(Adnkronos) - “Ho incentrato la prefazione che ho scritto per l’edizione italiana dell’Indice Globale della fame (Ghi) sul fatto che esiste un buco nero nel mondo ed è, evidentemente, la Striscia di Gaza, dove, per la prima volta dal Medioevo, abbiamo assistito a un'operazione ignobile, quella di affamare la popolazione, impedendo l’arrivo di cibo, per costringerla ad abbandonare la sua terra”. A spiegarlo è Gigi Riva, editorialista di Domani e scrittore, alla presentazione dell’edizione 2025 dell’Indice Globale della fame (Global hunger index – Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto da Welthungerhilfe (Whh), Concern worldwide e Institute for international law of peace and armed conflict (Ifhv). Quella che si è protratta negli ultimi due anni “è stata l'ultima escalation dopo massacri e, persino, pulizie etniche. Molta gente muore ancora di fame nel mondo, ma per motivi naturali, come i cambiamenti climatici, le catastrofi naturali o ‘semplicemente’ per l’assenza di cibo - spiega Riva, che nella sua lunga carriera è stato anche inviato di guerra per Il Giorno e L’Espresso - Ma questa è la prima volta in epoca moderna in cui è l'uomo a decretare” la carestia, “in cui è l’uomo che ha deciso di affamare un'intera fetta di popolazione, provocando anche la morte di diversi bambini” per malnutrizione. Il buco nero di cui racconta Riva nella prefazione del Ghi non è relativo solo alla fame “ma anche all’informazione, perché le poche e parziali informazioni che abbiamo avuto rispetto a questa crisi alimentare le abbiamo avute dalle fonti locali e, soprattutto, dai giornalisti palestinesi, unici testimoni della stampa presenti a poter raccontare quando succedeva, dal momento che ai media internazionali era impossibile accedere al teatro di battaglia della Striscia di Gaza. Quasi 300 di loro sono morti nel fare il loro lavoro”. “C'è anche un buco nero morale - aggiunge - perché l'Occidente non ha difeso i suoi valori, ha permesso che tutto questo succedesse. Come ho aggiunto nella prefazione, quello di Gaza è il buco nero più evidente, che tocca più da vicino sia dal punto di vista della prossimità geografica che della coscienza, ma ce ne sono altri di buchi neri. Uno è il Sudan, dove c'è una guerra e la gente muore di fame, l'altro è la Somalia. Sono almeno sette i Paesi in cui la gente muore di fame a causa delle guerre”. Tornando a parlare della situazione umanitaria che la popolazione gazawa ha vissuto per due anni, prima che Hamas ed Israele accettassero il recentissimo accordo di pace, l’ex direttore del Giornale di Vicenza spiega come si tratti della “prima volta che ci troviamo davanti ad una situazione del genere, ossia alla volontà di uccidere della gente con la fame, non permettendo di accedere agli aiuti alimentari” al punto da costringere la popolazione a pensare di andarsene “una delle delle prospettive era infatti quella di rendere la vita nella Striscia così impossibile da obbligare la popolazione ad abbandonarla per dislocarsi nel Sinai, piuttosto che in Giordania o in Libia. È la prima volta”, in epoca moderna, “che ci troviamo davanti all'accanimento dell'uomo sull'uomo” attraverso l’arma della fame. La percezione “di questo orrore è andata via via crescendo nella popolazione - commenta Riva - e credo che la cosa che più ha smosso le coscienze, come successo anche in altre guerre, è vedere le immagini dei bambini di Gaza. L'identificazione di quei bambini con i nostri figli ha fatto sì che esplodesse la protesta e in tutto il mondo si scendesse in piazza per dire ‘basta’. È incredibile se volete, persino un paradosso, che le proteste siano scoppiate non quando il massacro era ancora più vasto ma quando il tema è stato la fame”. Una fame che a Gaza non uccideva solo attraverso la privazione del cibo ma anche con i proiettili: "Centinaia di persone sono state uccise a Gaza dagli spari sulla folla in coda per il cibo e, ancora, non si sa chi abbia aperto il fuoco”. “L'informazione di guerra presenta due sfide in questo momento, quella di creare le condizioni perché i giornalisti possano accedere ai luoghi in cui i conflitti avvengono e quella della lotta alle fake news e alla proliferazione dell’accesso ai media e alle opportunità tecnologiche con cui si possano veicolare informazione” prosegue, spiegando che la guerra a Gaza è un esempio per entrambe le sfide perché da una parte “l'esercito israeliano ha impedito ai giornalisti internazionali di avere una visione sul luogo” e dall’altra “alcuni giornalisti sono entrati embedded - come si dice in gergo tecnico - all'esercito, che