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(Adnkronos) - Più di un milione di barili di petrolio da marzo. Così, si stima, Mosca 'ripagherebbe' la Corea del Nord e Kim Jong-un per gli armamenti e le truppe inviate da Pyongyang in Russia per sostenere la campagna militare in Ucraina. A parlare è l'analisi di immagini satellitari, condivise con la Bbc, condotta da Open Source Centre, basato nel Regno Unito. E, dicono alla rete britannica il ministro degli Esteri britannico David Lammy ed esperti, il petrolio serve come metodo di pagamento per armi e truppe nordcoreane arrivate in Russia, con il conflitto in Ucraina che va avanti da oltre mille giorni, innescato dall'invasione russa su vasta scala avviata il 24 febbraio 2022. "Per continuare a combattere in Ucraina, la Russia - rileva Lammy - è diventata sempre più dipendente dalla Corea del Nord per le truppe e le armi in cambio di petrolio". Con "un impatto diretto sulla sicurezza nella penisola coreana, in Europa e nell'Indo-Pacifico". Le immagini satellitari mostrano più di una decina di petroliere nordcoreane che arrivano al porto russo di Vostochny per un totale di 43 'viaggi' negli ultimi otto mesi, tutti 'in incognita'. Alcune immagini sembrano immortalare le petroliere scariche all'arrivo e quasi a pieno carico alla partenza, al 90% della capacità secondo lo studio del pescaggio. Inoltre, evidenzia la Bbc, più della metà dei 'viaggi' tracciati da Open Source Centre è stata effettuata da imbarcazioni sanzionate. No comment dal ministero degli Esteri russo. Il primo trasferimento di petrolio documentato da Open Source Centre in un nuovo rapporto risale al 7 marzo scorso, sette mesi dopo - evidenzia la Bbc - le prime notizie sull'invio di armi in Russia da parte di Pyongyang, che nel frattempo ha dispiegato nella Federazione migliaia di truppe. L'ultimo trasferimento registrato risale al 5 novembre. "Il flusso costante di petrolio dà alla Corea del Nord un livello di stabilità che non ha avuto da quando sono state introdotte le sanzioni", osserva Joe Byrne di Open Source Centre, che parla di "navi che appaiono silenziosamente, quasi ogni settimana", di un "flusso abbastanza costante da marzo". E, "questi trasferimenti stanno alimentando la macchina da guerra di Putin", commenta con la Bbc Hugh Griffiths, che dal 2014 ha guidato per cinque anni il gruppo Onu responsabile per il monitoraggio delle sanzioni alla Corea del Nord. "Petrolio in cambio di missili, petrolio in cambio di artiglieria e ora petrolio in cambio di soldati", sintetizza. Si tratta di trasferimenti che violano le sanzioni Onu (la Russia è membro permanente del Consiglio di Sicurezza), che impediscono la vendita di petrolio alla Corea del Nord, se non in piccole quantità. A Pyongyang non è consentito acquistare l'oro nero sul mercato. Dal 2017 può ricevere, hanno stabilito le Nazioni Unite, un massimo di 500.000 barili di petrolio raffinato all'anno, a fronte di un consumo di nove milioni di barili. Proprio a marzo, tre settimane dopo il primo trasferimento documentato, la Russia ha usato il veto al Consiglio di Sicurezza per far saltare il gruppo di esperti e di fatto il monitoraggio delle sanzioni Onu a Pyongyang. "Stavamo monitorando alcune delle navi e delle compagnie coinvolte, ma il nostro lavoro è stato interrotto, forse dopo che avevano già superato il limite dei 500.000 barili", ha confermato Ashley Hess, che lavorava nel panel. Ma in ballo non c'è solo il petrolio. "Pensavo non fosse nell'interesse della Russia condividere tecnologia militare, ma forse i calcoli sono cambiati - dice Andrei Lankov, esperto di relazioni Mosca-Pyongyang alla Kookmin University di Seul - I russi hanno bisogno di queste truppe e questo dà più potere alla Corea del Nord". Come osserva Go Myong-hyun dell'Istituto sudcoreano per la strategia di sicurezza nazionale, "ora Kim riceve il petrolio direttamente (non più con rischiosi e costosi trasferimenti in mare aperto), probabilmente di qualità superiore ed è possibile gratuitamente come contropartita per la fornitura di munizioni". E, dice, "un milione di barili non sono nulla per un grande produttore come la Russia, ma è un quantitativo considerevole per la Corea del Nord". Quindi, l'allarme. "Se mandi la tua gente a morire in una guerra straniera - conclude Go - un milione di barili di petrolio non è una ricompensa sufficiente".
