Granchi & Partners srlGranchi & Partners Srl è una società specializzata in servizi di formazione, coaching e consulenza organizzativa e strategica presente sul mercato da oltre quindici anni. |
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(Adnkronos) - Comunicare è ormai un atto strategico, ma il rischio è farlo troppo. La quarta edizione dell’indagine “Leader della comunicazione”, realizzata da EY in collaborazione con SWG, fotografa una funzione matura, centrale nelle aziende italiane, ma chiamata a una nuova responsabilità: selezionare, dare senso, costruire reputazione. Non moltiplicare messaggi, bensì progettare architetture comunicative capaci di distinguersi nel rumore. Lo studio, condotto tra il 4 e il 17 novembre 2025 su 45 responsabili della comunicazione di grandi aziende nazionali e multinazionali, restituisce un dato netto: per il 98% degli intervistati la comunicazione è oggi rilevante o strategica e altrettanto integrata nell’ecosistema aziendale, con una crescita di 11 punti percentuali rispetto al 2024. La priorità della comunicazione esterna è ormai chiara. Il 65% dei responsabili indica la costruzione e la tutela della reputazione come obiettivo principale, molto distanziata dalla promozione di prodotti e servizi (23%) e dalla gestione delle relazioni (12%). In un contesto complesso e instabile, la reputazione emerge come vera “moneta di scambio”, capace di costruire fiducia e orientare le decisioni di stakeholder e pubblici. “La comunicazione non è più un semplice atto di visibilità, ma un vero esercizio di progetto”, spiega Alessandro Vanoni, direttore Brand, Marketing & Communications di EY Italia. “Costruire reputazione richiede scelte coerenti, qualità nei contenuti e capacità di comprendere il contesto”. Accanto alla centralità della funzione, emerge però un rischio sempre più avvertito: quello dell’overload comunicativo. Il 56% degli intervistati ritiene che oggi si comunichi troppo, mentre solo il 23% vede un equilibrio tra quantità di messaggi e valore generato. In questo scenario, la qualità più ricercata diventa la distintività (56%), seguita dal coinvolgimento degli stakeholder (30%) e dalla tempestività (14%). Il futuro, per quasi un responsabile su due (48%), non è nella copertura totale dei canali, ma in una comunicazione focalizzata sul messaggio, con una chiara prioritizzazione dei contenuti e dei pubblici. L’Intelligenza artificiale si conferma uno degli snodi centrali della trasformazione. L’87% delle aziende utilizza o sta sperimentando soluzioni di Ai nella comunicazione, in forte crescita rispetto alla “fiducia potenziale” registrata nel 2024. Le applicazioni più diffuse riguardano la generazione automatica di contenuti (74%), l’automazione di task operativi come rassegne stampa e reportistica (67%) e la personalizzazione dei messaggi (51%). Ma alle opportunità si affiancano timori concreti: perdita di originalità (67%), aumento dei comunicatori improvvisati (61%) e pubblicazione di contenuti senza adeguata supervisione (58%). Per questo, secondo i leader della comunicazione, la tecnologia va governata, non subita. La risposta non è l’aumento dei budget, che nessuno indica come prioritario, ma l’investimento sulle competenze. Il 51% degli intervistati sottolinea la necessità di sviluppare profili trasversali, capaci di coniugare competenze tecnologiche e umanistiche. Seguono una maggiore integrazione con il business (22%) e una più profonda conoscenza del contesto socioeconomico (17%). Pensiero critico, creatività e flessibilità emergono come le vere barriere contro l’omologazione dei messaggi. “Non serve moltiplicare”, conclude Vanoni, “serve selezionare con cognizione di causa. L’architettura della comunicazione è la risposta: costruire bene dopo aver compreso il contesto, dotando i messaggi di significato e scopo”
(Adnkronos) - Il sistema fieristico italiano chiude il 2025 consolidando i già ottimi risultati dell’anno precedente, quando gran parte degli indicatori di performance segnavano il sorpasso sul pre-Covid (2019). In ulteriore crescita – secondo i numeri provvisori illustrati da Aefi (Associazione esposizioni e fiere italiane) oggi a Roma nel corso dell’assemblea di fine anno presso il Mimit in presenza del ministro Urso – la superficie venduta quest’anno in occasione dei 915 eventi fieristici italiani (+5% sul 2024, con quasi 11 milioni di mq) con un contestuale aumento sia degli espositori complessivi (+6%) che di quelli esteri (+7%, il 20% del totale espositori). Sono 89 le fiere italiane organizzate all’estero: tra i 20 Paesi oggetto di eventi made in Italy comanda la piazza cinese, seguita da Brasile, Stati Uniti, Germania, Paesi Uae, Arabia Saudita e Messico. “Anche quest’anno – ha detto in assemblea il presidente Aefi, Maurizio Danese – il sistema fieristico si è confermato il primo alleato dell’impresa Italia per le attività di business e in particolare per gli obiettivi internazionali di un Paese fortemente export-oriented come il nostro. Siamo strumento del made in Italy e guardiamo perciò con estremo interesse agli sviluppi del Piano d’azione per l’export del ministero degli Esteri e accogliamo con favore l’introduzione nel Ddl Bilancio di risorse aggiuntive da 100 milioni di euro l’anno dal 2026 al 2028 in favore della promozione del prodotto Italia nel mondo”. Il 2026, secondo i dati di settore del Coordinamento interregionale fiere, si annuncia denso di appuntamenti nei 50 quartieri fieristici del Belpaese che con una superficie espositiva di 4,2 milioni di metri quadrati si classificano al quarto posto al mondo per ampiezza complessiva. Saranno 878 gli appuntamenti nel corso dell’anno, con 276 fiere internazionali e 202 nazionali; il comparto food, bevande e ospitalità incide per il 12% sul totale eventi, seguito con l’11% da tessile, abbigliamento, moda assieme all’aggregato sport, hobby, intrattenimento e arte. Quote rilevanti anche per tecnologia e meccanica (9%) ma anche per agricoltura, silvicoltura e zootecnia (8%) oltre a gioielli, orologi e accessori (7%). In Italia, fiere e imprese dei cinque settori chiave dell’export sono storicamente intrecciate. Basti pensare che agroalimentare, tecnologia, moda-bellezza, edilizia-arredo e tempo libero – ossia le stesse filiere su cui si concentra principalmente l’attività fieristica – generano il 30% della produzione nazionale e il 63% dell’export.
