(Adnkronos) - Che il presidente americano, Donald Trump, e il finanziere accusato di pedofilia, Jeffrey Epstein, fossero amici è un dato certo. A testimoniarlo oltre 15 anni di scatti che li ritraggono insieme: dalle sfarzose feste a Mar-a-Lago ai sorridenti attimi trascorsi in jet privato, rigorosamente in abiti griffati, sempre con un flûte ghiacciato in mano, circondati spesso da bellissime donne. Ora la loro relazione è sotto esame, dopo che l'amministrazione Trump ha deciso di desecretare parti dei fascicoli dell'indagine sul traffico sessuale che coinvolgeva il multimilionario Epstein, condannato per reati sessuali, morto in carcere suicida nel 2019. Il sospetto è che il tycoon possa essere implicato in qualche modo nello scandalo Epstein e ciò potrebbe comportare un rischio elevato per la tenuta del suo governo. Donald Trump continua a "fare spallucce" negando ogni coinvolgimento, nonostante la comunità Maga lo abbia accusato di aver tradito la promessa elettorale di pubblicare la lista degli individui potenti della rete di Epstein. Il Procuratore Generale Pam Bondi ha divulgato alcuni materiali, tra cui i registri di volo dei jet privati di Epstein, ma ne ha tenuti nascosti altri, tra cui quello che i funzionari hanno descritto come "materiale di abuso sessuale su minori". Secondo quanto ammesso da Trump, e riportato dal New York Times, lui ed Epstein sono stati amici per più di un decennio, a partire dagli anni '80. "Conosco Jeff da 15 anni. Un ragazzo fantastico", dichiarò Trump al New York Magazine nel 2002. "È molto divertente stare con lui. Si dice persino che gli piacciano le belle donne tanto quanto a me, e molte di loro sono giovani... Non c'è dubbio: Jeffrey si gode la vita sociale". Dagli anni '80 all'inizio del 2000, sono moltissime le partecipazioni 'di coppia' a feste esclusive dei due. Nel 1992, a una festa organizzata da Trump nella sua tenuta di Mar-a-Lago che aveva visto la partecipazione delle giovani cheerleader della Nfl i due furono immortalati dalle telecamere della Nbc. Nel 1997, come rivela il Nyt, Trump ed Epstein parteciparono insieme a una festa degli "Angeli" di Victoria's Secret a New York. Mentre, nel 2003, secondo quanto riporta il Wall Street journal, Trump avrebbe consegnato una lettera di auguri di compleanno a Epstein con un disegno di una donna nuda e un riferimento a 'segreti' condivisi tra loro. Trump ha negato di averla scritta. Dal 1993 al 1997 sono sette i voli accertati di Trump sui jet privati di Epstein, mezzi che spesso sono stati tra i luoghi prescelti per compiere gli abusi sessuali. I voli erano tra Palm Beach e New York, a volte con scalo a Washington ma non risulta che il presidente abbia mai accompagnato il finanziere sulla sua isola privata, altro luogo nel quale si consumavano le violenze. Virginia Giuffre, vittima del giro di traffico sessuale di Epstein morta suicida poche settimane fa, aveva dichiarato al New York Times, di essere stata "portata in giro come un vassoio di frutta" quando era ancora un’adolescente di 16 anni per soddisfare i desideri di predatori ricchi e potenti. Era stata reclutata per lavorare con Epstein come “massaggiatrice” itinerante, anche mentre era a Mar-a-Lago, nella tenuta di Trump. Ha poi aggiunto che l'hanno addestrata a svolgere servizi sessuali per uomini facoltosi. Nel 2004, secondo quanto riporta il NyT, Trump e Epstein avrebbero litigato per una villa fronte mare a Palm Beach, che era stata pignorata. Una battaglia immobiliare che si sarebbe conclusa con la “vittoria” di Trump che avrebbe superato l'offerta di Epstein per accaparrarsi la proprietà. Nel 2019 l’attuale presidente americano ha raccontato di aver litigato con Epstein e di non avergli parlato per mesi. Proprio in quell’anno l’uomo venne arrestato dagli agenti federali a New York, accusato