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(Adnkronos) - Il virus dell'influenza aviaria, che può colpire anche gli esseri umani, è stato scoperto in un lotto di latte crudo in vendita in California. Lo hanno comunicato le autorità statali. Sebbene non siano state segnalate malattie, questo ritrovamento si verifica solo pochi giorni dopo che un bambino è risultato positivo all'influenza aviaria, primo caso pediatrico nella storia degli Stati Uniti. Il virus è stato rilevato nel latte crudo intero di Raw Farm, con data di scadenza 27 novembre, ha informato il Dipartimento di salute pubblica della California. L'azienda ha emesso un richiamo volontario e i rivenditori sono stati informati di ritirare il prodotto dagli scaffali dei loro frigoriferi ed è stato consigliato ai consumatori che potrebbero averlo in casa di non berlo. "E' evidente che in Usa, con la situazione dell'aviaria che c'è, il latte crudo non dovrebbe essere né venduto né consumato. Spero che tutto il latte venga pastorizzato, la raccomandazione per gli adulti e per i bambini - quest'ultimi hanno un sistema immunitario non performante come quello degli adulti - che si recano negli Usa è di evitare di consumare il latte crudo. Ma credo che questa raccomandazione debba valere ovunque, si deve lavorare perché tutto il latte venga pastorizzato: è un processo che facciamo da 200 anni e rende il latte privo di rischi batteriologici e virali perché abbatte la carica microbica", dice all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive dell'ospedale policlinico San Martino di Genova. "Quello che vediamo da mesi sono i segnali che l'aviaria si sta avvicinando prepotentemente all'essere umano, siamo circondati - avverte Bassetti - la mucca è l'animale più vicino all'uomo, dal latte ai derivati. Quindi va alzata molto l'attenzione sul tema dell'aviaria, negare come qualcuno sta facendo non aiuta. Abbiamo i vaccini e i farmaci e dobbiamo organizzarci e fare una corretta informazione". La scoperta del virus dell'influenza aviaria in un lotto di latte crudo in vendita in California "ci deve far mantenere alta la sorveglianza e il monitoraggio di questo fenomeno estremamente importante dal punto di vista epidemiologico, ma ad oggi non sono stati segnalati in Italia casi di infezione H5N1 nei bovini e quindi non deve essere allarme sul consumo di latte. Ricordo però che è la pastorizzazione del latte è il processo che inattiva virus e batteri", afferma all'Adnkronos Salute il direttore scientifico della Simit, la Società italiana di malattie infettive e tropicali, Massimo Andreoni. "Il salto del virus dagli uccelli ai mammiferi comporta un adattamento del virus, il famoso 'spillover', questo processo crea una certa preoccupazione - prosegue Andreoni - La scoperta di tracce del virus nel latte dei vitelli, pochi casi in realtà, pone un tema importante che va prima di tutto verificato, comprovato e poi studiato per bene per capire i reali rischi per l'uomo. Attenzione alta, ma nessun pericolo imminente per l'Italia dove il sistema di controlli veterinari funziona bene come anche la rete di istituti zooprofilattici". "La moda del latte crudo, che negli ultimi anni ha guadagnato popolarità in Usa e non solo anche grazie a personalità di spicco e influencer, è tutt'altro che priva di rischi. Nonostante alcune affermazioni di sostenitori riguardo presunti benefici per la salute, come una maggiore biodisponibilità di nutrienti e la presenza di enzimi benefici, le evidenze scientifiche mostrano chiaramente che il consumo di latte crudo comporta pericoli significativi per la salute pubblica", ricorda all'Adnkronos Salute l'immunologo Mauro Minelli, docente di nutrizione umana della Lum. "Negli Stati Uniti, la regolamentazione sul latte crudo varia da Stato a Stato. Alcuni ne vietano completamente la vendita, mentre altri la consentono, spesso con etichettature che avvertono sui rischi - precisa - In conclusione, le raccomandazioni per i consumatori sono quelle di optare per latte pastorizzato che è la scelta più sicura e razionale. I rischi del latte crudo superano ampiamente i suoi presunti benefici. Tuttavia, se si sceglie di consumare latte crudo, è fondamentale bollirlo prima dell'uso, soprattutto per bambini, donne in gravidanza, anziani e persone immunocompromesse". "È importante elencare a questo punto i rischi