ha fatto quindi vedere loro solo quello che voleva”. “Da una situazione come quella di Gaza i media tradizionali possono trarre una lezione, perché se è vero che le nostre telecamere e i nostri taccuini non hanno potuto raccontarla sul campo, è pur vero che esistono centinaia di giornalisti locali e centinaia di semplici cittadini che possono contribuire all’informazione inviando i loro i filmati, dando le loro testimonianze. In questo caso, il nostro obbligo di giornalisti sarà quello di essere ‘i vigili urbani dell'informazione’, usando la nostra professionalità per capire quali di queste informazioni è vera e verificata o verificabile e quale no. Noi abbiamo gli strumenti per poterlo fare”. “Il rapporto Ghi di quest'anno ci dice una cosa allarmante - aggiunge Riva - che va addirittura oltre le informazioni sulle morti per fame a Gaza piuttosto che nel Sudan e in Somalia. Sto parlando del fatto che negli ultimi dieci anni l'indice di povertà è diminuito, ma di pochissimo. I Paesi che erano più generosi nel fornire aiuti fino a dieci anni fa, non lo sono più. Con la crisi economica è calata l'attenzione verso l'altro, si è meno disposti a gesti di generosità, sia personali che per quanto riguarda gli interventi degli Stati. Questo è il motivo per cui da dieci anni l'indice della fame nel mondo è rimasto pressoché inalterato, rendendo impossibile il traguardo che ci si era prefissati: zero fame entro il 2030”, avverte. Se si continuerà a migliorare a ritmi così bassi “si raggiungerà la zero fame nel 2137, un secolo dopo rispetto al previsto”, dice. “ll Cesvi, di cui sono membro onorario - ricorda il giornalista - in questo momento nella Striscia di Gaza permette alla gente di avere accesso all'acqua, fondamentale anche più del cibo. Quindi le Ong che svolgono il loro lavoro in zone di guerra, soprattutto nelle zone più difficili, sono quelle che fanno da supplenza” alla mancanza di azioni degli Stati, riflette Riva. “Il supporto delle Ong è stato fondamentale, non solo per stare vicini alla popolazione e per cercare di portare delle gocce di umanità oltre che aiuto concreto, ma anche perché sono state i nostri occhi laddove i nostri occhi non potevano arrivare”, conclude.
(Adnkronos) - Nel terzo trimestre del 2025 la fiducia delle imprese del mid-market è tornata a crescere, raggiungendo i livelli del primo trimestre 2024. E' quanto emerge dall’ultimo International Business Report (Ibr) realizzato dal network di consulenza internazionale Grant Thornton. L’indagine, che ha coinvolto oltre 2.500 dirigenti di aziende a livello globale, evidenzia un aumento di cinque punti percentuali dell’ottimismo, passato dal 71% al 76%. Nell’Unione Europea si registra un incremento più contenuto, pari al 2% (dal 59% al 61%). In Italia, invece, il dato è in controtendenza, con una contrazione di tre punti percentuali (dal 62% al 59%). L’incertezza economica registra un incremento del 2% a livello globale, passando dal 60% al 62% (per trovare un valore simile bisogna tornare al primo semestre del 2022) e dell’1% nell’Unione Europea (dal 47% al 48%). In Italia, invece, si osserva una diminuzione del 3% (dal 51% al 48%). A livello globale, il numero di imprenditori preoccupati per la sicurezza informatica risulta essere il più alto mai registrato nella storia del report, con una crescita del 5%, passando dal 50% al 55%. Nell’Unione Europea e in Italia, all’opposto, si riducono rispettivamente del 4% (dal 45% al 41%) – il dato più basso mai registrato nella storia del report – e del 12% (dal 52% al 40%), un chiaro segnale dalle imprese di una maggiore percezione della propria capacità di difesa. Le preoccupazioni legate all'aumento dei costi dell'energia risultano in crescita in Italia (+7%, dal 54% al 61%), nell’Unione Europea (+1%, dal 49% al 50%) e a livello globale (+3%, dal 52% al 55%). Il costo del lavoro mostra un trend in aumento sia a livello globale (+3%, dal 52% al 55%) – per ritrovare un valore simile dobbiamo tornare al secondo semestre del 2022 – che nell’Unione Europea (+2%, dal 45% al 47%). In Italia, invece, il dato è stabile, intorno al 58%. Trainata dall'aumento dell’ottimismo a livello globale, cresce la percentuale degli imprenditori che si aspetta un incremento della redditività: a livello globale si assiste a un aumento del 3% (dal 63% al 66%), nell’ Unione Europea del 4% (dal 51% al 55%), mentre in Italia il dato rimane stabile al 51%. In crescita del 4% la percentuale di imprenditori italiani che prevedono di aumentare i prezzi di vendita (dal 45% al 49%). Sale anche il dato nell’Unione