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(Adnkronos) - “Il mio intervento odierno si è concentrato sul ruolo delle intelligenze artificiali nel contesto della deglobalizzazione, che è certamente un fenomeno economico ma anche politico, dal momento che riguarda il confronto tra le spinte verso una sorta di autarchia economica, che poi si può trasformare in autarchia culturale e quindi sociale, con la necessità, invece, di interdipendenza sotto diversi profili. L'intelligenza artificiale può essere sicuramente un fattore di sviluppo e di accompagnamento, ma solo se usata in modo corretto”. Lo ha detto Gennaro Terracciano, professore di Diritto amministrativo all’università degli studi di Roma 4 Foro Italico, partecipando, oggi Roma, al settimo Congresso di ‘Meritocrazia Italia’. Il pericolo determinato dall’ormai pervasivo utilizzo delle nuove tecnologie, Ai in testa, “riguarda soprattutto il fatto che lo sviluppo, la titolarità e la proprietà dei sistemi di intelligenza artificiale sono in mano ai privati - puntualizza Terracciano - Occorre dunque che i sistemi pubblici di tutti i Paesi del mondo abbiano la capacità di regolare, e dominare naturalmente, queste tecnologie in modo tale che non vengano usate contro gli Stati, diminuendo la capacità di democrazia, oltre che di sviluppo anche sociale, nell'utilizzazione di questi strumenti. Tutto questo richiede ovviamente degli investimenti - aggiunge - L'Europa, per fortuna, è stata la prima a darsi una regolamentazione, così come l'Italia è stata la prima a darsi una legge sull'intelligenza artificiale". "Sicuramente, se utilizzati correttamente, i sistemi di intelligenza artificiale aiutano a sviluppare il merito e, addirittura, consentono di educare le nuove generazioni in modo tale da avere un'impronta verso un uso corretto di questi strumenti. Il concetto astratto di meritocrazia potrebbe avvalersi di questi sistemi ma, come in ogni rivoluzione tecnologica, può accadere anche il contrario - conclude - ossia che disinformazione, fake news e utilizzo distorto di queste tecnologie porti a ridurre, e quindi a comprimere, le libertà degli individui e soprattutto la capacità critica. Perché la troppa informazione non controllata, finisce per essere disinformazione”.
(Adnkronos) - L’85,7% degli studi dei consulenti del lavoro ha investito in tecnologie e digitale negli ultimi due anni: il 15% ha effettuato investimenti rilevanti, il 45% medi. Questi hanno riguardato principalmente il rinnovo di infrastrutture (pc, portatili, reti per il 74,2%) e la sicurezza informatica (59,9%). A seguire gestione documentale (34,7%) e portali dedicati ai clienti (31,9%). È quanto emerge dall’indagine sull’evoluzione della professione del consulente del lavoro, realizzata dalla Fondazione studi consulenti del lavoro, e presentata oggi a Napoli alla Convention nazionale in occasione del 60° anniversario della categoria. Per il prossimo biennio, in testa agli investimenti vi è l’IA (il 50% intende introdurla nello studio, anche solo in via sperimentale), il rinnovo delle infrastrutture (48,7%), portali e app dedicate ai clienti (33,7%) e la formazione delle risorse umane (32%). Più della metà dei consulenti del lavoro è soddisfatta della propria attività e ha voglia di far crescere ancora di più la propria attività professionale. Tra i fattori che potrebbero promuovere un’ulteriore crescita i consulenti hanno chiaro che non saranno esterni, ma dipenderanno principalmente dalla capacità che avranno di proporsi sul mercato con logiche diverse. La diversificazione dei servizi è l’aspetto a cui quasi la metà dei rispondenti lega le possibilità di ulteriore crescita della professione: indica tale item come leva per il futuro il 46,5% degli intervistati, tra i giovani la percentuale sale al 55,4%. Più di un terzo (37,7%) guarda all’innovazione e alla digitalizzazione quali opportunità di ulteriore sviluppo mentre è una quota inferiore a pensare che la crescita potrà venire dall’esterno, dallo spontaneo aumento della richiesta dei servizi sul mercato (31,2%) e dalla crescita del ruolo della professione tra le imprese (31,2%). Il 63,3% degli intervistati si dichiara infatti molto soddisfatto del proprio lavoro (in una scala da 1 a 10, il livello di soddisfazione va da 7 in su): gli uomini più delle donne (70,3% vs 54,6%), i residenti al Nord più del Centro Sud. Il 55,8% intende, nei prossimi cinque anni, sviluppare ulteriormente la propria attività professionale, mentre un quarto vorrebbe continuarla ad esercitare così come è, senza apportare cambiamenti. La crescita organizzativa si accompagna alla crescente differenziazione dell’offerta di servizi professionali da parte dei consulenti del lavoro. Intorno al core business degli adempimenti in materia di lavoro e buste paga (erogata dal 92,2% degli studi) cresce l’offerta di servizi di altro tipo: il 67,4% offre consulenza giuridica e contrattuale sui rapporti di lavoro, il 59,2% consulenza economica (analisi budget e costo del lavoro). Ancora, il 47% degli studi si occupa di organizzazione e gestione del personale nelle aziende, il 42,1% di relazioni e procedure sindacali, il 32,2% di welfare aziendale, il 28,2% di consulenza previdenziale, il 15,6% le politiche attive. Secondo la ricerca quasi la metà degli studi (48,4%) presidia la materia fiscale, occupandosi di adempimenti, mentre il 37,4% offre consulenza fiscale, finanziaria e societaria. Quasi due studi su dieci (18,9%) fanno certificazioni di contratti di lavoro e conciliazioni, mentre