principali associati al latte crudo - suggerisce Minelli - Primo fra tutti, la contaminazione microbiologica. Batteri patogeni, come Salmonella, Escherichia coli (in particolare i ceppi produttori di Shiga-tossina), Listeria monocytogenes, Campylobacter e Brucella sono spesso associati al latte crudo. Questi patogeni possono causare malattie gravi, inclusa la sindrome emolitico-uremica nei bambini, meningite e aborto spontaneo nelle donne incinte. Inoltre, il recente rilevamento del virus dell'influenza aviaria H5N1 in un lotto di latte crudo in California solleva ulteriori preoccupazioni. Sebbene - prosegue - il consumo di latte crudo non sia ancora stato collegato a infezioni da H5N1, il potenziale rischio esiste, soprattutto se il latte non è trattato termicamente. È d’obbligo effettuare un parallelismo interessante con la gestione dell’influenza aviaria sostenuta da virus H5N1. Nonostante le dinamiche siano diverse, entrambe le situazioni evidenziano come pratiche alimentari non sicure possano amplificare il rischio di trasmissione di patogeni all'uomo". Le preoccupazioni per il virus aviario H5N1 stanno crescendo dopo i rilevamenti nei mammiferi come mucche da latte, gatti domestici e non, e diversi altri. Il virus H5, che in precedenza si riteneva circolasse solo tra gli uccelli, ha ora infettato almeno 55 persone negli Stati Uniti quest'anno. A differenza del latte pastorizzato, che subisce un processo di riscaldamento che uccide batteri e virus come l'H5N1, il latte crudo è associato a una serie di rischi tra cui l'esposizione a salmonella, Escherichia coli, Brucella, Campylobacter e Listeria. "Gli esperti di sanità pubblica hanno da tempo messo in guardia i consumatori dal consumare latte crudo o prodotti a base di latte crudo a causa degli elevati rischi di malattie trasmesse dagli alimenti", ha ricordato il Dipartimento californiano. "Bere o inalare accidentalmente latte crudo contenente il virus dell'influenza aviaria può causare malattia, come toccarsi occhi, naso o bocca con mani non lavate dopo aver toccato latte crudo infetto". E' noto che la pastorizzazione uccide il virus H5N1 nel latte. Tuttavia, gli allevatori di mucche da latte affermano di aver assistito a una crescente domanda di latte non pastorizzato, con influencer dei social, ma anche evangelisti, che pubblicizzano il latte crudo, sostenendo benefici per la salute non dimostrati. Alcuni Stati hanno preso provvedimenti per legalizzare la vendita nei negozi. E lo stesso Robert F. Kennedy Jr., scelto dal presidente eletto Donald Trump per guidare il Dipartimento della salute e dei servizi umani, ha affermato di voler aumentare l'accesso al latte crudo. Anche l'attrice Gwyneth Paltrow ha dichiarato in un'intervista podcast di bere quotidianamente panna non pastorizzata nel suo caffè, promuovendo lo stesso marchio di latte crudo il cui prodotto è stato ritirato dai negozi della California questa settimana.
(Adnkronos) - Flaminia Fazi, pioniera del coaching e fondatrice di U2COACH, la prima coaching company nata in Italia, ha celebrato i suoi 25 anni di attività con un talk show di grande impatto al Forum HR 2024 di Comunicazione Italiana. L'evento ha rappresentato un'importante occasione per riflettere sul futuro del coaching nell'era dell'intelligenza artificiale, e sulla sua capacità di rispondere con efficacia alle sfide organizzative. Flaminia Fazi ha condiviso con il pubblico la sua visione del coaching, che l'ha ispirata a fondare una società che lo adottasse e integrasse negli interventi sul capitale umano delle aziende clienti, riconoscendolo come strumento strategico per tutte le organizzazioni che vogliono raggiungere risultati eccellenti e un clima lavorativo positivo. "L'AI può essere uno strumento prezioso per integrare con un accompagnamento continuo il lavoro più profondo che si fa con un coach umano. Solo l'essere umano formato adeguatamente può stimolare la crescita e l'apprendimento valorizzando tutte le potenzialità di una persona", ha affermato Fazi. "Il metodo che adottiamo da sempre nella formazione al coaching professionistico e nella progettazione dei nostri servizi alle aziende è basato su un mix unico di modelli e tecniche, e lavora su più livelli: sistemico, trasformazionale e generativo. È centrato sul sistema persona e sviluppa competenze nel coach che rendono ogni suo intervento