di traffico di ragazze, alcune delle quali appena 14enni, e di aver compiuto atti sessuali con loro. "Voglio un'indagine completa e accurata, ed è ciò che pretendo assolutamente", aveva dichiarato Trump nel 2019 riguardo al caso, eppure oggi una parte del suo elettorato e non solo lo accusa di tentare di nascondere la verità. È nel 2024 che Trump ha iniziato a esprimere sentimenti contrastanti sulla possibilità di pubblicare o meno i documenti sul caso Epstein. "Credo di sì", aveva dichiarato a Fox News, prima di iniziare a ritrattare. "Non so, penso che lo farei. Non si può influenzare la vita delle persone se si tratta di cose false, perché in quel mondo c'è un sacco di roba falsa", aveva concluso. Dopo il suo secondo insediamento alla presidenza Usa, Trump ha nominato i vertici del Dipartimento di Giustizia e dell'Fbi che hanno affermato che i file di Epstein non contenevano il tipo di prove che giustificassero l'indagine su altre persone. Oggi il presidente continua a dirsi estraneo ai fatti e a minimizzare: "Non capisco perché siano tutti così interessati", ha detto ai giornalisti. "È morto da tempo. Non capisco cosa ci sia di tanto interessante o affascinante, davvero".
(Adnkronos) - Una storia di trasformazione post-industriale e di rigenerazione urbana, ma soprattutto di riscatto culturale e di nuova opportunità. A narrarla è quel grande progetto che è Chemnitz2025, che per un anno offre a una città tedesca troppo a lungo sottovalutata la ribalta internazionale. Chemnitz, infatti, insieme con la regione circostante che occupa la parte centrale della Sassonia, quest’anno detiene il titolo di 'Capitale europea della cultura' (Ecoc), insieme con le città transfrontaliere di Gorizia e Nova Gorica. Un traguardo su cui in pochi avrebbero scommesso in tempi ormai remoti ma che oggi fa guardare al futuro con occhi diversi grazie al potenziale di attrattività turistica che questa gigante ‘macchina’ dell’Ecoc ha generato. E nello slogan scelto per Chemnitz2025 sta tutta l’essenza di questa operazione culturale: ‘C the Unseen’, ossia, parafrasando la traduzione letterale e simbolica dall’inglese, ‘vedere ciò che non veniva visto’ ma anche Chemnitz (C), l’invisibile, la sconosciuta, la nascosta. Un destino che sembrava scritto nel suo passato di grigio polo industriale, di città rasa al suolo durante la Seconda Guerra mondiale e poi ricostruita a modo suo, ricaduta nella Ddr e in quegli anni bui ribattezzata Karl-Marx-Stadt, per ritrovarsi dopo la riunificazione della Germania a caccia di quell’identità che le altre due ‘cugine’ sassoni, Dresda e Lipsia, hanno trovato più velocemente. Una città dell’Europa dell’Est in un paese dell’Europa dell’Ovest, come spesso viene descritta, dove però il cambiamento sociale è stato sempre catalizzatore di innovazione e dove la capacità di reinventarsi è profondamente radicata. Ora, guadagnato il titolo di ‘Capitale europea della cultura’, è arrivata l’occasione per il grande salto: diventare attrattiva dal punto di vista culturale e imporsi quindi come nuova meta turistica. Valorizzando quello che c’era e che c’è, per niente poco, e offrendo nuova vita a tutto ciò che ancora ha qualcosa da dire e da dare. “All’inizio la gente del posto non capiva il significato di ‘Capitale europea della cultura’, pensava di avere solo qualche spettacolo o mostra. Ma ‘Capitale europea della cultura’ vuol dire partecipazione dei cittadini, significa aprire le menti e scoprire il valore della città, dove ognuno può fare qualcosa. Il motto ‘C the Unseen’ è riferito anche alle persone, è un invito a guardare cosa c’è dietro. E’ un processo di sviluppo integrato della città che porta a rafforzare i valori europei contro i populismi, a creare connessioni tra gli individui, ad alimentare la resilienza”, racconta Ferenc Csak, a