(Adnkronos) - Adolf Hitler non aveva origini ebraiche, era affetto dalla sindrome di Kallmann e molto probabilmente aveva un solo testicolo. E' la rivelazione del documentario 'Hitler’s DNA: Blueprint of a Dictator' realizzato dal professor Turi King per l'emittente britannica Channel 4. L'analisi del Dna è stata resa possibile dopo che i ricercatori hanno ottenuto un campione di sangue di Hitler da un frammento di materiale prelevato dal divano su cui il Führer si è sparato. Gli studi evidenziano anomalie nel Dna e in particolare fanno riferimento alla mutazione del gene PROK2, spesso associata alla sindrome di Kallmann. La patologia si manifesta anche con la mancata discesa di uno o entrambi i testicoli nello scroto. Troverebbero così conferma le parole contenute, negli anni della Seconda guerra mondiale, in una canzone della propaganda britannica: 'Hitler Has Only Got One Ball'. Un referto medico del 1923, scoperto nel 2015, affermava che Hitler avesse il testicolo destro non disceso. L'analisi del Dna dà a questo documento maggior peso. La patologia è anche associata a bassi livelli di testosterone, ridotto desiderio sessuale e, in alcuni casi, micropene. Il tema viene sottoposto allo storico Alex J. Kay, che ha studiato la Germania nazista per 20 anni: "Come facevano gli inglesi a saperlo? Non siamo ancora riusciti a capire da dove provenisse questa voce, ma era effettivamente vera". Lo studioso aggiunge che potrebbe essere stata una "coincidenza davvero sorprendente", o semplicemente basata sulla consapevolezza che Hitler si distingueva dalla maggior parte degli altri importanti nazisti, che non solo avevano mogli e figli, ma anche amanti. "Nessuno è mai stato in grado di spiegare - dice - perché Hitler sia stato così a disagio con le donne per tutta la vita, o perché probabilmente non sia mai entrato in relazioni intime con le donne. Ma ora sappiamo che aveva la sindrome di Kallmann, questa potrebbe essere la risposta che stavamo cercando". Dal DNA è anche possibile evidenziare marcatori genetici di un individuo e confrontare i dati con un ampio campione di popolazione per stimare la predisposizione genetica della persona a una determinata condizione. Una di queste scoperte mostra che la propensione genetica di Hitler al comportamento antisociale – un indicatore della psicopatia – rientra nel 10 per cento più elevato. Ma per il professor Kay la scoperta più significativa è stata quella che, di fatto, "ha messo a tacere la voce secondo cui avrebbe potuto avere origini ebraiche". Si pensa che la 'leggenda' abbia avuto origine negli anni '20 da una diceria secondo cui la nonna di Hitler sarebbe rimasta incinta dopo aver lavorato in una famiglia ebraica. L'analisi del Dna non conferma la tesi. La figura di Hitler, ovviamente, negli anni è stata osservata ed esaminata da numerosi ricercatori. Lo psichiatra irlandese Michael Fitzgerald afferma che, circa 20 anni fa, i suoi studi lo avevano lasciato "assolutamente convinto che soffrisse di una vasta gamma di disturbi dello sviluppo neurologico". Il punteggio di Hitler per l'ADHD era "superiore alla media". Ciò è supportato da documenti come pagelle scolastiche e – in linea con l'innovazione e la potenziale controversia di questo documentario – illustrato con un video generato dall'intelligenza artificiale di Hitler da bambino. Nel frattempo, il punteggio per l'autismo colloca il dittatore tedesco nell'1% più alto della popolazione. Ma Kay afferma di essere stato coinvolto per fornire "una certa competenza storica e un contesto a tutto questo". Nel documentario serviva qualcuno "che potesse dire: 'Beh, aspetta un attimo. Il DNA può dirci molto, ma non può dirci tutto'". "Non vogliamo porre in cattiva luce nessuno che soffra di una di queste particolari condizioni, perché è estremamente raro che commettano atti violenti, figuriamoci un genocidio. E" Hitler "non era solo. Ci sono centinaia di migliaia di persone che lo hanno aiutato a fare quello che ha fatto, e non hanno tutte lo stesso corredo genetico di Hitler".
