(Adnkronos) - Il tira e molla nelle trattative in corso per arrivare a una tregua nella guerra della Russia all'Ucraina si fonda su basi geopolitiche: le pretese territoriali di Mosca, le garanzie per Kiev e per l'Europa, la ridefinizione di equilibri che, andando otre la smania da 'pacificatore' di Donald Trump, conta anche per gli Stati Uniti. Ma dietro c'è anche una gigantesca partita economica che si gioca su più fronti: nuovi equilibri commerciali, energia, terre rare, ricostruzione. Con una serie di incognite e qualche punto fermo a definire i possibili scenari. Semplificando e riducendo l'analisi al nucleo principale della questione, il futuro ruolo e i margini di manovra che avrebbero nel dopoguerra l'aggredito, l'Ucraina, e l'aggressore, la Russia, determina una serie di potenziali conseguenze, anche sul piano economico, che contribuiscono a orientare le mosse non solo dei due Paesi coinvolti ma anche dei principali attori che, per ragioni geografiche e per ragioni di influenza, sono più interessati: l'Europa, con le diverse declinazioni nazionali, e gli Stati Uniti. Un epilogo o un altro del conflitto in Ucraina sposta ingenti flussi di denaro, sia direttamente sia indirettamente. Due i principali scenari che si possono considerare. In questo scenario, ci si arrivi per via militare o con un negoziato che finisce male, la guerra si chiuderebbe con una buona parte degli obiettivi iniziali di Vladimir Putin sostanzialmente centrati: una parte dell'Ucraina finirebbe definitivamente in mano russa e l'altra parte resterebbe sotto la costante minaccia di Mosca. L'Europa si troverebbe in una difficile posizione sul piano geopolitico, con la Russia più forte alle proprie porte e con una serie di implicazioni negative sul piano economico: le più evidenti sarebbero costanti tensioni sul fronte dell'energia e dell'approvvigionamento di materie prime; il rischio di perdere ulteriore terreno sul piano commerciale, con la prospettiva di una consistente riduzione dell'export; la perdita di opportunità nella ricostruzione del Paese. In questo scenario, sicuramente più auspicabile nella prospettiva europea, la guerra si conclude con le garanzie necessarie ad avere un'Ucraina realmente indipendente, all'interno della Ue, e con margini di sicurezza reali rispetto all'ipotesi di futuri attacchi da parte di Mosca. L'Europa potrebbe rivendicare di aver difeso i suoi valori sul suo fronte orientale e sarebbe un successo sul piano geopolitico, soprattutto perché ne uscirebbero ridimensionate le ambizioni iniziali di Putin che, insieme alle conquiste territoriali, ha sempre puntato a fare dell'Ucraina un prezioso paese satellite. Sul piano economico, una fine dignitosa del conflitto potrebbe riaprire per l'Europa possibilità che la guerra ha compromesso, sia guardando al mercato dell'energia sia guardando agli sviluppi commerciali. E ci sarebbe da giocare, con introiti garantiti e opportunità sul piano imprenditoriale e strategico, la partita della ricostruzione. L'allentarsi delle tensioni in uno dei focolai che ha maggiormente preoccupato i mercati negli ultimi quattro anni, avrebbe ripercussioni positive anche sul piano finanziario. Se i due scenari tracciati fanno prevedere per l'Europa conseguenze ragionevolmente certe, in un senso o nell'altro, più di una variabile pesa invece sugli Stati Uniti. Non perché non sia possibile considerare i benefici e i costi che ne deriverebbero, in un caso e nell'altro, ma perché è difficile stabilire quali siano i reali interessi di Donald Trump. Nel suo caso, strategia geopolitica e affari potenziali restano strettamente connessi. E il sospetto che possa pensare che un'Europa più debole e una Russia più forte possano essere più funzionali ai suoi disegni pesa rispetto a qualsiasi scenario. (Di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - All'Auditorium della Tecnica, in viala Umberto Tupini 65 di Roma, prende il via la quarta edizione di LaborDì, il Salone dedicato al mondo del lavoro organizzato da ACLI Roma. L'evento, patrocinato da Regione Lazio, Roma Capitale, Città Metropolitana di Roma Capitale e numerosi partner istituzionali e associativi, rappresenta un importante momento di confronto sui valori e le sfide del lavoro contemporaneo. La Regione Lazio è presente con un punto informativo gestito da Lazio Innova, sostenuto attraverso i fondi europei FSE+ 2021-2027, per promuovere le attività divulgative e le opportunità offerte dalle politiche regionali per l'occupazione, la formazione e l'innovazione. "La Regione Lazio conferma il proprio impegno concreto per la crescita occupazionale, la formazione e la valorizzazione del merito. Crediamo che investire sulle competenze dei giovani e sostenere l’innovazione sia fondamentale per costruire un futuro solido e inclusivo. Attraverso le nostre politiche e i fondi europei, continuiamo a promuovere iniziative che favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, la formazione di nuove capacità e la creazione di opportunità reali per tutti. Il merito, la preparazione e la voglia di mettersi in gioco sono valori che la Regione sostiene e valorizza ogni giorno, perché rappresentano la chiave per affrontare le sfide del mercato del lavoro e garantire uno sviluppo sostenibile per il nostro territorio" ha dichiarato Giuseppe Schiboni, assessore a Lavoro, Scuola, Formazione, Ricerca, Merito e Urbanistica. LaborDì nasce per rispondere alla crescente precarietà del lavoro e alla mancanza di opportunità per i giovani. È un'iniziativa che mette al centro il valore del lavoro dignitoso e offre orientamento, formazione, colloqui con oltre 45 aziende. È una giornata per riflettere sul futuro del lavoro e favorire l’incontro tra domanda e offerta.