capace di fare la differenza rispetto a qualsiasi applicazione sviluppata con l'AI, valorizzando tutti quegli aspetti che distinguono la persona dall'intelligenza artificiale, che si dimostra molto abile ad offrire un coaching di tipo comportamentale. Mentre l'intelligenza artificiale si evolve - prosegue Fazi - continuiamo a investire nello sviluppo delle competenze umane, garantendo un approccio etico e personalizzato al coaching, che sappia integrare modelli che potenziano capacità e caratteristiche che rendono un umano sempre superiore ad un ChatBot." conclude Fazi. I benefici e il valore aggiunto del coaching sono così elevati che molte aziende hanno scelto di costruire all’interno della propria organizzazione una vera e propria cultura del coaching, massimizzando l’utilizzo dei talenti interni a tutto vantaggio della motivazione, del clima d’impresa e dei risultati di business, come racconta Marta Savino, Vice President Human Resources di Aubay - "Abbiamo scelto il metodo del coaching per i nostri responsabili di persone come opportunità per far crescere tutte le persone, a coinvolgere nei processi aziendali e a mobilitare la preziosa intelligenza di tutti. Il nostro obiettivo è far sentire le persone non solo accompagnate ma anche protagoniste." La formazione al coaching rappresenta una leva strategica per far crescere ed evolvere il proprio ruolo professionale, come racconta Andreina Fraia Sanjust di Teulada, Head of Talent Acquisition & Employer Branding di Acea - "Il coaching è stata una metodologia importante per lavorare con le persone nei diversi ruoli che ho ricoperto anche in aziende precedenti, per accompagnare il cambiamento e le persone alla trasformazione." Uno strumento prezioso anche per Roberta Farinotti Chief People Officer di Planet Farms - "La mia formazione di coach è stata fondamentale per esprimere con efficacia il ruolo di responsabile del personale di una start up come Planet Farms, e in particolare per superare con efficacia un momento aziendale critico che l'azienda ha attraversato un anno fa con l'incendio del nostro stabilimento produttivo, in cui le persone avrebbero potuto disperdersi, e il coaching è stato determinante per dare continuità alla progettualità in modo strategico." Anche Andrea Soldo Responsabile del Sistema dei Servizi, CNA Associazione di Bologna, ne sottolinea i benefici - "Lavorare con un metodo di coaching sta rendendo più facile l'accoglimento delle persone nelle proposte di riorganizzazione e la costruzione della collaborazione." Il messaggio è chiaro: il coaching è una necessità per le aziende che vogliono rimanere competitive. Investire nella formazione dei propri manager come coach significa creare un ambiente di lavoro più sano, più produttivo e più orientato al futuro.
(Adnkronos) - Quasi 3 italiani su 4 (73%) sanno che gli alberi abbassano la temperatura laddove sono piantati, limitando la formazione delle cosiddette 'isole di calore'. Allo stesso tempo, quasi 1 su 5 non sa che gli alberi sono in grado di mitigare gli effetti della pioggia intensa e di limitare gli allagamenti, mentre 1 su 3 ignora che gli alberi nelle città sono in grado di assorbire la CO2. Sono alcuni dei dati emersi da una ricerca elaborata dalla divisione Annalect di Omnicom Media Group per Prospettiva Terra, il progetto non-profit fondato dal Stefano Mancuso, accademico e divulgatore scientifico, e da Marco Girelli, Ceo di Omnicom Media Group Italia, con la partecipazione di realtà quali McDonald's, Henkel, Ricola, Acone Associati, Publitalia'80 ed il contributo di Pnat, come partner scientifico, e Bam-Biblioteca degli Alberi di Milano, come Botanical Partner, con l'obiettivo di affrontare insieme il problema del riscaldamento globale. L'indagine, realizzata su un campione di 1.000 intervistati residenti in cinque grandi città italiane, Milano, Torino, Roma, Napoli e Palermo, ha l'obiettivo di investigare il grado di conoscenza dei cittadini sul ruolo che gli alberi ricoprono nel contrastare e mitigare gli effetti del cambiamento climatico in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi (21 novembre). Nel dettaglio, si scopre che 6 italiani su 10 affermano che le foreste molto estese nel mondo sono in grado di assorbire grandi quantità di CO2, consapevolezza che cala, a sorpresa, sul target dei giovani 18-24enni (58%), sempre attenti ai