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(Adnkronos) - Da quando Kash Patel ha assunto l'incarico di direttore dell'Fbi, nel febbraio scorso, l'agenzia ha notevolmente intensificato il ricorso al test della macchina della verità, normalmente riservato ai casi di dipendenti che potrebbero aver tradito il proprio Paese o hanno dimostrato di non essere affidabili nella gestione di notizie confidenziali. A scriverne è il 'New York Times', citando in particolare due fonti secondo cui a diverse persone sottoposte al test è stato chiesto se avessero mai gettato discredito sullo stesso Patel, se avessero cioè detto qualcosa di negativo sul suo conto. Decine i funzionari a cui è stato chiesto di sottoporsi al poligrafo, scrive il giornale, precisando che non è chiaro quanti siano stati specificamente interrogati su Patel. Uno dei casi in cui si è fatto ricorso alla macchina della verità riguardava la rivelazione ai media della richiesta di Patel di avere un'arma di servizio, richiesta insolita non trattandosi di un agente operativo. Per alcuni ex funzionari del Bureau, si legge, si tratta di pratiche altamente inappropriate, che fanno emergere una preoccupante richiesta di dedizione all'Fbi, con una tolleranza minima per il dissenso: denigrare Patel o il suo vice, secondo queste fonti, potrebbe costare il lavoro a diverse persone. "La lealtà di un dipendente dell'Fbi è verso la Costituzione, non verso il direttore o il vicedirettore", ha affermato James Davidson, un ex agente che ha trascorso 23 anni nel Bureau. Prima di questa ulteriore stretta, peraltro, i beneficiari di nomine politiche di Trump avevano già rafforzato la loro presa sull'agenzia, costringendo alcuni dipendenti a dimettersi e mettendone altri in congedo amministrativo a causa di precedenti indagini. La lista si è allungata fino a includere alcuni dei funzionari più rispettati ai vertici del Bureau. Altri se ne sono andati, temendo vendette di Patel o Bongino per aver condotto indagini legittime che Trump o i suoi sostenitori non gradivano. Gli agenti di punta di circa il 40% degli uffici distaccati sono andati in pensione, sono stati estromessi o hanno cambiato incarico, secondo fonti informate del New York Times, che ha iniziato a monitorare il turnover con l'insediamento della nuova amministrazione. Sebbene i tribunali non considerino generalmente ammissibili i test delle macchine della verità, le agenzie per la sicurezza nazionale li utilizzano ampiamente nelle indagini e nei controlli dei precedenti per le autorizzazioni che prevedono più livelli di sicurezza. Sotto la guida di Patel e Bongino, il Bureau ha però utilizzato il poligrafo in modo estremamente aggressivo. In almeno un caso, l'Fbi ha messo un agente in congedo amministrativo e poi lo ha richiamato per sottoporsi al test, secondo una fonte vicina alla vicenda. Si tratta di una delle misure adottate dall'Fbi che alcuni funzionari, attuali ed ex, descrivono come vendicative ed estreme, uno strumento che alimenta sfiducia e sospetti tra i colleghi. E questo anche nel caso in cui - come spiegano ex addetti alla macchina della verità citati dal quotidiano - la domanda rivolta ai dipendenti per sapere se hanno detto qualcosa di negativo su Patel fosse stata concepita come una cosiddetta domanda di controllo, una domanda fatta per suscitare determinate risposte fisiologiche al fine di confrontarle con le risposte di un partecipante ad altre domande. Qualunque sia il motivo dietro questa domanda, il suo uso sta alimentando sospetti e timori di un Fbi politicizzato. Michael Feinberg, agente di punta della sede operativa di Norfolk, in Virginia, fino alla primavera scorsa, è stato minacciato con il test della macchina della verità a causa della sua amicizia con Peter Strzok, un veterano del controspionaggio licenziato per aver inviato messaggi di testo denigratori su Trump. Strzok ha svolto un ruolo centrale nell'indagine dell'Fbi per accertare se i collaboratori della campagna elettorale di Trump avessero cospirato con la Russia nelle elezioni presidenziali del 2016 e figura nella cosiddetta lista dei nemici di Patel, pubblicata nel suo libro 'Government Gangsters'. Non è chiaro come i vertici dell'Fbi siano venuti a conoscenza di questa amicizia. Feinberg ha raccontato sul blog sulla sicurezza nazionale Lawfare di come Dominique Evans, il nuovo agente di punta responsabile dell'ufficio di Norfolk, gli avesse detto che gli sarebbe stato "chiesto di sottoporsi a un esame del poligrafo per verificare la natura della mia amicizia con Pete". "Sotto Patel e Bongino, la competenza specialistica e operativa vengono facilmente sacrificate in nome della purezza ideologica e della politicizzazione della forza lavoro", ha scritto. Per mantenere il suo posto di lavoro, il signor Feinberg avrebbe dovuto "umiliarsi, implorare perdono e giurare lealtà nell'ambito della rivoluzione culturale dell'Fbi, innescata dall'ascesa di Patel e Bongino ai vertici delle forze dell'ordine e dell'intelligence americane". Feinberg si è dimesso.