(Adnkronos) - Si è tenuta presso la Sala Convegni del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), la cerimonia di premiazione della quinta edizione del premio Tesi di laurea 'Ingenio al femminile', l’iniziativa del Consiglio nazionale degli ingegneri, organizzata in collaborazione con Cesop HR Consulting Company, azienda che mira a valorizzare il talento e la professionalità delle donne ingegnere in Italia. Tra le novità dell’edizione 2025, la partecipazione di ragazze provenienti da 31 atenei diversi, sui 54 che in Italia offrono almeno un corso di laurea in ingegneria. E’ risultato coinvolto, dunque, il 57% di quelle che una volta erano le facoltà di ingegneria italiane. Le classi di laurea di provenienza (fra triennali e magistrali) sono state in tutto 19. La parte del leone l’hanno fatta i corsi di ingegneria biomedica, che registrano circa il 30% delle partecipanti al bando 2025, e di ingegneria informatica con circa il 25% delle partecipanti, seguiti a ruota da tutte le classi di laurea generalmente ascrivibili al settore industriale (meccanica, chimica, automazione e così via) che sommano il 20%. La quota restante se la dividono i corsi del settore civile-ambientale e gli altri corsi di laurea del settore dell’informazione (gestionale, elettronica-telecomunicazioni etc.). Le partecipanti, infine, provengono da 46 diverse province italiane. La cerimonia, moderata da Guido Razzano (Consiglio nazionale degli ingegneri), è stata introdotta dai saluti istituzionali di Emilio Fortunato Campana (direttore del Dipartimento Ict e tecnologie per l’energia e i trasporti del Cnr) e del presidente del Cni Angelo Domenico Perrini. Campana ha sottolineato come il Cnr sia molto avanti in tema di parità di genere, anche se ancora resta molto da fare per quanto riguarda le posizioni apicali. Perrini si è espresso così: "Questo premio è diventato ormai una piacevole consuetudine per il Consiglio nazionale. Il mondo dell’ingegneria è profondamente cambiato: questo premio e il progetto ‘Ingenio al femminile’ ne sono la testimonianza. Servono ancora molti passi in avanti, soprattutto nel mondo del lavoro, in particolare nella direzione del superamento del salary gap. Ma il mondo femminile ormai riempie l’ingegneria italiana". E’ stata poi la volta di Ippolita Chiarolini, consigliera del Cni con delega al progetto 'Ingenio al femminile'. "Secondo il World economic forum - ha detto - servono ancora molti anni, oltre cento, per raggiungere una parità di genere. Quindi c’è ancora molto lavoro da fare. Sempre secondo il Wef, il 58% delle aziende considera la promozione del talento femminile come fattore strategico. Uno dei concetti chiave per le aziende è l’innovazione e questa non può fare a meno della componente femminile, fondamentale per creare valore. L’ingegneria al femminile, dunque, consente di avere un vantaggio competitivo; è una scelta strategica vincente e un'opportunità da cogliere per progettare il potenziale inclusivo dell’Ia. Il talento e la creazione di valore deve essere un’unica potente missione". Il tema centrale di questa edizione 2025 è stato 'Intelligenza artificiale per le nuove sfide del 2050'. Il focus ha evidenziato l'importanza del ruolo femminile nello sviluppo di tecnologie all'avanguardia e nella riduzione del gender gap in ambito Stem in linea con l'Obiettivo 5 dell'Agenda Onu 2030 sulla parità di genere. L'edizione di quest’anno ha confermato cinque categorie di premio, ciascuna con un riconoscimento in denaro di 1.500 euro. I premi assegnati sono stati i seguenti. Premio Ingegneria civile e ambientale: Sarah Olimpia Sardone (Università di Bologna) per uno studio della Torre Garisenda di Bologna che usa un modello predittivo con l’ausilio dell’Ia. Premio Ingegneria industriale: Eloisa Mazzocco (Università di Modena e Reggio Emilia) per una tesi su frameworks di reinforcement learning basati su Ia per i sistemi multi-drone. Premio Ingegneria dell’informazione: Sara Zoccheddu (Politecnico di Milano) che ha studiato la metodologia casual discovery che identifica le relazioni causa-effetto a partire dall’analisi dei dati. Premio Giulia Cecchettin per l’Ingegneria biomedica a Irene Iele (Università Campus Biomedico di Roma) per una tesi sullo sviluppo di un framework che garantisca affidabilità ed equità dei modelli di Ia. Premio Tesi di dottorato: Giulia Saccomano (Università di Trieste) per una tesi sulla tecnica XVH che consente osservazioni tridimensionali ad alta risoluzione. Menzione d’onore: Carmen Penepinto Zayati (Università di Pisa) per uno studio sulle cellule staminali e la loro reazione agli stimoli esterni. Ha chiuso la cerimonia Remo Giulio Vaudano, vicepresidente vicario del Cni: "Andiamo verso una società 5.0, quella dell’umanesimo tecnologico. In questo mondo le donne ingegnere avranno un ruolo determinante per la forza e le capacità che esprimono". Nel 2024 la componente femminile tra gli ingegneri arriva a costituire il 31,5% dei laureati (di primo e secondo livello), quota massima mai raggiunta, laddove 15 anni fa era inferiore al 25%. Per alcuni corsi di laurea magistrale, la presenza femminile si rivela così consistente da formare addirittura la maggioranza assoluta dei laureati, come nel caso dei laureati in Ingegneria biomedica e in Architettura e ingegneria edile- architettura dove arrivano a costituire oltre il 60% dei laureati. Emerge dai dati resi noti dal Centro studi del Cni, Consiglio nazionale ingegneri. Valori decisamente consistenti si rilevano anche tra i laureati in Ingegneria chimica (46%), Ingegneria dei sistemi edilizi (45,9%) e Ingegneria per l’ambiente ed il territorio (43,5%). Non sembrano, al contrario, riscuotere particolare successo i corsi in Ingegneria meccanica, Ingegneria elettronica e Ingegneria elettrica, considerato che tra i laureati di queste classi la componente femminile non va oltre il 16,8% (14% tra i laureati in Ingegneria meccanica). Volgendo lo sguardo sull’universo delle laureate di primo livello, sebbene la maggioranza abbia seguito un corso di laurea in Ingegneria industriale (52,7% delle laureate) e oltre un terzo (34,3%) abbia conseguito un titolo di laurea in Ingegneria dell’informazione, la presenza femminile risulta particolarmente nutrita nel settore civile ed ambientale, in particolar modo nella classe di laurea Scienze e tecniche dell’edilizia dove costituiscono oltre il 40% dei laureati.
