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(Adnkronos) - Dopo la copertina di Time, l'editoriale del Times. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, "schietta" e "grintosa", è "la prima leader italiana eletta da decenni a fare una figura seria sulla scena internazionale", oltre a godere di una "popolarità interna" senza pari tra i grandi Paesi europei. Lo ha scritto il quotidiano britannico The Times, in un editoriale firmato da Edward Lucas, giornalista inglese che ha casa, come molti britannici, nella zona del lago di Como e che trova ultimamente molto migliorata, dato che, scrive tra l'altro, vi abbondano "gru e impalcature", in paesi che fino a poco tempo fa "sembravano destinati allo spopolamento e al declino". Un articolo che arriva circa un mese dopo un podcast di Times radio che la definiva la "superstar politica d'Europa". Per il quotidiano britannico, oggi in Italia "i treni sono puntuali e puliti". E il Paese, nota anche, "spende solo l'8,4% del reddito nazionale per la sanità (noi spendiamo un terzo in più) e ottiene risultati migliori". Secondo Lucas, "considerando il potere d'acquisto, gli italiani sono ora più ricchi dei britannici. E vivono anche più a lungo. Milano, capitale commerciale del Paese, e la Lombardia, la sua regione, prosperano, con le Olimpiadi invernali di febbraio che offrono ulteriore stimolo e visibilità". Ultimamente, nota Lucas, "soldi e persone si stanno trasferendo in Italia. Un regime fiscale leggero alletta i super-ricchi". Il quotidiano britannico, di proprietà della News Corp di Ruper Murdoch, ricorda che "l'ultima indagine del Fmi sull'economia italiana ne elogia la disciplina fiscale; non un punto di forza tradizionale". E oggi "ogni immobile adibito a locazione turistica ora espone pubblicamente il proprio codice fiscale Cin, introdotto a gennaio, che rende gli affitti turistici visibili al Fisco". Per il Times, "se la sua coalizione, ben affiatata, manterrà la rotta fino alle elezioni del dicembre 2027, avrà guidato il governo più longevo della storia italiana (che è già al quinto posto). In un Paese in cui la politica era un tempo una scelta tra pagliacci imbroglioni e tecnocrati inariditi, la sua schiettezza e la sua grintosa storia di fondo sono ben accette. Nessun altro leader di un grande Paese in Europa può eguagliare la sua popolarità interna". Inoltre, ha una posizione "vivacemente amichevole nei confronti della squadra di Donald Trump". Niente di tutto ciò, continua, "rende l'Italia perfetta. La crescita economica (sebbene migliore di quella della Germania) raggiunge a malapena l'1%. Le disparità regionali sono marcate (..). I grandi progetti edilizi sono lenti e costosi. L'opacità, legata alla Cina e alla mafia, a volte a entrambe, circonda alcuni flussi finanziari. I fondi Ue che sostengono la ripresa dell'Italia non dureranno per sempre. Permangono preoccupazioni persistenti sulle ambizioni a lungo termine di Meloni e sulla ripulitura del passato fascista da parte del suo partito". Eppure, conclude, "da un punto di vista britannico, trovo un conforto perverso nella svolta dell'Italia. Il suo malessere sembrava inevitabile, frutto di istituzioni screditate, una stretta demografica, debiti enormi, un divario tra Nord e Sud e cittadini che non vedevano sbocchi per i propri talenti. Ma il pessimismo era eccessivo. Se l'Italia può riprendersi, perché non possiamo farlo noi?".
(Adnkronos) - "In questo momento non c'è certezza, non ci sono elementi chiari, perché è una dichiarazione politica, nessuno ha visto il testo tecnico. Quindi non diamo nessun commento di merito, nel senso che potrebbe essere una cosa negativa come positiva, ma in questo momento non siamo nelle condizioni di poterlo dire. Certamente non è positivo che tra Paesi che hanno relazioni storiche come Stati Uniti e Europa, poi scatti il tema dei dazi". Così Mario Emilio Cichetti, direttore generale del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, commentando in un'intervista con Adnkronos/Labitalia, l'intesa sui dazi al 15% sui prodotti europei raggiunta tra Usa e Ue. Secondo Cichetti "sicuramente se il dazio fosse effettivamente al 15% netto, non sommato a dazi precedenti, potrebbe essere nel nostro caso un dazio fastidioso ma non drammatico. Quello che invece è da capire è se nella negoziazione, che mi pare sia tuttora in corso, ci fossero possibilità per alcuni prodotti a dazio zero, che sarebbe la nostra speranza. E non solo nostra, ma di molti altri nostri colleghi del settore. E se questo non fosse possibile, ci si aspetta almeno che alla luce di un dazio di questo tipo ci siano comunque degli aiuti o comunque degli interventi sui settori colpiti, per agevolarli in qualche maniera nel sistema export", sottolinea Cichetti. "Il sistema produttivo italiano è votato alle esportazioni, quello alimentare è il più rilevante -continua- come importanza a livello comunitario, quindi è ovvio che per tutto il sistema made in Italy dell'agroalimentare, in particolare per i prodotti tipici, la partita è importante perché per noi sono mercati di sbocco fondamentali, in particolare gli Stati Uniti", continua ancora. E Cichetti fa il punto anche sugli effetti di questi mesi di incertezza. "Tanti Paesi export sono importanti, ma gli Stati Uniti sono i più importanti, penso quasi per tutti i settori. Noi nel Paese abbiamo ancora una quota di export abbastanza limitata, 19-20%, ma comunque gli Stati Uniti sono stati il primo paese di esportazione extra-Ue nel 2024, il secondo paese dopo la Francia, con circa 100.000 prosciutti esportati negli Stati Uniti sui 450.000-480.000 esportati su base annuale. L'incertezza di questi mesi del 2025, con il dazio provvisorio al 10%, a dire la verità, è stata neutra per fortuna, non ha inciso in maniera significativa sull'esportazione", sottolinea il direttore del Consorzio. Per Cichetti, la spiegazione sta nel fatto "che i prosciutti crudi negli Stati Uniti sono quasi tutti italiani, Dop e non Dop, abbiamo comunque un posizionamento abbastanza consolidato negli anni del sistema italiano". "I prosciutti crudi hanno un valore sul mercato di un certo tipo, sicuramente di alta fascia e probabilmente nelle negoziazioni sottostanti tra i vari soggetti, visto che ci sono circa 4 passaggi da produttore fino al commercializzatore americano, il dazio si è drenato. E' quindi arrivato con un effetto limitato sul mercato, che da un punto di vista è un bene, da un altro è un male perché ovviamente in prospettiva si creano difficoltà sulla redditività", aggiunge. E in conclusione per Cichetti "speriamo che nel dettaglio della trattativa ci sia una visione di riguardo, una visione di attenzione per il sistema agroalimentare italiano, in particolare per i prodotti a indicazione geografica come il San Daniele. E poi il supporto alle imprese è fondamentale, e speriamo che questi eventi alla fine siano meno negativi di quello che oggi ci si può aspettare".
