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(Adnkronos) - Tragedia sulle montagne del bellunese, dove un alpinista di 71 anni di Limana, partito ieri per fotografare il tramonto sulle Torri del Camp, è stato trovato morto dopo una notte di ricerche. L'uomo, esperto alpinista, profondo conoscitore delle montagne bellunesi e stimato fotografo, era partito ieri nel pomeriggio. La sera non è rientrato e la moglie, preoccupata, si è rivolta a un amico e soccorritore di Belluno verso le 23, che a allertato il Soccorso alpino di Agordo. Dopo aver verificato che la macchina dell'uomo era ancora parcheggiata a Malga Framont, i soccorritori di Agordo, assieme al soccorritore bellunese, sono risaliti dove il sentiero dell'Alta via incrocia il rientro della Ferrata e la traccia che sale alle Torri. Dopo aver perlustrato la parte bassa sotto le pareti e avere raggiunto la cengia mediana, una squadra ha proseguito il controllo della cengia, una si è avviata verso il Campanile degli Zoldani, l'ultima si è diretta verso la forcella che divide la seconda e la terza torre. Superata la forcella, arrivati sotto la Seconda Torre di Camp, attorno alle tre i soccorritori hanno individuato il corpo dell'uomo, una ventina di metri più in basso rispetto alla traccia, a 2.300 metri di quota. Dopo essersi calati e averne purtroppo verificate le condizioni, i soccorritori si sono riuniti e sono rientrati al vicino Rifugio Carestiato, dove hanno atteso le prime luci, per poi tornare al campo base a Malga Framont. Da lì in 4 sono stati imbarcati su Falco 2, in supporto alle operazioni. L'elicottero li ha quindi trasportati in quota e lasciati assieme al tecnico di elisoccorso, per poi procedere con un verricello al recupero e al trasporto a valle della salma. Probabilmente l'alpinista si trovava in cima alla seconda torre, non si sa se in fase di salita o discesa, con tutto il materiale fotografico nello zaino, quando è scivolato sopra una parete verticale, perdendo la vita e fermandosi una cinquantina di metri più sotto, prima di un salto di roccia.
(Adnkronos) - Esperienza, innovazione e soprattutto made in Italy. Questo il segreto di Gruppo Caffo 1915 da cui nascono diversi prodotti, primo fra tutti il Vecchio Amaro del Capo, ma anche l’Elisir San Marzano Borsci e il Petrus Boonekamp. Una storia ultracentenaria che prende vita da Giuseppe Caffo, mastro distillatore, alla fine dell’Ottocento quando, ai piedi dell'Etna, inizia a distillare vinacce. Nel 1915, dopo averla gestita per anni in affitto, rileva una distilleria esistente a Santa Venerina, vicino a Catania, con una produzione basata soprattutto sui distillati, alcole e derivati della lavorazione del vino. Con il passare del tempo si inizia la produzione di liquori ottenuti da antiche ricette che, grazie ai sapienti dosaggi di erbe aromatiche ed officinali infuse in alcole di ottima qualità, ottengono immediatamente i favori dei buongustai e della raffinata clientela dell’epoca. La tradizione e l’abilità di mastro distillatore passano dal fondatore Giuseppe al figlio Sebastiano che, insieme ai fratelli tornati dall’Australia, costituiscono la società 'Fratelli Caffo-Distillerie di alcole, brandy e tartarici', riattivando un’antica distilleria in Calabria a Limbadi, località all’epoca famosa per la sua produzione di ottimo vino rosso. L’azienda, oggi in mano al nipote omonimo Giuseppe, presidente del Gruppo e suo figlio Sebastiano Giovanni, detto Nuccio, coniugando esperienza e innovazione, con le dovute trasformazioni alle apparecchiature di distillazione e alla lavorazione dei liquori per ottenere il risultato ottimale, è cresciuta rapidamente, anche aprendo filiali all’estero e diventando il punto fondamentale di un gruppo di aziende controllate dalla holding Caffo 1915 srl. "I nostri prodotti - spiega in un'intervista all'Adnkronos/Labitalia Nuccio Caffo, amministratore delegato di Gruppo Caffo 1915 - sono apprezzati a livello nazionale e internazionale. Anche quest'anno, per l'ottava volta, Vecchio Amaro del Capo ha conquistato il titolo come 'Migliore indice di rotazione nella categoria 'Bevande alcoliche e birre' al prestigioso concorso Brands Award 2024 e ha ottenuto un altro primo posto tra tutte le categorie con il Premio Retailer per Indice di rotazione. La qualità costante nel tempo viene premiata dai consumatori che ogni giorno scelgono Vecchio Amaro del Capo, l'amaro più amato e consumato in Italia. Ora la priorità per l'azienda è quella di replicare questo successo anche sui mercati internazionali dove stiamo costruendo il nostro progetto per il futuro". "All'origine - sottolinea - era un prodotto tipico della Calabria e leader a livello regionale poi l’espansione fuori dalla regione ha aperto i confini per una vera e propria categoria degli amari a base di erbe calabresi che sta sicuramente avendo un momento felice. Anche perché Limbadi, in provincia di Vibo Valentia dove viene prodotto, è una terra ricca di materie prime, di tante erbe officinali, di frutti, di radici come per esempio la liquirizia e il finocchio selvatico, che permettono di ottenere a chilometro zero prodotti di qualità sicuramente importanti e consentono all'azienda