(Adnkronos) - Rimodulare le risorse del Pnrr e dei fondi di coesione, per un totale di 25 miliardi di euro, e destinarle alle imprese, con l'obiettivo di attenuare l'impatto dei dazi imposti da Donald Trump sui prodotti europei. E' con questo obiettivo che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, convoca a Palazzo Chigi le principali categorie produttive. Lo scopo dell'incontro è tanto chiaro quanto impegnativo: individuare le soluzioni più efficaci per affrontare la questione delle tariffe Usa e avere "un'idea chiara" dell'impatto sui settori più penalizzati. Un tema che sarà sul tavolo del colloquio tra la premier e il presidente americano Donald Trump, in programma il prossimo 17 aprile alla Casa Bianca, a Washington: la sfida, in questo scenario dominato dall'incertezza sul futuro, è "azzerare i reciproci dazi sui prodotti industriali esistenti" insistendo sulla formula "zero per zero". Il capo del governo propone alle parti sociali "un patto" per fare "fronte comune" rispetto "alla nuova delicata congiuntura economica che stiamo affrontando" e l'attivazione di tavoli di lavoro per trovare le misure idonee a rafforzare la competitività del tessuto imprenditoriale italiano. Il pacchetto messo in campo dal governo si articola in una serie di interventi: "Abbiamo individuato nell'ambito della dotazione finanziaria del Recovery italiano e della sua prossima revisione circa 14 miliardi di euro che possono essere rimodulati per sostenere l'occupazione e aumentare l'efficienza della produttività", spiega Meloni. A queste risorse si aggiungono circa 11 miliardi dei fondi di coesione, che nelle intenzioni dell'esecutivo "possono essere riprogrammati a favore delle imprese, dei lavoratori e dei settori che dovessero essere più colpiti". Ulteriori fondi potrebbero arrivare da una revisione del Piano per il clima: la dotazione complessiva dell'Ue per il periodo 2026-2032 ammonta a 54 miliardi di euro e, come sottolinea Meloni nel suo intervento, "prevede per il nostro Paese circa 7 miliardi di euro complessivi" destinati alla riduzione dei costi energetici per famiglie e micro imprese. La ricetta del governo viene illustrata nella girandola di incontri, a cui partecipano, oltre alla presidente del Consiglio, i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini (quest'ultimo in collegamento dal Friuli Venezia Giulia), i ministri competenti - Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso, Tommaso Foti, Francesco Lollobrigida - e i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari. I lavori si aprono con l'ascolto dei rappresentanti di Confindustria, Ice e della Camera Nazionale della Moda Italiana (Cnmi), per poi proseguire con le piccole e medie imprese e concludersi con le associazioni dell'agroalimentare, uno dei comparti più duramente colpiti dalle misure tariffarie statunitensi. La riunione arriva all'indomani del vertice della 'task force' governativa, dove il governo ha ribadito che una "guerra commerciale" non avvantaggerebbe nessuno, né l'Unione europea né gli Stati Uniti. Concetti rimarcati anche ieri dalla premier. Per l'esecutivo guidato da Meloni, il nodo dazi va affrontato con pragmatismo e senza allarmismi, che, come va ripetendo da giorni l'inquilina di Palazzo Chigi, rischiano di causare danni ben maggiori di quelli strettamente connessi con i dazi. La risposta alla 'mannaia' sulle merci europee, secondo il governo, passa anche per una de-regulation a livello Ue e per una sburocratizzazione del quadro normativo, intervenendo sulle "regole ideologiche" e "poco condivisibili" del Green Deal. Parallelamente alla trattativa con gli Usa, infatti, per Meloni bisogna che la Ue elimini i dazi che si è "autoimposta". "Da subito intendiamo attivarci per avviare un forte negoziato con la Commissione Ue per un regime transitorio sugli aiuti di Stato e una maggiore flessibilità nella revisione del Pnrr, nell'utilizzo dei fondi di coesione e nella definizione del Piano sociale per il clima", afferma l'inquilina di Palazzo Chigi. "Se l'Europa pensa di sopravvivere a questa fase continuando a far finta di niente o a pretendere di iper regolamentare tutto - avverte Meloni nel suo speech - semplicemente non sopravviverà e abbiamo un problema più grande dei dazi americani". Un'altra "importante questione" da affrontare per l'Europa è la salvaguardia del mercato interno: è necessario, insiste Meloni, "evitare che la sovrapproduzione della Cina e di altri Paesi soprattutto asiatici colpiti dai dazi statunitensi impatti nel nostro mercato interno". in tal senso l'Italia guarda con favore alla task force proposta dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per la sorveglianza delle importazioni. Altra strada da percorrere è la promozione del Made in Italy a livello internazionale, "per raggiungere nuovi mercati e rafforzare la nostra presenza", ma anche a livello interno, sul territorio nazionale, "per rafforzare la domanda", suggerisce