capo del dipartimento della Cultura del Comune di Chemnitz, che ha seguito tutto il processo per il riconoscimento del titolo sin dal 2015. “Certamente, la ‘Capitale europea della cultura’ - osserva - ha permesso di creare nuove location per eventi, nuovi spazi culturali, ha insegnato a ottenere e utilizzare fondi europei, ha sostenuto la comunità dei makers che in tutto il progetto ha un ruolo importante. Poi, con la regione circostante e le 38 municipalità che formano la ‘Capitale europea della cultura’ con Chemnitz, si è creato un network che prima non esisteva: una struttura di cooperazione grazie alla quale abbiamo sviluppato una strategia culturale per il territorio”. “Il risultato ad oggi - sottolinea - è stato ottimo: il turismo è cresciuto del 25%, in controtendenza rispetto ad altre zone della Germania. Ora la scommessa è di lavorare sull’eredità che tutto questo ci consegna. Chemnitz oggi è una città vibrante, con progetti culturali internazionali e il nostro sforzo è proprio quello di continuare su questa strada tracciata”. Per capire Chemnitz occorre conoscere il suo passato di centro industriale fra i più grandi del paese. Un buon punto di partenza lo offre il Museo dell’Industria, ospitato in una ex fonderia, dall’imponente facciata a mattoni rossi con il tipico tetto a scaloni vetrati delle fabbriche di un tempo. Dalle estrazioni minerarie nei ricchi giacimenti di argento, uranio, stagno e carbone della zona fino all’automotive e al tessile, sono ripercorsi 200 anni di storia dell’industria pesante, con oggetti di ogni tipo e persino un motore a vapore monocilindrico a contropressione del 1896 ancora funzionante. “Il museo testimonia il ruolo che Chemnitz ha avuto come centro industriale tra i più importanti della Germania, mettendo a confronto tradizione e innovazione. E quest’anno abbiamo registrato addirittura il 60% in più di visitatori”, spiega Susanne Richter, responsabile commerciale del Museo dell’Industria di Chemnitz e alla guida del gruppo di collezioni ‘gemelle’ in Sassonia. Per il 2025 il Museo dell’Industria ospita (fino al 16 novembre) una delle più significative mostre di Chemnitz2025, ‘Tales of transformations’, che illustra lo sviluppo che ha portato Chemnitz a diventare la ‘Manchester della Sassonia’, mettendola a confronto con altre grandi città industriali europee: la stessa Manchester e poi Mulhouse, Lodz, Tampere e Gabrovo, ciascuna con la sua strada all’industrializzazione da raccontare. “Abbiamo creato la mostra in cooperazione con queste altre quattro città industriali europee che hanno in comune una storia di trasformazione, dall’operoso passato industriale al declino post-industriale, fino alla capacità di reinventare spazi”, sottolinea. Una mostra interattiva con corner dedicati alle singole città, dove non manca la riflessione sul futuro, con tanto di sondaggio su come ci si immagina Chemnitz, cosa si vorrebbe dal punto di vista culturale ma anche ambientale, “che è stato molto partecipato - aggiunge Susanne Richter - e speriamo che i risultati possano essere utili all’amministrazione”. Tra il ricco passato industriale della città e il declino post-bellico, ci sono stati di mezzo gli anni in cui Chemnitz era parte della Germania dell’Est, che hanno lasciato traccia non solo in architetture e monumenti, primo fra tutti il gigantesco busto di Karl Marx che tuttora è uno dei simboli della città, ma anche e soprattutto nella società civile. Così uno dei più importanti progetti di Chemnitz2025 è dedicato a questo modo di vivere e di pensare tipicamente est-europeo, riassunto dalla ‘cultura del garage’. Una tradizione molto comune nei paesi dell’ex blocco sovietico in quegli anni, in cui le persone si costruivano da sole il loro garage in attesa di metterci l’agognata auto, tipicamente una Trabant come