il 9,4% Asse.Co. e il 4,7% certificazioni di parità/bilanci di genere. Del tutto specifico è il profilo dei giovani consulenti del lavoro che mostrano, rispetto alle generazioni più adulte, una vocazione più specialistica sul versante lavoristico e una capacità di erogare una maggiore varietà di servizi, in particolare di consulenza giuridica e contrattuale (83,2%) e economica (77,6%) in materia di rapporti di lavoro. Risulta alta anche la propensione ad occuparsi di gestione e organizzazione del personale (59,4%), welfare aziendale (46,2%) e consulenza previdenziale (31,4%). La crescita del ventaglio di offerta è stata particolarmente accentuata negli ultimi 3 anni. Oltre un terzo degli studi (34,8%) ha innovato il proprio paniere di offerta: il 14,1% ha introdotto servizi di welfare aziendale, il 6% consulenza previdenziale, il 5,1% l’Asse.Co., il 3,6% le politiche attive. Sono questi i servizi che hanno registrato la crescita più significativa. Decisivi sono stati i fattori di “contesto”, ma anche la capacità di innovarsi. Richieste dei clienti (30%) e cambiamenti normativi (19,7%) sono i principali fattori che hanno portato ad innovare l’offerta di servizi. Ma non meno peso hanno assunto le scelte strategiche di acquisire competenze con specializzazioni nuove (il 12,9% indica tale fattore), la ricerca di nuovi fonti di reddito (10,6%) e l’esigenza di stare al passo con la concorrenza (10,9%). Come si sono organizzati gli studi per erogare nuovi servizi? Il 36,2% ha sviluppato nuove competenze, formando le risorse interne, mentre il 15,4% ha avviato collaborazioni con altri studi o consulenti esterni. Il 14% dichiara che per erogare nuovi servizi è stato necessario rivedere organizzazione e procedure interne, mentre una simile quota ha promosso investimenti in tecnologie e strumenti digitali. Aumenta l’orientamento all’esercizio in forma aggregata della professione. Tra il 2021 e il 2025, la quota di consulenti del lavoro che esercita la libera professione come titolare unico di studio passa dal 78,2% al 74,4% mentre aumenta, dal 21,8% al 25,6%, la percentuale di chi esercita in forma associata. Tra questi ultimi, il 14,9% è associato in Stp con altri consulenti del lavoro, il 10,7% con altri professionisti. Tale dato è confermato anche dall’aumento della propensione a costituire società tra professionisti. Il numero delle Stp registrate in albo unico ha raggiunto, nel 2025, quota 808, coinvolgendo quasi 2000 consulenti del lavoro, pari al 7,8% del totale. Le modalità organizzative variano a seconda dei contesti e dei mercati di riferimento. Al Nord, l’esercizio in forma associata interessa più di un terzo degli iscritti (il 38,2% al Nord Est, prevalentemente con altri consulenti del lavoro) mentre al Sud solo il 14,2%. Il Nord è l’area dove si registra il maggiore incremento della propensione all’esercizio in forma associata: la percentuale di professionisti passa infatti dal 26,2% del 2021 al 33,2% del 2025 nel Nord Ovest e dal 31,8% al 38,2% nel Nord Est. Con riferimento al futuro, il 6% dei professionisti individuali afferma di voler associarsi o creare una Stp nei prossimi tre anni.
(Adnkronos) - "La sostenibilità indica la nostra rotta, l'acqua è natura portata ai consumatori. Si pensa al vino come frutto del territorio in cui nasce, ma l'acqua minerale è la stessa identica cosa. E' saldamente ancorata al proprio territorio, da cui non prescinde, ha delle caratteristiche uniche che sono il frutto del territorio da cui sgorga e delle caratteristiche che devono essere costanti nel tempo. Quindi per noi fare sostenibilità vuol dire lavorare per essere un'azienda a prova di futuro. Non è qualcosa da cui possiamo prescindere ed è un impegno quotidiano, non è un obiettivo da raggiungere. E' un impegno quotidiano che mettiamo nel nostro modo di fare impresa, nel prenderci cura dell'acqua, nel prenderci cura delle nostre persone e dei territori in cui operiamo. Lo facciamo, lo facciamo attraverso diverse tipologie di iniziative, diverse leve che andiamo ad attivare". Lo ha detto Fabiana Marchini, head sustainability & corporate affairs Gruppo Sanpellegrino, intervenendo intervenendo all'evento Adnkronos Q&A ‘Sostenibilità al bivio’ tenutosi oggi al Palazzo dell’Informazione a Roma. E Marchini ha spiegato nel concreto le attività portate avanti. "Intanto lavoriamo -ha sottolineato- sull'ottimizzazione dei processi industriali e sull'ottimizzazione della gestione della risorsa idrica, è importantissimo. Tutti i nostri stabilimenti sono certificati secondo lo standard internazionale dell'Alliance for water stewardship che attesta la gestione virtuosa e condivisa dalla risorsa idrica. E per noi questo è fondamentale perché l'acqua comunque è vita, è una risorsa fondamentale, infatti perseguiamo il costante efficientamento e il risparmio idrico. Lo facciamo -ha continuato- cercando di mitigare il nostro impatto ambientale, sia in termini di carbon footprint, sia in termini di supporto a un modello di economia circolare. Utilizziamo materiali riciclati nei nostri imballaggi, cerchiamo di evolvere il nostro modello di business adottando una logistica sempre più sostenibile. Quindi sono diverse le leve che attiviamo per poter mitigare il nostro impatto", ha sottolineato. "E poi, non meno importante, è la gestione di quello che noi chiamiamo la nostra casa, che è poi la casa comune, il territorio da cui sgorgano le nostre acque. Quindi è fondamentale per noi prenderci cura dei territori in cui viviamo", ha concluso.