temi ambientali, rispetto a quello dei 55-64enni (65%). "Sappiamo ancora troppo poco del nostro pianeta e questa ricerca ce lo dimostra - afferma Mancuso - Il disastro di Valencia o le alluvioni in Emilia-Romagna e in Sicilia, tanto per citare i gravi fatti più recenti, ci impongono un'azione forte e non più rimandabile. Il 2024 sarà l'anno più caldo di sempre ed il primo con una temperatura media globale di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali. Per questo bisogna educare le persone, fare formazione e informazione su come proteggere il nostro pianeta e limitare i danni: questo è l'obiettivo di Prospettiva Terra, con cui stiamo costruendo un modello cooperativo e diffuso, simile alle reti vegetali, in cui delle imprese private decidono di farsi carico del futuro che ci aspetta, lavorando nell'unica direzione possibile, ossia la partecipazione diretta a progetti di innovazione scientifica". Tre abitanti su 4 dichiarano che nel proprio quartiere gli alberi sono molto o abbastanza diffusi (75%). Tuttavia, i dati sono molto diversi da città a città: a Torino e a Roma la percentuale è del 90%, a Milano dell'80%, a Palermo del 63% e a Napoli soltanto del 51%. In effetti, Torino ha la più alta percentuale della superficie comunale occupata da aree verdi (18,2%), mentre Palermo si ferma al 4,8%. Inoltre, la percezione cambia anche in base alla zona della città in cui si vive: il dato è più forte man mano che dal centro (72%) ci si avvicina al semi-centro della città (75%), fino alla periferia (77%). In particolare, la percezione della forte presenza degli alberi cresce, anche fino al 30%, in periferia, mentre nelle aree centrali e semi-centrali si attesta intorno al 20%. Non a caso, dunque, Napoli e Palermo sono le città in cui gli alberi sono più desiderati (rispettivamente 93% e 87%). Sebbene nelle altre città gli alberi sono percepiti come più presenti, le percentuali restano alte: a Torino e a Milano la percentuale di chi vorrebbe più verde in città si attesta intorno al 75% e a Roma al 69%. L'altro dato molto rilevante è quello della posizione rispetto alla città: il desiderio di avere più alberi, senza differenze sostanziali tra nord, centro e sud, è molto più sentito nel centro della città (87%) rispetto al semi-centro (80%) e, soprattutto, rispetto alla periferia (68%) dove la presenza degli alberi è tipicamente più forte. Scelta da oltre 6 italiani su 10, la quercia risulta essere l'albero che più di tutti, nell'immaginario collettivo, è in grado di contrastare gli effetti del cambiamento climatico, superando nettamente l'abete (39%) ed il pino (37%). Fuori dal podio sono i tigli (25%), i cipressi (24%) e i frassini (23%). "Le piante sono vere e proprie macchine in grado di stoccare CO2 nei propri tessuti legnosi e assorbire alcuni inquinanti atmosferici, come il monossido di carbonio ed il particolato atmosferico - afferma Camilla Pandolfi, Ceo e R&D Manager Pnat - La farnia, ovvero la quercia più conosciuta (Quercus robur), è un albero in natura molto longevo ed è in grado di apportare numerosi benefici nell'arco della sua vita. Anche tigli e frassini sono in realtà molto performanti per quanto riguarda la rimozione degli inquinanti, grazie a particolari caratteristiche delle foglie e dei rami che permettono alle particelle fini di depositarsi sulla loro superficie, rimuovendole così dall'atmosfera. Non dimentichiamoci però delle specie sempreverdi (abeti, pini e cipressi) che, a differenza degli alberi caducifoglie, mantengono la chioma fogliata tutto l'anno e apportano notevoli benefici ambientali anche nei mesi in cui le altre piante sono meno attive, ovvero durante la stagione invernale". Una cosa sicuramente mette tutti d'accordo da nord a sud: l'idea che essere circondati da alberi possa donare benessere mentale, serenità e gioia, per la quasi totalità del campione (96%). Napoli, una delle due città che lamentano una scarsa presenza di alberi, è quella in cui viene associata di più agli alberi l'idea di maggior aiuto per il benessere mentale e la serenità. E quando agli italiani viene chiesto quali pensieri e stati d'animo associano agli alberi, in generale, la risposta è un sentimento di serenità e di leggerezza: la prima idea, infatti, è quella del relax (33%), seguita dalla purezza (22%) e dai concetti di forza (17%), spiritualità (9%) e gioia (7%).