Europea (+1%, dal 49% al 50%). A livello globale si assiste invece a una leggera contrazione dell’1% (dal 54% al 53%). In aumento la percentuale di imprenditori dell’Unione Europea che stimano una crescita del fatturato (+4%, dal 57% al 61%), il livello più alto mai registrato nel report, in sensibile incremento in Italia (+11%, dal 55% al 66%). Dato in calo del 2%, dal 66% al 64%, a livello globale. Cresce del 4%, sia a livello globale (dal 53% al 57%) che nell’Unione Europea (dal 45% al 49%) l’ottimismo degli imprenditori per quanto riguarda l’assunzione di nuove risorse. In controtendenza l’Italia, dove si assiste a una diminuzione del 2%, passando dal 43% al 41%. Rimane stabile all’89% la percentuale globale di imprenditori che prevede di aumentare i salari dei propri dipendenti. Dati leggermente in calo dell’1% sia nell’Unione Europea (dall’87% all’86%) che in Italia (dall’81% all’80%). Si evidenzia una forte crescita sia in Italia (+11%, dal 52% al 67%) che nell’Unione Europea (+5%, dal 57% al 62%) – numero più alto mai registrato nel report – delle aspettative di aumento degli investimenti in Innovazione tecnologica. Rimane stabile al 68%, invece, il valore a livello globale. Anche la spesa in ricerca e sviluppo segue la medesima tendenza positiva in tutte le aree geografiche: a livello italiano aumenta del 5%, passando dal 54% al 59%, nell’Unione Europea dell’1% (dal 51% al 52%); a livello globale, invece, rimane stabile al 60%. Gli investimenti nel brand e nella valorizzazione dell’immagine aziendale mostrano un incremento generalizzato: +5% in Italia (dal 40% al 45%), +4% nell’Unione Europea (dal 48% al 52%) e +4% a livello globale (dal 58% al 62%). Anche gli investimenti in sostenibilità risultano in aumento, l'incremento più significativo, del 5%, si registra in Italia (dal 44% al 49%), seguito dall’Unione Europea (+4%, dal 49% al 53%) e a livello globale (+4%, dal 56% al 60%). Gli investimenti nelle competenze dei propri dipendenti risultano essere in forte diminuzione in Italia (-5%, dal 51% al 46%) e stabili al 59% a livello globale. Nell’Unione Europea, invece, il dato sale del 3%, dal 47% al 50%. Infine, gli investimenti nei luoghi di lavoro risultano essere in crescita nell’Unione Europea (+7%, dal 38% al 45%), in Italia (+4%, dal 37% al 41%) e a livello globale (+2%, dal 51% al 53%). Secondo Alessandro Dragonetti, head of tax Grant Thornton Italia, "i risultati dell’analisi di Grant Thornton evidenziano con chiarezza la ripresa della fiducia del mid-market a livello globale (sebbene l’Italia, per ragioni evidentemente peculiari, rilevi un dato in controtendenza). In tale scenario, è interessante rilevare come le imprese dell’Unione Europea e quelle italiane stiano progressivamente ridefinendo le proprie strategie di crescita, orientando i piani di investimento in contesti ad alto valore strategico. Innovazione tecnologica, sostenibilità, digitalizzazione dei processi, sviluppo del capitale umano e rafforzamento della brand reputation rappresentano oggi i principali asset strategici su cui concentrare le risorse, soprattutto in un contesto globale caratterizzato da alta volatilità e competitività", sottolinea. "Significativo, in tale ambito, il dato sull’incremento degli investimenti nei luoghi di lavoro. Le imprese che scelgono di investire in modo coerente e strutturato su questi pilastri non solo rispondono alle sfide del presente, ma costruiscono le fondamenta per un vantaggio competitivo duraturo, basato su valore, competenza e visione", conclude.
(Adnkronos) - "Dalla ricerca emerge che il tema principale è che l’economia circolare non solo può contribuire a migliorare la salute e la temperatura del pianeta, ma soprattutto che ci sono una serie di benefici in termini economici per le imprese". Lo ha detto oggi all'Adnkronos Francesco Perrini, Head of Sustainability di Sda Bocconi School of Management, a margine del convegno “Creare valore economico sostenibile attraverso la gestione circolare dei residui industriali” presso Sda Bocconi School of Management, in collaborazione con Omnisyst. L’economia circolare "contribuisce a creare valore riducendo i costi, aumentando la produttività e aumentando i ricavi, trasformando i rifiuti in materie prime - ha poi aggiunto -. Benefici a 360 gradi per tutte le tipologie di impresa. Certo, più le imprese sono coinvolte in processi produttivi e di trasformazione industriale più questo vale. Vale un po’ meno per chi svolge attività di servizi". "Un acceleratore dell’economia circolare saranno le nuove tecnologie digitali" ha concluso Perrini.