(Adnkronos) - Oltre 110 milioni di euro di investimenti e spese delle aziende dei settori cemento e calcestruzzo per sicurezza ed ambiente nel 2024, in crescita del 16% rispetto al 2023. E’ quanto evidenzia il sesto Rapporto di sostenibilità di Federbeton. (Video) Il comparto continua a investire risorse e competenze per migliorare le proprie performance ambientali e accelerare il percorso verso la neutralità climatica al 2050. Lo scorso 24 settembre, presso la Camera dei Deputati, Federbeton ha presentato la propria Strategia di decarbonizzazione, che traccia un percorso chiaro di riduzione progressiva delle emissioni tramite leve strategiche. Nella definizione della strategia sono stati individuati interventi di breve e medio periodo che sfruttano tecnologie già mature come l’impiego di combustibili alternativi e l’utilizzo di materiali sostitutivi del clinker, il semilavorato componente prevalente del cemento - spiega la Federazione del settore - La leva chiave per la decarbonizzazione del settore, con uno sviluppo a lungo termine, è la cattura della CO2, una tecnologia che richiede ingenti investimenti e lo sviluppo di infrastrutture di trasporto e stoccaggio. La cattura è fondamentale perché nella produzione di cemento il 60-65% delle emissioni dirette di CO2 deriva dalle stesse reazioni chimiche di processo ed è quindi incomprimibile. “Cemento e calcestruzzo sono materiali straordinari e insostituibili, che garantiscono la sicurezza e la durabilità delle nostre case, scuole, ospedali. Sono fondamentali per le nostre infrastrutture e città, alimentano la crescita economica e sociale del Paese e contribuiscono concretamente alla rigenerazione urbana e allo sviluppo di infrastrutture sostenibili e durevoli - ha sottolineato Paolo Zelano, vicepresidente di Federbeton Confindustria - La nostra sfida è mantenere alta la competitività dell’industria italiana continuando a progredire sul fronte della sostenibilità, in particolare quella ambientale. Questo è possibile solo attraverso un impegno collettivo, rafforzando il legame tra industria, ambiente e società”. Il Rapporto di Sostenibilità di Federbeton, come ogni anno, mostra l’impegno, i risultati e gli ambiti di miglioramento della filiera. Emerge, fra l’altro, che il settore conferma la propria circolarità: l’industria del cemento utilizza da anni scarti di altri processi produttivi in sostituzione dell’8% delle materie prime necessarie; i produttori di calcestruzzo preconfezionato e manufatti riutilizzano in media il 29% delle acque di processo ed il 62% degli scarti di produzione, rispettivamente; inoltre, è in aumento la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili, in parte autoprodotta dalle aziende stesse. Il Rapporto richiama l’attenzione anche su alcune criticità che non permettono all’industria di esprimere pienamente le proprie potenzialità: “Il tasso di sostituzione calorica dei combustibili fossili con combustibili alternativi nel settore del cemento resta fermo al 26%, lontano dalla media europea del 56%, principalmente a causa di iter amministrativi complessi e disomogenei sul territorio nazionale. I combustibili alternativi sono una soluzione già disponibile, ma al di là dello sforzo dell’industria, è necessario un intervento delle istituzioni al fine di ottenere un’applicazione omogenea sul territorio nazionale del processo di autorizzazione”. Un’altra criticità che emerge dal Rapporto è quella relativa “all’impiego di aggregati recuperati nella produzione di calcestruzzo. Nonostante le potenzialità del settore, questa pratica resta limitata per l’assenza di un mercato nazionale per prodotti conformi agli standard dei calcestruzzi strutturali. Anche in questo caso è necessaria un’azione di sistema che coinvolga produttori, utilizzatori e istituzioni”.