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(Adnkronos) - "Donald Trump è l’inedito che irrompe alla Casa Bianca (e nelle nostre contrade). Nonostante abbia una certa età, nonostante sia al secondo mandato, nonostante abbia svelato molto di sé -propositi e difetti- si respira intorno alla sua presidenza un senso di novità che inebria alcuni e angoscia altri. Il sottoscritto -lo dico subito- fa parte di questi ultimi. Il tentativo di rintracciare qualche somiglianza con i suoi predecessori non convince quasi nessuno. Egli non è Nixon, nonostante si parli di “presidenza imperiale”. Non è Reagan, per quanto all’epoca sia stato vissuto anche lui come una novità all’epoca dirompente. E forse non è neppure il Trump di otto anni fa. Fanno differenza lo slancio con cui è partito, la spigolosa nettezza dei suoi nuovi propositi, subito tradotti in ordini esecutivi, e soprattutto quella compagnia ricca e spregiudicata che gli fa da corona. Quello che rileva è l’ampiezza (e l’eterogeneità) della coalizione trumpiana. Un arco di forze che spazia dai megamiliardari ai poveri cristi, dai detentori dei brevetti e delle tecnologie più avveniristiche agli abitanti delle province più retrive e desolate, dai costruttori di futuro ai nostalgici del passato. Un impasto di tecnocrazia e di populismo mai visto all’opera prima d’ora. E’ ovvio che questa coalizione ospita interessi e mentalità in conflitto, tra cui il nuovo presidente un po’ farà lo slalom e un po' dovrà per forza infliggere qualche delusione. Cosa che riaprirà, a medio termine, una partita politica che in queste ore sembra chiusa una volta per tutte, o quasi. E tuttavia non è detto che le difficoltà di navigazione di Trump rimetteranno in forze i suoi antagonisti, al momento senza troppe speranze e senza nessuna idea. Il punto è che quanti si oppongono alla deriva trumpiana hanno a loro volta il dovere di ripensare i capisaldi di un ordine politico che è andato in frantumi. Non solo correggendo alcuni eccessi della cultura woke che sono stati sonoramente bocciati dagli elettori americani. Ma anche, e direi soprattutto, ritornando a chiedersi come possa funzionare una democrazia insidiata dalla fretta e dalla sfiducia. Già, perché è proprio qui che si è rotta la trama politica che ci ha tenuto compagnia per tanti e tanti anni. Abbiamo sacrificato troppo incenso sull’altare della fretta, come se solo la continua accelerazione, la rincorsa affannosa verso sempre nuovi traguardi servissero a rigenerare il nostro tessuto civile. E abbiamo lasciato per terra, a tutti i crocevia delle nostre strade, tonnellate e tonnellate di sfiducia verso chiunque si sia trovato a svolgere -nel bene e nel male- una funzione pubblica. Non abbiamo capito che la vita politica e sociale deve sempre avere un suo corso, mai troppo affrettato e concitato. E che quel corso va attraversato appunto con un passo non troppo flemmatico ma neppure così frenetico, nevrotico e incurante verso chi è abituato a camminare più lentamente. Non è un caso che Trump abbia adottato come parola d’ordine quella dei “forgotten men”, quei cittadini americani che ricorrono nel linguaggio delle campagne elettorali a stelle e strisce fin dai tempi di Franklin Roosevelt e della crisi del '29. Segno che quel divario tra paese reale e paese legale, come lo chiamiamo dalle nostre parti, resta una ferita aperta che la buona volontà politica e la saggezza dei notabili non riescono a cicatrizzare. Certo, la risposta che la nuova presidenza Trump promette e/o minaccia di offrire a questo smarrimento desta più di qualche inquietudine. Essa rischia infatti di portarci verso nuove spaccature: tra americani ed europei, tra ricchi e poveri, tra i pochi insider privilegiati (fin troppo) e una moltitudine di outsider che potrebbe gonfiarsi a dismisura. Tutte questioni che il nuovo inquilino della Casa Bianca pretende di sapere come si debbano affrontare. Mentre i suoi oppositori sembrano viaggiare in ordine sparso, con propositi fin troppo diversi gli uni dagli altri. I presagi sul tramonto della democrazia americana sono esagerati, probabilmente. O almeno prematuri. Ma se si vuole che quello straordinario ingranaggio -fatto di pesi e contrappesi, di civilissime controversie, di equilibri da cercare continuamente tra gli uni e gli altri- ricominci a funzionare senza spargere troppi veleni in giro per il mondo occorrerà che anche i più critici ripensino se stessi in una chiave nuova. Tornare a prima non si può, per quanto lo si possa desiderare". (di Marco Follini)
