriali”. Lo ha dichiarato David Chiaramonti, professore ordinario di Economia dell’Energia e Bioeconomia al Politecnico di Torino, intervenendo alla tappa romana del Tour d’Europe presso il Centro Congressi Eni.