quelle esposte al Museo dell’Industria. Ma il garage non era solo una autorimessa, era uno sfogo, una via di fuga dagli angusti appartamenti degli edifici a blocchi, uno spazio in cui trascorrere del tempo, socializzare con i vicini, costruirsi un angolo di mondo. Camminando per Chemnitz capita spesso di notare accanto ai palazzi una fila di piccoli garage dalle saracinesche colorate a formare una sorta di cortile. Così, per onorare la ‘Capitale europea della cultura’, è stato fatto un lavoro di mappatura dei garage ancora esistenti, almeno 160, e creato un percorso per andare a scoprirli. Si chiama ‘#3000Garagen’, è composto da 10 stazioni sparse per la città e completato da una mostra (visitabile fino al 29 novembre) allestita al Garage Campus, uno dei luoghi riqualificati sorti nella sede di un ex deposito di tram. Sono esposti oggetti raccolti nei garage, foto dei proprietari e documenti inediti che raccontano questa storia poco conosciuta in Europa occidentale. “L’idea del progetto - spiega Agnieszka Kubicka-Dzieduszycka, direttore artistico del progetto ‘#3000Garagen’ - viene dalla vita stessa della città, dove ancora esistono molti garage che rappresentano una eredità culturale. Abbiamo raccolto dati e testimonianze per questo che è un progetto tipicamente partecipativo, in quanto presuppone il coinvolgimento delle persone. E’ stato anche redatto da un gruppo di architetti un ‘Garage Manifesto’ in cui si chiede di salvaguardare questi garage come monumenti nazionali. E c’è anche da chiedersi se ora possono avere una nuova vita: ad esempio, a volte vengono affittati da giovani artisti”. Per conoscere e tramandare le abilità che questi veri e propri gabinetti di curiosità celano, è stata promossa pure una ‘Scuola del garage’, in programma a fine agosto, che coinvolge anche un’architetta italiana, Silvia Gioberti. Il Garage Campus è solo uno dei 30 siti oggetto di riqualificazione in occasione di Chemnitz2025, nell’ambito di un ampio progetto che prevede una serie di aree di intervento per lo sviluppo urbano che ha portato non solo a dare nuova vita a spazi in abbandono, ma anche a dare impulso a importanti opere infrastrutturali. Emblematica la Hartmannfabrik, la vecchia fabbrica recuperata e utilizzata per quest’anno come Visitor Centre, ma anche un nuovo parco nel vecchio sito della ferrovia. Molti di questi luoghi, sparsi in tutta la regione che con Chemnitz è parte della ‘Capitale europea della cultura, sono stati destinati a ‘Maker Hubs’, poli creativi dove artisti, designers, artigiani, inventori e startupper possono avere uno spazio in cui coltivare la loro attività, incontrarsi, confrontarsi e fare networking. E muoversi attraverso la regione è abbastanza facile, complice il cosiddetto ‘modello Chemnitz’ basato su un collegamento ferroviario leggero in continua espansione. Per quest’anno, sono stati introdotti anche biglietti speciali che consentono di utilizzare tutti i mezzi di trasporto dell’area per tre giorni a un prezzo vantaggioso, così come è stato creato un collegamento diretto via bus con l’aeroporto di Praga, il più vicino, due volte al giorno. Un quadrilatero con al centro Chemnitz, che si estende dai Monti Metalliferi, patrimonio Unesco dal 2019, nella regione di Erzgebirge, al confine con la Repubblica ceca, con una lunga storia di attività mineraria, fino a Freiberg a Est, soprannominata la città d’argento, dove anche quest’anno si è tenuta la sfilata dei minatori, e a Zwickau a Ovest, che ha dato i natali al musicista Robert Schumann ma anche, in quanto polo dell’automotive, alla casa automobilistica Audi. In mezzo 38 municipalità che si sono unite quest’anno in un network all’insegna della cultura, idealmente rappresentato dal ‘Purple Path’, un percorso di sculture contemporanee che colorano i centri urbani, narrando