(Adnkronos) - Riformare la contrattazione collettiva in Italia. Non è un auspicio né un appello, quello della Uiltucs, la Uil del terziario che sottoscrive i contratti collettivi di commercio, turismo e servizi in Italia, ma un proposito. Ed è attraverso una serie di punti fermi che si articola la proposta, concreta e attuabile, presentata dal sindacato guidato dal segretario generale Paolo Andreani in occasione dell’iniziativa di oggi, 21 novembre, a Roma, dal titolo 'Terziario. Per un nuovo sistema di relazioni sindacali'. Alla mattinata, preceduta dalla presentazione di una ricerca sul settore, hanno preso parti i principali attori delle associazioni datoriali del commercio e della cooperazione, docenti universitari ed esperti che, proposta alla mano, hanno dialogato sui punti individuati dalla Uiltucs per rafforzare la contrattazione collettiva nazionale, estendere e rendere più efficiente quella decentrata, garantire certezza dei rinnovi, e combattere la frammentazione e il dumping. Innanzitutto, sostituire l’Ipca, indicatore del costo della vita, con un indicatore basato su un paniere in linea con l’inflazione reale. Poi, portare o confermare la vigenza del contratto nazionale a quattro anni e confermare i due livelli contrattuali, nazionale e decentrato. Inoltre, prevedere l’adeguamento biennale del salario nazionale di settore all’inflazione, e introdurre per via contrattuale un meccanismo di recupero certo di una parte sostanziale dell’inflazione reale nei casi di mancato accordo e di scostamento tra salari e inflazione. Altri punti: assicurare che gli accordi aziendali prevedano erogazioni di salario legate alla produttività e al suo incremento; introdurre e privilegiare l’incremento della produttività del lavoro accanto agli indicatori di redditività, efficienza, ed efficacia fin qui usati nella distribuzione organizzata; assicurare la partecipazione e l’accesso dei lavoratori all’organizzazione del lavoro delle imprese, ai bilanci e ai dati sulla base dei quali l’impresa determina il raggiungimento degli obiettivi per l’erogazione dei premi. Infine, estendere e rafforzare forme di contrattazione territoriale con meccanismi di redistribuzione di quote della produttività del lavoro. “Non possiamo più accettare – ha concluso il segretario generale Uiltucs Andreani - che in presenza di una sostanziale stagnazione degli investimenti, più 1,6%, la crescita del margine operativo lordo di molte imprese che si è spinto al 44 per cento ed un aumento generalizzato dei profitti non venga redistribuita la produttività realizzata”. Senza mezze misure. È l’ora di trovare una soluzione che inverta la rotta. “Serve ora un protagonismo delle parti e diffusa responsabilità sociale d’impresa nel rispetto del patto costituzionale”.
(Adnkronos) - "L’impatto del settore agricolo sull’ambiente sta migliorando secondo i dati del settore. Abbiamo analizzato l’evoluzione delle vendite degli agrofarmaci che segna una diminuzione dei volumi dei prodotti venduti ma raddoppiano i principi attivi negli ultimi dieci anni dei prodotti di tipo biologico". A dirlo dichiara Enrica Gentile, ceo & founder Areté srl, società indipendente di ricerca responsabile scientifica del report sugli agrofarmaci presentato oggi dall’Osservatorio Agrofarma a Roma presso Palazzo Ripetta. "In realtà - ha spiegato - all’interno del mercato degli agrofarmaci che è in contrazione, in risposta alla domanda di sostenibilità, abbiamo un aumento dei principi attivi biologici che salgono. Bisogna sottolineare la contrazione delle grandi colture italiane, spicca tantissimo quella del mais, con un -32%, penalizzato dagli andamenti produttivi degli ultimi anni che ha lasciato spazio alla soia e ad altre colture sostitutive. Inoltre va segnalato per le colture frutticole l’espansione del nocciolo come superficie coltivata dovuta agi investimenti di aziende capo filiera". "Un dato da segnalare - ha sottolineato - è un caso di rese proprio del nocciolo perché molte delle superfici nuove non sono ancora in piena produzione. Dal punto di vista meteorologico abbiamo osservato l’incremento delle temperature, l’aumento dei giorni molto caldi nell’arco degli ultimi dieci anni, costantemente sopra la media nell’ultimo trentennio. E anche la forte variabilità per quanto riguarda le piogge tra annate molto siccitose e annate molto piovose che impatta sulle tecniche agronomiche e di difesa delle colture”.