di poter lavorare partendo appunto dalle materie prime fresche". "Noi - racconta Nuccio - all'interno della nostra distilleria prepariamo tutte le infusioni stagionali. Siamo in un piccolo comune di campagna di circa 2000 abitanti e siamo circondati dalla natura quindi, da questo punto di vista, non abbiamo difficoltà a reperire quelle che sono le materie prime non solo per l’Amaro del Capo ma per tutti i nostri prodotti. Ci sono, infatti, anche tanti marchi chiamiamoli più locali legati al territorio come per esempio il Liquorice che è stato il primo liquore a base di liquirizia calabrese a uscire sul mercato". "Ormai da oltre 25 anni - sottolinea - abbiamo aperto la categoria di liquore di liquirizia che prima non esisteva; la liquirizia era considerata solo un ingrediente soprattutto negli amari con noi, invece, è diventata una categoria di liquore a sé stante. Noi lavoriamo le radici in un nostro stabilimento dedicato, a pochi chilometri dalla distilleria, dove vengono conferite fresche. Poi le trinciamo e facciamo bollire secondo un metodo che in Calabria si utilizza dal Settecento. Gestiamo direttamente la filiera delle materie prime, principalmente gli agrumi, infatti abbiamo un'azienda agricola di circa 16 ettari a tre chilometri dalla distilleria quindi tracciamo tutto quello che poi va a finire nostre bottiglie". "Oltre all'Amaro del Capo - spiega - c'è anche la Ferro China Bisleri che nei secoli passati veniva considerato un medicinale contro l'anemia nei periodi di carestia quando magari si mangiava poca carne perché non c'erano possibilità economiche. E' un liquore amaro aperitivo di fama mondiale a base di citrato di ferro e china. Si può bere a qualsiasi ora del giorno, preferibilmente prima dei pasti, secco o allungato con acqua semplice o minerale. Ferro China Bisleri è stato il primo liquore in assoluto ad essere realizzato con il sale di un metallo, guadagnando il posto di precursore degli integratori e dei ricostituenti. Una formula segreta che prevede infusi tutti naturali di erbe rare, erbe benefiche e gradevoli, dalle proprietà digestive e aperitive e due ingredienti principali: la corteccia di china calissaya, nota a farmacisti ed erboristi per la sua azione antimalarica e febbrifuga e il citrato di ferro. Ingredienti che si ritrovano nella bevanda analcolica Robur Bisleri classificata come integratore alimentare di ferro dal ministero della Salute". "La storica ditta F. Bisleri e C. - continua Nuccio Caffo - ha contribuito a curare la malaria infatti l'inventore Felice Bisleri acquistata da un farmacista maremmano una ricetta di pillole risultanti dall'associazione di farmaci noti, quali il chinino, l'arsenico e il ferro, migliorò il preparato, cui dette il nome di 'esanofele' per sottolineare l’azione antianofelica, e chiese al malariologo G. B. Grassi di sperimentarlo (1899). Il farmaco dette buoni risultati e si diffuse anche all'estero. Infatti l’attività di Bisleri poté a buon diritto inserirsi nella lotta antianofelica allora in pieno svolgimento. In tale occasione Bisleri organizzò non solo ricerche sperimentali, ma promosse anche la raccolta della letteratura scientifica sulla malaria e curò la stampa e la diffusione, sempre a sue spese, di vari volumi sull’argomento, con passione che prescindeva da ogni immediato successo industriale". "Queste - fa notare - sono solo alcune delle innumerevoli storie legate alla produzione Caffo che con artigianalità e innovazione porta avanti la tradizione di una 'terra'". "Al sud - dice - si può fare impresa con ottimi risultati. Perciò rimboccandoci le maniche lavorando con costanza senza mollare alle prime difficoltà si può superare ogni traguardo. Tante aziende che stanno emergendo nel sud Italia devono capire che si può andare oltre. Noi siamo a Limbadi, un paesino di circa duemila abitanti in provincia di Vibo Valentia, eppure da qua abbiamo contatti quotidiani con tutto il mondo. Questo è un po' il miracolo avvenuto al sud, qualcosa del genere in passato sarebbe stato anche più difficile se non impossibile per le barriere date dai collegamenti materiali e immateriali che però piano piano stanno cadendo, dando così la possibilità anche al sud di emergere". "Noi ad esempio - ricorda - da qua siamo connessi con tutte le nostre sedi sia in Italia che all'estero, come fossimo vicini di stanza, grazie a delle Vpn che ci permettono di scambiarci dati in tempo reale sincronizzando le nostre filiali con il nostro service centrale anche semplicemente passando una telefonata ricevuta in Calabria direttamente ai nostri uffici periferici sparsi in Germania e Stati Uniti. Oltre alle barriere immateriali già cadute ci vuole uno sforzo maggiore per far cadere anche le barriere materiali, ottimizzando trasporti e logistica in modo da accorciare le distanze e sfruttare al meglio le potenzialità del posto di Gioia Tauro collegandolo alla rete ferroviaria. Bisogna sfruttare quindi al meglio i collegamenti ferroviari in modo creare le condizioni per uno sviluppo più veloce per il Sud del Paese accorciando le distanze con i grandi mercati europei. Sono sicuro che ci sarà, è solo una questione di tempo e di lungimiranza politica".