la storia di questa regione, della sua industria, del suo artigianato e della sua gente. Nella sola città di Chemnitz se ne contano una decina, tra cui una scultura-fontana in acciaio nella piazza principale, di fronte al municipio con la sua doppia facciata, quella colorata più antica e rifatta dopo i bombardamenti (come la chiesa di St.Jakob che è subito dietro) e quella più recente, rimasta in quel tono scuro molto comune in queste città tedesche ricostruite dopo la guerra, a pochi passi dalla Roter Turm, la torre simbolo della città. Un altro ‘miracolo’ artistico è quello compiuto dal francese Daniel Buren, che è riuscito a colorare e illuminare la grigia ciminiera della centrale elettrica che svetta sulla città, diventando probabilmente il progetto artistico più alto al mondo. A circondarlo un ampio spazio anch’esso restituito alla città dove si è aperto in questi giorni, fino al 17 agosto, il Kunstfestival Begehungen, festival d’arte contemporanea che vede la partecipazione anche di artisti italiani, con un focus su temi quali la sostenibilità, la biodiversità e il cambiamento climatico. Tra agosto e settembre si tiene, inoltre, ‘Ibug - Arte urbana nell’area industriale’, uno dei festival di arte urbana più importanti in Europa. Tra le mostre, è visitabile fino al 10 agosto ‘European Realities’, che illustra i movimenti del realismo degli anni Venti e Trenta in Europa, la prima a raccoglierli in un’unica esposizione, ospitata all’interno del Museo Gunzenhauser, costruito dall’architetto Fred Otto nello stile razionalista del Novecento. E c’è attesa per la mostra dedicata a Edvard Munch (10 agosto-2 novembre), incentrata sul sentimento della paura nella sua arte e all’influsso che ha avuto in opere fino ai giorni nostri. Tra gli eventi estivi - parte di un cartellone che conta oltre mille eventi e 233 progetti (per tutte le informazioni si può consultare il sito https://chemnitz2025.de) - ancora in corso fino a fine luglio l’‘Estate al parco’, con concerti, incontri e persino lezioni di yoga tutti i giorni allo Stadthallenpark. Da segnalare anche il Festival europeo degli Skateboard dal 22 al 24 agosto e il Festival dei costruttori di giochi dal 29 al 31 agosto nel villaggio di Seiffen. Un Festival molto speciale che si è tenuto a fine giugno e che verrà ripetuto dal 26 al 29 luglio è quello di danza contemporanea (‘Tanz Moderne Tanz’), che nell’anno della ‘Capitale europea della cultura’ propone uno spettacolo originale: un’esibizione in 18 tappe attraverso altrettante location della città durante un’intera giornata, intitolata ‘Odissea in C’ e ispirata all’‘Ulisse’ di James Joyce. Un appuntamento ogni ora in un angolo diverso, con artisti che cambiano e nuove coreografie, che culmina con lo spettacolo nell’Opernhaus, il teatro principale di Chemnitz, che affaccia su una delle piazze più iconiche, con ai lati la chiesa di San Pietro e la Galleria d’arte (che raccoglie tra l’altro le opere di Karl Schmidt-Rottluff, cofondatore del gruppo Brucke) e l’Hotel Chemnitzer Hof, esempio di architettura razionalista. Come spiega la responsabile per la danza dell’Opernhaus e ideatrice del Festival, Sabrina Sadowksa, “è uno spettacolo itinerante per portare la danza alle persone, negli spazi aperti; l’idea era di fare qualcosa che non si sarebbe potuto fare altrove e di far vedere la città agli abitanti e ai visitatori, seguendo il motto ‘C the Unseen’”. Un percorso che unisce il centro alle periferie, passando da un angolo di quiete che è il laghetto che circonda la zona del castello, dove sorgeva il monastero benedettino, primo nucleo della città; è qui, infatti, che si possono vedere le più antiche case della città, nel tipico stile a graticcio. C’è poi, prima di arrivare in Theaterplatz, la tappa allo Schillerpark, con alle spalle la