(Adnkronos) - L’evento è organizzato da Ieg Middle East e V Group e si svolge con il Patrocinio del Ministero del Cambiamento Climatico e dell’Ambiente (Moccae) degli Emirati Arabi Uniti, con gli auspici dell’Ambasciata d’Italia negli Emirati Arabi Uniti, i patrocini del Ministero delle Imprese e del Made in Italy e di Ita - Italian Trade Agency Dubai. Oltre 100 brand internazionali, suddivisi in settori chiave dell’industria verde, si riuniscono in questa vetrina senza precedenti per il Medio Oriente, testimoniano un impegno condiviso verso la sostenibilità e la biodiversità: coniugando l’expertise europea e la visione mediorientale, l’evento sottolinea il grande potenziale della cooperazione internazionale nella creazione di città più verdi, salutari e resilienti per le generazioni future. In fiera, aziende leader degli Emirati - Tanseeq Investment Group, Desert Group, Grand Grower Horticulture, Pheladelfia Agricultural, Planters Group e Gale Pacific — giocheranno un ruolo fondamentale nel plasmare il dialogo su paesaggio, florovivaismo e pianificazione urbana sostenibile. "Myplant & Garden Middle East 2025 rappresenta un’opportunità unica per riunire il meglio delle competenze internazionali in questi ambiti. Il nostro obiettivo è creare una piattaforma che ispiri nuove soluzioni per città più verdi e resilienti in tutto il Medio Oriente e non solo", sottolinea Valeria Randazzo, la direttrice della Fiera. Con numerose delegazioni di buyer provenienti da tutto il Gcc (Gulf Cooperation Council: Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar), Myplant & Garden Middle East 2025 sarà un hub commerciale strategico per lo sviluppo del settore a livello internazionale. Il mercato del paesaggio in Medio Oriente sta vivendo una crescita senza precedenti: si stima che entro il 2026 il suo valore supererà i 20 miliardi di dollari, con un incremento annuale compreso tra il 5 e il 7%. Le città del Golfo, in particolare, stanno integrando il verde nei grandi progetti di sviluppo come Neom e Diriyah Gate, utilizzandolo non solo come elemento estetico, ma come strumento di adattamento climatico in risposta a condizioni ambientali sempre più estreme. Spazi verdi ben progettati possono aumentare il valore delle proprietà fino al 15%, trasformando il paesaggio e la cura del verde in un vero e proprio investimento strategico per gli sviluppatori. Le politiche nazionali, come la Vision 2030 dell’Arabia Saudita e quella degli Emirati Arabi Uniti, pongono infatti il verde al centro delle strategie di sviluppo sostenibile. La Saudi Green Initiative, ad esempio, prevede la piantumazione di 10 miliardi di alberi e il recupero di oltre 74 milioni di ettari di terreno: uno sforzo che mira a ripristinare le funzioni ecologiche vitali, migliorare la qualità dell'aria, limitare le tempeste di sabbia, ridurre delle isole di calore, migliorare la gestione delle acque piovane e il rafforzamento della coesione sociale. Dal 2021, in Arabia Saudita sono già stati piantumati oltre 100 milioni di alberi e arbusti, che hanno risanato 120.000 ettari di territorio. Città come Dubai e Riyadh stanno guidando questa transizione con progetti ambiziosi: Green Riyadh, che mira a piantare 7,5 milioni di alberi e abbassare la temperatura della città di 2,2°C, e il Dubai 2040 Urban Masterplan, che pone parchi e spazi aperti al cuore degli sviluppi urbani. Parallelamente, cresce anche la domanda di prodotti per il giardinaggio, con un aumento medio delle vendite del 7% annuo, trainato dai nuovi programmi residenziali.