ancora la premier davanti agli imprenditori. Sul tema dei dazi interviene anche il ministro degli Esteri Tajani, che sottolinea come la missione americana della presidente Meloni e i buoni rapporti con l'amministrazione Trump possano "favorire il dialogo" tra Unione europea e Stati Uniti, con l'obiettivo di evitare una guerra commerciale. Nel frattempo, l'Unione europea si prepara a reagire alle mosse del tycoon, rispolverando il cosiddetto 'bazooka', ovvero lo strumento anti-coercizione in vigore da dicembre 2023, finora mai attivato. Si tratta di un meccanismo pensato per contrastare azioni che minacciano le scelte sovrane dell'Ue o dei suoi Stati membri, attraverso pressioni dirette sul commercio o sugli investimenti. Ma la speranza del governo italiano è che non si arrivi a tanto: "Io mi auguro che non si usi nessun bazooka - dice il titolare della Farnesina -. Noi dobbiamo lavorare per trovare un accordo con gli Stati Uniti". Anche per questa ragione l'Italia aveva chiesto un rinvio della lista dei dazi da aumentare nei confronti di alcuni prodotti di importazione americana. (di Antonio Atte)
(Adnkronos) - I dazi del 20% sui prodotti provenienti dall'Unione europea annunciati dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, rischiano di avere pesanti ripercussioni per la filiera del vino, in particolare per i principali esportatori come l’Italia. Ed è forte la preoccupazione nel settore, come testimoniano i commenti, da Nord a Sud, di alcuni dei Consorzi di tutela. “La decisione di imporre dazi sui vini italiani rappresenta un elemento di forte preoccupazione - afferma Camillo Pugliesi, direttore del Consorzio Vini Doc Sicilia - per un settore che ha sempre fatto della qualità e dell’export uno dei suoi principali punti di forza. I vini del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia sono ambasciatori della nostra cultura e del nostro territorio nel mondo, e queste misure non solo creeranno difficoltà ai produttori, ma penalizzeranno in modo significativo anche i consumatori americani, che vedranno ridotta la possibilità di accedere a prodotti d’eccellenza a condizioni competitive. Il rischio è quello di limitare la scelta per il pubblico statunitense, privandolo di vini apprezzati per la loro qualità e autenticità". "Dal canto suo, il Consorzio continuerà, per quanto possibile, a mantenere aperto il dialogo con gli Stati Uniti. Tuttavia, parallelamente, verranno implementate strategie di espansione verso altri mercati e rafforzate le attività di commercio e promozione in paesi con cui collaboriamo da anni, come il Canada e il Regno Unito. La valorizzazione dei vini Doc Sicilia non si ferma e proseguirà con determinazione su scala globale”, avverte. C'è anche chi mantiene un cauto ottimismo. “Sicuramente l'introduzione dei nuovi dazi sulle importazioni di vino negli Stati Uniti - dichiara Vitaliano Maccario, presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato - ci costringono a riflessioni importanti, anche se non siamo particolarmente preoccupati. Grazie al loro prezzo competitivo, i vini delle denominazioni tutelati dal nostro Consorzio, in particolare la Barbera, prevediamo non subiranno flessioni significative nelle vendite, poiché l'incidenza del rincaro sarà minima e confidiamo possa esser facilmente assorbibile dal mercato". "Questo aspetto, unito al grande apprezzamento che questi vini riscuotono tra i giovani consumatori e wine lovers per la loro versatilità e abbinabilità, speriamo li tenga fortemente competitivi anche nel contesto dei nuovi dazi americani. Siamo quindi fiduciosi che continueranno ad essere ricercati nel mercato americano senza che la politica dei nuovi dazi possa incidere in modo troppo significativo sull'andamento della domanda", spiega. "Riteniamo, inoltre, che sia fondamentale - aggiunge - continuare a investire sulla collaborazione con i principali player del mercato statunitense. In quest’ottima, abbiamo siglato un importante accordo con il Monopolio della Pennsylvania che si concretizzerà in una serie di azioni, prima fra tutte il tour che si sta svolgendo in questi giorni nel nostro territorio. Un’occasione unica per i nostri produttori di far conoscere ai buyer i loro prodotti e di aprire nuove relazioni commerciali. Crediamo fortemente che il nostro territorio possa sempre più essere un riferimento di eccellenza e qualità”. Pensa a strategie mirate anche Massimo Sepiacci, presidente UmbriaTop, la cooperativa delle cantine umbre: "Ora abbiamo un quadro più chiaro: sappiamo che il dazio sarà del 20%. Certo, è una notizia che avrà un impatto negativo, ma almeno l'incertezza che aveva bloccato il mercato nei mesi scorsi è stata superata. L'effetto più immediato sarà dunque una riduzione dei volumi importati, con un impatto diretto sulle nostre esportazioni in particolar modo per i vini di media fascia ed entry level. Per il comparto vinicolo umbro, questo significa la necessità di adottare strategie