(Adnkronos) - European health development, holding che controlla UniCamillus, università privata specializzata nelle scienze mediche e sanitarie, guidata dal rettore Gianni Profita, annuncia l’ingresso nel proprio capitale, con una quota di minoranza, di un gruppo di investitori italiani e internazionali di rilievo riuniti da H14, family office di Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi. Tra gli investitori la famiglia Marzotto, la famiglia Doris, la famiglia de Brabant, e Istituto Atesino di Sviluppo. Negli ultimi anni, UniCamillus ha consolidato la propria posizione come punto di riferimento nella formazione di professionisti nel settore medico e sanitario, distinguendosi per la sua vocazione internazionale ed il forte impegno, in particolare, verso i Paesi in via di sviluppo. L’ingresso di H14 consentirà all’Ateneo di accelerare ulteriormente il proprio percorso di crescita, puntando al rafforzamento della presenza sul territorio italiano ed all’espansione delle collaborazioni internazionali con istituzioni accademiche di prestigio. Un focus strategico sarà rappresentato dagli investimenti in infrastrutture e tecnologie all’avanguardia, con l’obiettivo di offrire agli studenti un’esperienza formativa di eccellenza e di promuovere l’innovazione nell’educazione medica. UniCamillus continuerà inoltre ad investire nel capitale umano, rafforzando il proprio corpo docente e attirando professionisti, ricercatori e accademici di fama internazionale. “In pochi anni dalla fondazione - ha dichiarato il rettore Gianni Profita - l’ateneo ha ottenuto straordinari risultati confermando l’intuizione originaria di coniugare l’eccellenza della formazione medica con una visione umanitaria internazionale. Oltre 5000 studenti - provenienti da oltre 70 Paesi del mondo - oggi affollano le nostre moderne aule dove ottimi e selezionati docenti li preparano per i tirocini nei migliori ospedali. UniCamillus è destinata oggi a crescere ancora di più grazie alle idee e all’esperienza del family office guidato da Luigi Berlusconi con il quale ho trovato assoluta consonanza di idee e di visione”. “Con UniCamillus - ha dichiarato Luigi Berlusconi, presidente della società - condividiamo come H14 una visione ambiziosa: costruire un futuro in cui formazione e innovazione possano rispondere concretamente alle sfide globali della salute. Crediamo nell’investimento in realtà capaci di trasformare il sapere in impatto sociale, e UniCamillus rappresenta una straordinaria sintesi di eccellenza accademica e missione umanitaria. Il nostro impegno è quello di accompagnare questo percorso, ampliando orizzonti e opportunità con lo sguardo rivolto alle generazioni future." Nel contesto dell’operazione, Mediobanca ha agito come advisor finanziario esclusivo di UniCamillus ed unico advisor finanziario coinvolto nell’operazione. Gli studi Gianni & Origoni, Giordano-Merolle e Profeta hanno supportato UniCamillus per gli aspetti legali e fiscali. H14 è stata assistita da PedersoliGattai, Yard Reaas, New Deal Advisors e Spada Partners.
(Adnkronos) - "Penso che l'Europa non possa rimanere indietro" sulla guida autonoma. L'esortazione è dell'ad di A2a Renato Mazzoncini, nel giorno in cui la multiutility, insieme a Politecnico di Milano e Most ha lanciato a Brescia la prima sperimentazione europea di car sharing a guida autonoma. "Il tema geopolitico è chiaro: poche ore fa negli Stati Uniti hanno annunciato che mai un'auto cinese a guida autonoma circolerà sul territorio americano, perché temono che una tecnologia di questo genere possa essere pericolosa e penso che lo stesso tema lo abbia l'Europa, che quindi - ha evidenziato Mazzoncini - "deve decidere cosa fare: o ci sviluppiamo la nostra piattaforma oppure prima o poi dovremo aderire a quelle degli altri". Il suggerimento dell'ad, "vista l'importanza anche per la nostra industria e per la nostra ricerca" è di "lavorare su una nostra piattaforma. Negli Stati Uniti hanno deciso di partire da due play ground, Phoenix e San Francisco. Oggi noi lanciamo questo progetto da Brescia, domani in Europa potrebbero essercene altre. Da qualche parte bisogna partire". E Brescia è un buon posto per farlo. "E' una città dove sapevamo che c'era terreno fertile per la sperimentazione, è sempre successo così. E' successo così con il teleriscaldamento nel 1973, nel 1999 con il grande termovalorizzatore e poi con la metropolitana automatica, la prima in Italia. Una città che recepisce bene e poi ha una dimensione che da laboratorio funziona bene", ha detto Mazzoncini, assicurando che "la sperimentazione rimane a Brescia, anche perché le strade vanno mappate e abbiamo bisogno di un livello di dettaglio molto maggiore". Al termine della sperimentazione, a fine novembre, bisognerà capire cosa fare. La scelta dipende anche dalla risposta che darà la politica. Su questo "siamo confidenti", ha detto l'ad.