(Adnkronos) - Da oggi il Monte Bianco ha 142 nuovi 'alberi' in più. Alberi invisibili all’occhio umano, ma capaci di migliorare la qualità dell’aria e dell’ambiente: sono quelli del 'Bosco Invisibile' di Skyway Monte Bianco, risultato del lavoro di manutenzione e pulizia realizzato da Acrobatica, gruppo internazionale, guidato dalla Ceo Anna Marras, attivo nel settore delle ristrutturazioni di esterni, che ha utilizzato gli innovativi prodotti di REair, la company guidata da Raffaella Moro, Ceo e Founder, che si occupa di ricerca, sviluppo e produzione nel campo delle eco-tecnologie per la depurazione dell’aria esterna e interna agli edifici. Chiamata per il secondo anno consecutivo ad eseguire i lavori di pulizia e manutenzione di Skyway Monte Bianco, Acrobatica ha scelto di utilizzare, sugli oltre 600mq di superficie outdoor trattati tra il Pavillon (a 2.173 m) e Punta Helbronner (a 3.466 m), eCoating: un rivestimento trasparente, nanotecnologico, ecologico, 100% green, brevettato da REair che, attivato mediante la fotocatalisi, un processo di ossidazione che agisce su base fisica mediante la combinazione di luce e aria, continua nel tempo a decomporre proattivamente inquinanti presenti nell’aria come ossidi di azoto (NOx), polveri Pm organiche e altri agenti patogeni nocivi, oltre a microorganismi che si possono formare sulle superfici, come muffe e funghi. Tale reazione consente di disgregare gli inquinanti presenti nell’aria, o che si possono depositare sulle superfici, trasformandoli in sottoprodotti innocui come sali, anidride carbonica ed acqua, eliminando in questo modo, nel caso dell’operazione Skyway, fino a 59kg di NOx all’anno, l’equivalente di ciò che farebbero, appunto 142 alberi a foglia decidua. “Siamo assolutamente soddisfatti e orgogliosi di avere contribuito con la nostra tecnica Acrobatica a realizzare un progetto così importante per l’ambiente come quello di Skyway - spiega Jacopo Rossi, direttore commerciale Nord Italia di Acrobatica - La nostra partnership con REair nasce proprio allo scopo di rendere sempre più diffuso l’impiego di questa tecnologia. Siamo partiti dal tetto d’Europa, e ora siamo pronti a far crescere boschi virtuali in tutta Italia”. "La partnership instaurata nei mesi scorsi con Acrobatica aveva un obiettivo ben preciso, ovvero collaborare alla realizzazione di progetti straordinari per migliorare la qualità dell’aria e ridurre l’impronta ambientale - dice Nicola Parenti, co-founder di REair - In qualità di realtà innovativa e ambiziosa, non vedevamo l’ora di metterci alla prova con un progetto del calibro di quello sviluppato sulle facciate outdoor dello Skyway Monte Bianco, una delle strutture più all’avanguardia e, soprattutto, fiore all’occhiello del made in Italy. Un intervento attraverso il quale siamo riusciti a dimostrare che la tecnologia REair si può applicare non solo ai grandi centri urbani, ma anche a strutture ricettive in ambienti di incomparabile bellezza, che possono fungere da esempio per un uso attento e rispettoso del nostro straordinario patrimonio naturale”.