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(Adnkronos) - "Le due cose devono andare insieme: aiuto a chi è in difficoltà, ma maggiore capacità di produrre ricchezza da parte della generalità dei posti di lavoro". Così Gian Maria Gros-Pietro, presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo, rispondendo all'Adnkronos in collegamento da Cernobbio a una domanda circa i rischi sui posti di lavoro dal processo di digitalizzazione e la necessità di intervenire con strumenti per chi rimane privo di reddito. "I nostri posti di lavoro non sono sufficientemente attrattivi, non riescono a trattenere i nostri laureati, ma non riescono neanche a consentire ai nostri giovani di crearsi una famiglia, a comprarsi una casa", sottolinea Gros-Pietro. "Questo è il motivo per cui, come in tutte le altre grandi rivoluzioni tecnologiche del passato, a partire da quella dell'industrializzazione, bisogna cogliere l'onda e muoversi con essa, far crescere la redditività, la capacità di produrre ricchezza dai nostri posti di lavoro, investendo tantissimo nelle nuove tecnologie, in particolare nelle tecnologie digitali", sottolinea. "Sono quelle che stanno facendo crescere tutto il mondo e l'Italia ha bisogno di crescere più rapidamente in questa direzione", evidenzia. "Intesa Sanpaolo sta investendo tantissimo, abbiamo già assunto 3.500 persone esperte in tecnologie digitali per andare avanti in questa transizione che ci deve tenere a livello dei migliori paesi nel mondo", spiega. "Credo che l'Italia non sia messa in condizioni di svantaggio rispetto ad altri paesi. Le nostre imprese producono in gran parte prodotti pregiati che possono anche sopportare dei prezzi più alti legati ai dazi", ha poi spiegato il presidente Cda Intesa. Si tratta di imprese "che sono state e sono tuttora molto veloci nel riorientarsi verso nuovi mercati e nuovi prodotti. I nostri esperti hanno fatto delle previsioni. Da un lato immaginano che le imprese scarichino sui prezzi all'esportazione i dazi, quindi che le loro merci costino di più e che quindi sia possibile che se ne vendano di meno: in questo caso ci sarebbe un risultato negativo, però non travolgente, meno 0,2% di crescita del Pil. L'ipotesi invece estrema è che le imprese prendano tutto a loro carico il dazio per non aumentare i prezzi di vendita. Questo farebbe ridurre i loro margini di utile che comunque rimarrebbero maggiori di quelli che erano nel 2019 prima della pandemia", sottolinea. In conclusione, dice Gros-Pietro, "sarebbe stato meglio che i dazi non ci fossero, ma siamo in grado di affrontarli e non dimentichiamo che l'obiettivo vero è far crescere la nostra economia in direzione di una più alta redditività economica, reale, concreta, dei posti di lavoro", conclude. "Con le banche che abbiamo non siamo in grado di fare competizione con le banche americane e con quelle cinesi, quindi bisogna riuscire a creare delle banche più grandi", ha quindi risposto all'Adnkronos sul risiko bancario. "Su scala nazionale qualcosa si può fare, ma ciò che dovrebbe essere fatto per mettere l'industria bancaria europea in grado di competere con quella americana e con quella cinese, dovrebbe arrivare un consolidamento tra Paesi diversi, quindi attraversando le frontiere", sottolinea Gros-Pietro. "Questo al momento è estremamente difficile, ci sono una serie di ostacoli, ci sono reazioni negative da parte dei singoli governi, ma anche da parte delle opinioni pubbliche dei Paesi", evidenzia. "Con le banche che abbiamo non siamo in grado di fare competizione con le banche americane e con quelle cinesi", sottolinea Gros-Pietro che puntualizza: "Per fortuna comunque in questa situazione l'Italia ha alcune delle più grandi banche dell'Eurozona e quindi siamo messi non meno bene dai migliori, siamo tra i migliori", conclude
(Adnkronos) - "Premetto che non amo polemiche tra Ordini professionali, e specialmente se hanno ad oggetto tentativi di entrata in ambiti di altri Ordini. Io credo che tra ordini professionali debba esistere un clima di unità, solidarietà e condivisione dei percorsi. Poi è chiaro che ci sono situazioni che possono anche essere discusse ma non amo le polemiche. Detto questo io prendo atto della reazione della nostra categoria, una reazione di orgoglio, con la consapevolezza che quando le proprie attività sono oggetto di desiderio di terzi vuol dire che abbiamo fatto bene, con un percorso in questi 20 anni ricco di soddisfazioni, e solo l'inizio di quello che faremo in futuro". Così Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro, intervistato sulla web tv di categoria risponde sulle polemiche innescate dalla decisione dell'Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) che ha confermato, che il protocollo Asse.Co. (Asseverazione di conformità contributiva e retributiva) rimane di esclusiva competenza dei consulenti del lavoro, respingendo la richiesta del consiglio nazionale dei dottori commercialisti di estenderla anche a loro. E la polemica ha riguardo anche altre competenze dei consulenti del lavoro. "Mi viene da sorridere -ha continuato De Luca- perchè quando il legislatore, dalla legge Biagi in poi, ha individuato in maniera esclusiva i consulenti del lavoro per assegnargli delle funzioni lo ha fatto sulla base di due considerazioni. Una è certamente il tema della competenza, della specializzazione, sin da quando i nostri giovani iniziano il loro percorso di studi e poi di tirocinio c'è una conoscenza verticale dei temi". "L'altra considerazione -ha spiegato ancora De Luca- arriva dal ministero del Lavoro: Sacconi, Damiano, Giovannini, Poletti, tutti i ministri che hanno firmato i provvedimenti che hanno assegnato ai consulenti del lavoro la potestà di intervenire in materia di conciliazione dei rapporti di lavoro. di arbitrato, di conciliazione dei contratti, di politiche attive, hanno considerato che quando si devolve in sussidiarietà un potere dello Stato a un ordine professionale questo può avvenire solo se c'è la vigilanza. Quindi, il ministero del Lavoro ha un potere, lo devolve, vigila su quel potere, assegnato a un ente o categoria professionale con caratteristiche ben precise, e quindi anche in questo caso ci troviamo davanti a delle polemiche non certamente legate a una valenza pubblica ma privata insomma", ha concluso De Luca.
(Adnkronos) - Fire accoglie "favorevolmente il decreto di revisione del meccanismo dei Certificati bianchi da poco firmato dal Mase ed attualmente all’esame della Corte dei Conti. Le nuove regole introducono una maggiore flessibilità e semplificazioni sia per i proponenti che per la presentazione dei progetti, oltre a definire gli obblighi fino al 2030 in linea con le previsioni del Pniec". "Questo induce ad essere ottimisti circa la continuità della crescita del meccanismo in atto da qualche anno - osserva Fire - La conferma dei vari meccanismi di flessibilità, con riduzione progressiva dei titoli virtuali negli anni, consentirebbe comunque di affrontare eventuali periodi di carenza di Tee senza eccessivi traumi. La previsione di introdurre uno schema d'aste, che sarebbe stato utile per promuovere interventi non sufficientemente supportati dei certificati bianchi, è declassata a possibilità, ma comunque rimane e dunque lascia aperto uno spiraglio". In sintesi, "per quanto riteniamo che sarebbe possibile introdurre misure più spinte per ottenere di più da questo schema, riteniamo che sia stato fatto un passo avanti positivo e che ci sia spazio per ulteriori rafforzamenti nei prossimi anni, nell'interesse delle imprese, degli enti e del Paese. Come Fire continueremo a collaborare con le istituzioni di riferimento in quest'ottica".