(Adnkronos) - ''Il ritiro degli emendamenti al decreto legge infrastrutture, che puntavano a introdurre la revisione ordinaria obbligatoria dei prezzi e regole più uniformi negli appalti di servizi e forniture, è una scelta che condanna al fallimento decine di aziende, con il conseguente rischio di perdita di migliaia di posti di lavoro, e minaccia la tenuta di settori cruciali per il funzionamento quotidiano del Paese''. È la denuncia della Consulta dei servizi, che riunisce 19 associazioni nazionali e 4 filiere, a seguito del ritiro delle proposte di modifica, nelle commissioni Ambiente e Trasporti della Camera, ritenuti ''essenziali per garantire equità e continuità negli appalti pubblici''. ''Il settore dei servizi fatica a sostenere contratti pubblici che non riconoscono l’impatto reale dell’inflazione e dell’aumento dei costi'', spiega la Consulta dei servizi. La soglia del 5% per l’attivazione della revisione prezzi, abbassata correttamente al 3% per i lavori pubblici, ''è stata dimostrata come inefficace''. Inoltre, ''l’assenza di norme certe sulla revisione prezzi, per contratti pluriennali della durata di almeno 5 anni, in un comparto ad alta intensità di manodopera dove il costo del lavoro pesa in modo decisivo, ha un effetto diretto sulle politiche salariali''. ''Senza una revisione dei contratti in essere con la pubblica amministrazione, che tenga conto degli aumenti previsti dai rinnovi dei ccnl, si rischiano ricadute sul fronte occupazionale: o le imprese non saranno in grado di onorare gli appalti vinti e partecipare ai nuovi, o saranno costrette a ridurre drasticamente i costi, con effetti sulla qualità dei servizi e sulla dignità del lavoro'', spiega la Consulta dei servizi. ''Parlamento e Governo devono porre la giusta attenzione alle conseguenze che deriveranno dal vigente quadro normativo, che mette a rischio la tenuta economica e sociale di servizi pubblici essenziali, dalla ristorazione scolastica e ospedaliera alla vigilanza, dai servizi ambientali al welfare, dai quali dipende, per lo svolgimento di attività quotidiane di milioni di cittadini, la funzionalità stessa del Paese'', osserva la Consulta dei servizi. Si tratta di un settore che, spiega l'organismo, ''significa oggi 70 miliardi di euro, impiega un milione di persone ed è parte integrante della coesione sociale e del benessere dei cittadini. Ravvisiamo segnali allarmanti: si continua a chiedere ai servizi essenziali uno sforzo non più sostenibile, anche a costo di comprometterne la tenuta. Le ricadute sarebbero gravissime: riduzione della qualità dei servizi, perdita di posti di lavoro e chiusura di imprese qualificate''. ''Intendiamo proseguire con determinazione le nostre azioni di confronto attraverso l’interlocuzione istituzionale e pubblica'', assicura la Consulta. ''Ci rivolgiamo a Governo e Parlamento per richiamare l’attenzione sull’evidenza che, ogni giorno che passa senza una norma strutturale per la revisione dei prezzi, si consuma un danno economico e sociale. L’intera rappresentanza del comparto proseguirà nel portare in tutte le sedi istituzionali i rischi concreti che corre il sistema-sicurezza del Paese''. La Consulta auspica che il confronto con il Governo ''consenta di provvedere a correttivi non più rinviabili e costruire un quadro strutturale equo e sostenibile, capace di riconoscere il valore strategico dei servizi pubblici''.