(Adnkronos) - Oltre 110 milioni di euro di investimenti e spese delle aziende dei settori cemento e calcestruzzo per sicurezza ed ambiente nel 2024, in crescita del 16% rispetto al 2023. E’ quanto evidenzia il sesto Rapporto di sostenibilità di Federbeton. (Video) Il comparto continua a investire risorse e competenze per migliorare le proprie performance ambientali e accelerare il percorso verso la neutralità climatica al 2050. Lo scorso 24 settembre, presso la Camera dei Deputati, Federbeton ha presentato la propria Strategia di decarbonizzazione, che traccia un percorso chiaro di riduzione progressiva delle emissioni tramite leve strategiche. Nella definizione della strategia sono stati individuati interventi di breve e medio periodo che sfruttano tecnologie già mature come l’impiego di combustibili alternativi e l’utilizzo di materiali sostitutivi del clinker, il semilavorato componente prevalente del cemento - spiega la Federazione del settore - La leva chiave per la decarbonizzazione del settore, con uno sviluppo a lungo termine, è la cattura della CO2, una tecnologia che richiede ingenti investimenti e lo sviluppo di infrastrutture di trasporto e stoccaggio. La cattura è fondamentale perché nella produzione di cemento il 60-65% delle emissioni dirette di CO2 deriva dalle stesse reazioni chimiche di processo ed è quindi incomprimibile. “Cemento e calcestruzzo sono materiali straordinari e insostituibili, che garantiscono la sicurezza e la durabilità delle nostre case, scuole, ospedali. Sono fondamentali per le nostre infrastrutture e città, alimentano la crescita economica e sociale del Paese e contribuiscono concretamente alla rigenerazione urbana e allo sviluppo di infrastrutture sostenibili e durevoli - ha sottolineato Paolo Zelano, vicepresidente di Federbeton Confindustria - La nostra sfida è mantenere alta la competitività dell’industria italiana continuando a progredire sul fronte della sostenibilità, in particolare quella ambientale. Questo è possibile solo attraverso un impegno collettivo, rafforzando il legame tra industria, ambiente e società”. Il Rapporto di Sostenibilità di Federbeton, come ogni anno, mostra l’impegno, i risultati e gli ambiti di miglioramento della filiera. Emerge, fra l’altro, che il settore conferma la propria circolarità: l’industria del cemento utilizza da anni scarti di altri processi produttivi in sostituzione dell’8% delle materie prime necessarie; i produttori di calcestruzzo preconfezionato e manufatti riutilizzano in media il 29% delle acque di processo ed il 62% degli scarti di produzione, rispettivamente; inoltre, è in aumento la quota di energia elettrica da fonti rinnovabili, in parte autoprodotta dalle aziende stesse. Il Rapporto richiama l’attenzione anche su alcune criticità che non permettono all’industria di esprimere pienamente le proprie potenzialità: “Il tasso di sostituzione calorica dei combustibili fossili con combustibili alternativi nel settore del cemento resta fermo al 26%, lontano dalla media europea del 56%, principalmente a causa di iter amministrativi complessi e disomogenei sul territorio nazionale. I combustibili alternativi sono una soluzione già disponibile, ma al di là dello sforzo dell’industria, è necessario un intervento delle istituzioni al fine di ottenere un’applicazione omogenea sul territorio nazionale del processo di autorizzazione”. Un’altra criticità che emerge dal Rapporto è quella relativa “all’impiego di aggregati recuperati nella produzione di calcestruzzo. Nonostante le potenzialità del settore, questa pratica resta limitata per l’assenza di un mercato nazionale per prodotti conformi agli standard dei calcestruzzi strutturali. Anche in questo caso è necessaria un’azione di sistema che coinvolga produttori, utilizzatori e istituzioni”.