Unibibliothek, altra opera che ha visto trasformare il vecchio edificio di una filanda in uno spazio polifunzionale moderno. Per immergersi nei grandi contrasti di Chemnitz basta fare una passeggiata e imbattersi in architetture che hanno plasmato la città attraverso i secoli: da quelle medievali, quasi interamente ricostruite dopo la Seconda guerra mondiale, agli edifici Art Nouveau specchio di un periodo prospero per la Chemnitz della grande industria, tra la fine dell’Ottocento e la prima parte del Novecento, quando ricchi mercanti e imprenditori si fecero costruire le loro case nel quartiere di Kassberg, tra i più interessanti in Europa per la concentrazione di edifici Jugendstil dalle tipiche facciate decorate. Rilevante anche l’impronta di architetti che si sono ispirati, negli anni intorno al 1930, allo stile neo-oggettivista e razionalista, lasciata su edifici molto interessanti, come Smac, l’ex grande magazzino Schocken, dall’originale facciata curva, o la piscina comunale considerata un masterpiece del neo-oggettivismo. Ci sono poi le inconfondibili costruzioni di epoca sovietica, che oggi hanno riconquistato un posto nella mappa della città, fino ad arrivare alle opere di riqualificazione in chiave sostenibile dei giorni nostri. Insomma, impossibile non riempirsi lo sguardo di quelle mille sfumature che colorano Chemnitz, partita dal grigio, e approdata all’arcobaleno che ha ridipinto la sua ciminiera e con essa il futuro della città.
(Adnkronos) - “Oggi presentiamo un esempio di ricerca universitaria molto avanzata e già molto vicina a una sperimentazione su strada reale. È qualcosa di potenzialmente pronto per un servizio, ma bisogna fare un grande salto. Lo deve fare l'Italia, lo deve fare l'Europa: trasformare questi bei progetti molto avanzati di ricerca e sviluppo, in progetti industriali imprenditoriali”. Così Sergio Matteo Savaresi, professore e direttore del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, alla presentazione del progetto ‘Sharing for Caring’, a Darfo Boario Terme (Bs). Si tratta di ‘Robo-caring’, il primo prototipo italiano di mobilità autonoma - una Fiat 500 elettrica sviluppata all’interno del Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile, dal Politecnico di Milano - pensato per persone anziane e con fragilità. Il progetto gode del sostegno di Fondazione Ico Falck e Fondazione Politecnico di Milano, e della collaborazione di Cisco Italia come partner tecnologico. Un'innovazione che si basa su “una tecnologia estremamente complessa che richiede tante risorse economiche - sottolinea il professore - Stiamo provando a trasformare questo bellissimo progetto di ricerca in un grosso progetto imprenditoriale per dare all'Italia e all'Europa la chance di avere questa tecnologia che oggi, di fatto ha solo la Cina e gli Stati Uniti”. Ma per cogliere questa opportunità Italia ed Europa “devono fare un salto”, si diceva. Per farlo servono grosse risorse economiche da impiegare nella trasformazione di una tecnologia estremamente complessa in un servizio disponibile ai cittadini. Ma non solo. “Serve uno sblocco normativo che rimuova la necessità di avere il safety-driver a bordo, oggi obbligatorio per fare questa sperimentazione (Decreto Ministeriale 70 del 2018 ‘Smart Road’ ndr.) - evidenzia Savaresi - Le due cose dovrebbero avvenire idealmente insieme: quando la tecnologia è stata messa completamente a punto da un'entità industriale imprenditoriale, serve lo sblocco normativo”, suggerisce. Il prototipo presentato a Darfo Boario è l'espressione di un futuro imminente. Ma viene da chiedersi: quando vedremo davvero sulle strade italiane un veicolo a guida autonoma senza safety-driver? “Perché la messa a punto industriale e lo sbocco normativo arrivino a compimento prevediamo dai 2 ai 4 anni”, stima Savaresi.