mirate per limitare le perdite, diversificando le destinazioni e valorizzando ancora di più la qualità e l’unicità dei nostri vini". "L'Umbria, con la sua lunga tradizione vinicola e il suo impegno nella produzione di vini di eccellenza, deve affrontare questa sfida con determinazione, sfruttando al meglio le sue peculiarità territoriali. È essenziale potenziare la presenza nei mercati emergenti, investire nella digitalizzazione della distribuzione e creare sinergie con altri settori strategici del Made in Italy", prosegue. "Sarà fondamentale - sottolinea - un lavoro congiunto tra istituzioni, consorzi e produttori per affrontare questa situazione, garantire la competitività del vino umbro nel contesto globale e continuare a far conoscere al mondo il valore della nostra terra e delle sue produzioni di qualità". E proprio in Umbria, regione ad alta vocazione enoturistica, i dazi rischiano di avere un impatto anche sul turismo, come dice Giovanni Dubini, presidente dell’associazione Mtv Umbria: “Negli ultimi anni, l'enoturismo in Umbria ha rappresentato una risorsa straordinaria per il nostro territorio, con un crescente interesse da parte di visitatori italiani e stranieri che scelgono la nostra regione per scoprire la qualità e l'autenticità dei nostri vini. Tuttavia, l'introduzione di dazi sulle esportazioni vinicole rappresenta una sfida significativa per il settore, incidendo sulla competitività delle nostre aziende e limitando l'accesso ai mercati internazionali". "L'Umbria, con le sue cantine storiche e i suoi vitigni autoctoni, deve continuare a puntare sull'enoturismo come motore di crescita economica e promozione del territorio. Le politiche commerciali restrittive non devono scoraggiare i produttori, ma piuttosto spingerci a investire ancora di più nell'accoglienza, nell'esperienzialità e nella valorizzazione delle nostre eccellenze locali", osserva. "Chiediamo con forza che le istituzioni a livello nazionale ed europeo si adoperino per tutelare il comparto vitivinicolo italiano, favorendo accordi che possano ridurre l'impatto dei dazi e incentivare la promozione internazionale del nostro patrimonio enologico. Nel frattempo, Mtv Umbria continuerà a lavorare al fianco delle cantine e degli operatori del turismo per rafforzare la nostra attrattività, offrendo ai visitatori esperienze uniche che vadano oltre la semplice degustazione: percorsi culturali, eventi enogastronomici e un'immersione autentica nella bellezza della nostra terra”, conclude.
(Adnkronos) - Il terremoto avvenuto questa mattina in Myanmar si è verificato in "un'area altamente sismica. Nel secolo scorso ci sono state parecchie scosse di magnitudo superiore a 7: in soli 26 anni, dal 1930 al 1956, ce ne sono state 6 di magnitudo superiore a 7, quindi è un terremoto del tutto atteso in quell'area". Così all'Adnkronos il presidente dell'Ingv, Carlo Doglioni, dopo il violentissimo sisma che ha colpito l'Asia. Si tratta di "una zona del mondo dove la placca indiana si muove verso nord-nordest sotto l'Asia e in quella zona della Burma ha una componente obliqua, sono dei terremoti che hanno una componente compressiva ma anche di movimento laterale tra le placche quello che noi chiamiamo transpressione destra". E', dunque, l'"effetto di questa convergenza obliqua tra l'India e l'Asia di circa 4 cm all'anno, velocità 10 volte più grandi di quelle che abbiamo in Italia dove la deformazione è dell'ordine dei millimetri all'anno: questo spiega perché lì ci sono terremoti molto più energetici che da noi". Il sisma di questa mattina "è di energia simile a quella dell'evento di febbraio 2023 in Turchia, difficile immaginare che non ci siano grossissimi danni e molte vittime". "Se persino a Bangkok, che si trova a parecchie centinaia di chilometri di distanza, ci sono stati crolli, dentro l'area epicentrale ci sarà sicuramente grande distruzione, molte frane e fenomeni di liquefazione (lo scuotimento del suolo che sembra solido, si liquefa e se ci sono abitazioni sopra queste collassano e ci possono essere ulteriori danni)", spiega. Non ci sono indicazioni per un rischio tsunami. "Il terremoto è avvenuto a centinaia di chilometri dalla costa, non ha rotture sul fondo mare, quindi non c'è un rischio tsunami come quello dell'Indonesia o di Tohoku, in Giappone", chiarisce. Sull'evoluzione del fenomeno nelle prossime ore, l'esperto spiega che "è avvenuto ciò che definiamo un main shock, cioè una scossa principale. Può succedere che, a volte, queste scosse principali siano accompagnate da scosse di magnitudo simile, come nel caso della Turchia, a distanza di poche ore. E' possibile. D'altronde c'è una sequenza che decade nel corso dei giorni in termini di numero di scosse di magnitudo che diventano sempre più piccole e sempre più diradate. Ma se la discesa è iniziata in maniera definitiva non lo sappiamo perché se c'è un'ulteriore recrudescenza, con un altro main shock, si riazzera l'orologio ". (di Francesca Romano)