(Adnkronos) - Il 24 luglio 2025 è l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui l’umanità esaurisce il budget ecologico annuale del Pianeta. A calcolarla ogni anno è il Global Footprint Network sulla base dei National Footprint and Biocapacity Accounts gestiti dalla York University. Il Wwf, con la sua campagna Our Future, chiede a tutti di "imparare a vivere nei limiti di un solo Pianeta, oggi più che mai". Secondo i calcoli del Global Footprint Network, infatti, attualmente, la popolazione globale consuma l’equivalente di 1,8 pianeti Terra ogni anno, un ritmo che supera dell’80% la capacità rigenerativa degli ecosistemi terrestri. Questo squilibrio è alla base delle crisi ambientali della nostra epoca: la perdita di biodiversità, la deforestazione, il degrado del suolo, l’esaurimento delle risorse (crisi idrica, collasso di stock ittici) fino all’accumulo di gas serra. Uno sfruttamento di risorse che è aumentato nel tempo, tanto che la data dell’Overshoot si è spostata da fine dicembre, nel 1970, a luglio, nel 2025. Il risultato? Un debito cumulativo nei confronti del Pianeta di 22 anni. In pratica, se il sovrasfruttamento ecologico fosse completamente reversibile, ci vorrebbero 22 anni di piena capacità rigenerativa del Pianeta per ripristinare l'equilibrio perduto. "Un calcolo, però - ricorda il Wwf - solo teorico perché ad oggi non tutta la capacità rigenerativa è più intatta (abbiamo perso intere foreste, eroso i suoli, impoverito i mari…) e alcuni danni che abbiamo provocato sono ormai irreversibili (come le specie che si sono estinte o i ghiacciai sciolti). Inoltre, la crisi climatica in corso aggrava ulteriormente la capacità del Pianeta di rigenerarsi". “Non solo stiamo vivendo 'a credito' ogni anno, ma abbiamo anche accumulato un enorme debito nei confronti del sistema Terra. Ripagare questo debito, in termini ecologici, è quasi impossibile se continuiamo a ignorarne le conseguenze - afferma Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia - Si tratta di una chiamata urgente all’azione per cambiare radicalmente il nostro modello di sviluppo, prima che il danno diventi definitivamente irreparabile”. La rotta - avverte l'associazione - può essere invertita: "Per riportare l’umanità in equilibrio con le risorse terrestri (ovvero far coincidere l’Overshoot Day con il 31 dicembre), dobbiamo ridurre l’impronta ecologica globale di circa il 60% rispetto ai livelli attuali". Per il Wwf, è possibile spostare la data dell’Overshoot agendo in cinque settori strategici: "Transizione energetica (passare a fonti rinnovabili ed eliminare i combustibili fossili); economia circolare (riciclare, riutilizzare, azzerare gli sprechi); alimentazione sostenibile (diminuire il consumo di carne e preferire cibi biologici, locali e stagionali); mobilità green (favorire trasporti pubblici, biciclette e veicoli elettrici); politiche globali (accordi internazionali più stringenti per la tutela ambientale)". Così, "se riuscissimo a spostare l’Overshoot Day di 5 giorni all’anno, entro il 2050 torneremmo in equilibrio con le risorse del Pianeta. Si tratta di una media realistica che combina: tecnologia (efficienza energetica, rinnovabili), comportamenti individuali (dieta, trasporti, stile di vita) e politiche globali (accordi climatici, economia circolare)". “Un nodo cruciale è il nostro modello economico, fondato sulla crescita illimitata dei consumi materiali - di energia, risorse, materie prime - che è semplicemente incompatibile con un Pianeta dalle risorse finite. Non dobbiamo puntare all’aumento quantitativo, ma a un progresso qualitativo, fatto di conoscenza, relazioni umane, diritti e tutela della Natura da cui dipendiamo. È fondamentale sostituire il Pil come unico indicatore di sviluppo con indicatori più complessi, che considerino la salute degli ecosistemi, il benessere psicologico e la coesione sociale”.