(Adnkronos) - Un valore della produzione salito dai 38 miliardi del 2015 ai 68 miliardi del 2025 e una crescita degli occupati, che in dieci anni sono passati da 90mila a 104mila. Sono alcuni dei dati sull’evoluzione del comparto delle utilities emersi oggi nell’Assemblea generale di Utilitalia, organizzata a Roma in occasione del decennale della Federazione sorta nel 2015 dopo la fusione tra Federutility e Federambiente. Dal 2015 al 2025 il valore della produzione delle utilities italiane è aumentato del 79%, arrivando a 68 miliardi. Gli occupati, anche a fronte di un consolidamento industriale che ha visto fusioni e aggregazioni, sono aumentati del 15%, dai 90mila del 2015 ai 104mila attuali. A testimonianza del valore generato dalle utilities sui territori nel quali operano, mediamente ogni euro di fatturato di queste aziende genera un livello di produzione di 2,6 euro e, al contempo, per ogni milione di euro di fatturato si impiegano tra i 16 e i 34 occupati. “Negli ultimi anni - spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini - tra pandemia, crisi energetica e siccità le utilities si sono trovate ad affrontare una serie di situazioni emergenziali che hanno rappresentato sfide enormi per il comparto. Ciò nonostante, le imprese non si sono limitate a garantire la continuità dei servizi ma hanno realizzato investimenti fondamentali per supportare la transizione ecologica del Paese, confermando la loro centralità all’interno di questo percorso”. ACQUA - Per quanto riguarda il settore idrico, gli investimenti pro-capite sono passati dai 38 euro annui del 2015 agli 80 euro stimati nel 2025, con una crescita del 110%. "Tra i nodi da sciogliere - segnala Utilitalia - figurano gli investimenti relativi alle gestioni 'in economia', dove gli enti locali si occupano direttamente del servizio idrico: qui gli investimenti crollano a 29 euro per abitante. Per il prossimo futuro, a fronte di un valore complessivo degli investimenti sostenuti dalla tariffa aumentato fino a circa 4 miliardi l’anno, il fabbisogno di settore è stimato da Utilitalia in almeno 6 miliardi l’anno. Negli ultimi anni il Pnrr ha destinato al settore circa 1,1 miliardi annui: serviranno dunque risorse aggiuntive pari a circa 0,9 miliardi di euro l’anno fino al 2026, e pari ad almeno 2 miliardi di euro l’anno dopo la chiusura del Pnrr, per innalzare l’indice di investimento complessivo". Nell’ottica della Federazione, "alle risorse derivanti dalla tariffa andrebbe affiancata anche una quota di contributo pubblico di almeno 1 miliardo di euro l’anno per i prossimi 10 anni". RACCOLTA DIFFERENZIATA - Investimenti che sono necessari anche nel settore dei rifiuti urbani, dove negli ultimi anni sono stati fatti importanti passi in avanti sul fronte della raccolta differenziata (passata dal 47,5% del 2015 al 67% attuale) e del riciclaggio (salito dal 41,1 % del 2015 al 50,8% attuale). L’Unione europea ha posto obiettivi sfidanti al 2035 che riguardano l’effettivo riciclo per il 65% dei rifiuti urbani prodotti e uno smaltimento in discarica fino ad un massimo del 10%, mentre attualmente l’Italia si attesta al 16%, anche se molti passi avanti si sono fatti rispetto al dato del 2015 (26%). Per centrarli in futuro - avverte Utilitalia - sono necessari investimenti aggiuntivi pari a circa 4,5 miliardi: di questi, 3 miliardi riguardano la dotazione impiantistica (2,5 per impianti di incenerimento e 0,5 per la digestione anaerobica), mentre 1,5 miliardi saranno necessari per implementare i sistemi di raccolta differenziata. ENERGIA - "Il settore dell’energia, invece, è atteso a una radicale trasformazione per far fronte agli obiettivi di decarbonizzazione e di contrasto ai cambiamenti climatici. Con il Green Deal e la Legge Europea per il Clima, l’Ue ha individuato un punto di arrivo estremamente ambizioso: la neutralità climatica al 2050", osserva la Federazione. L’analisi dei piani industriali delle maggiori utilities impegnate in campo energetico ha evidenziato un volume di investimenti programmati pari a circa 19 miliardi di euro nei prossimi 5 anni: fra questi, 7,6 sono destinati ad investimenti per le reti elettriche, del gas e del teleriscaldamento, 7,7 alla produzione di energia rinnovabile e non rinnovabile, mentre circa 1,5 miliardi sono destinati all’efficientamento energetico e alla mobilità sostenibile. LE PRINCIPALI SFIDE PER LE UTILITIES VERSO IL 2035 - Guardando al futuro, il comparto delle utilities si trova davanti a sfide cruciali che richiedono un impegno strategico su più fronti. Come evidenzia il vicepresidente vicario di Utilitalia, Luca Dal Fabbro, “le imprese dei servizi pubblici si candidano a essere attori essenziali nel nuovo equilibrio tra sicurezza energetica ed ambientale, innovazione e crescita economica e coesione territoriale. In questo quadro, l’industrializzazione del settore e il superamento delle gestioni in economia, dove ancora presenti, restano fondamentali per migliorare le performance e aumentare la capacità di investimento complessiva. La strategia futura si fonda su tre assi portanti: una regolazione evolutiva, una governance industriale efficiente e non meno importante una forza lavoro competente e orientata al cambiamento”. Tra le priorità chiave individuate da Utilitalia figurano il rafforzamento del ruolo della regolazione indipendente, l’incremento degli investimenti nella sicurezza e resilienza delle infrastrutture e degli approvvigionamenti, le aggregazioni per una governance efficiente e il superamento dei vincoli normativi del Testo Unico sulle Partecipate. E ancora il consolidamento dell’industrializzazione dei settori, investimenti ancora più ingenti per garantire la qualità della risorsa idrica, misure tese a garantire la continuità agli investimenti oltre l’orizzonte del Pnrr, l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi operativi e gestionali e politiche del lavoro che favoriscano stabilità, formazione e innovazione organizzativa.