(Adnkronos) - "Cresce la frequenza dei blackout a causa del caldo. Nei giorni scorsi numerosi blackout hanno in poche ore colpito varie città italiane dal Nord al Sud, lasciando al buio negozi, uffici e semafori per diverse ore non senza disagi diffusi. Non si tratta di fenomeni isolati o casualmente collegati: complici le alte temperature e il sovraccarico della rete elettrica questi fenomeni saranno sempre più frequenti. A farne le spese sono stati soprattutto i cittadini e i commercianti, molti dei quali hanno subito danni economici non indifferenti". A fare il punto l'avvocato Agostino Sola di Immobiliare.it. "Quando si associano danni al blackout - spiega - si pensa spesso a lunghi periodi senza corrente ma anche interruzioni brevi, ripetute o accompagnate da sbalzi di tensione possono avere ripercussioni importanti: frigoriferi che smettono di funzionare, router bruciati, lavatrici danneggiate, scorte alimentari da buttare, terminali di pagamento bloccati. A volte, il danno economico di un’interruzione di pochi minuti può superare quello di un blackout prolungato. Le associazioni dei consumatori lo denunciano da tempo". "La tutela principale in caso di disservizio - sottolinea - spetta ai consumatori grazie alla normativa Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), che distingue due tipi di compensazione. Secondo quanto riportato nell’Atlante del consumatore, i clienti hanno diritto a un indennizzo automatico in bolletta in caso di interruzioni prolungate: per utenze in bassa tensione, il limite è 8 ore nei piccoli comuni e 4 ore in città; l’indennizzo parte da 30 euro, con aumenti proporzionali in base alla durata e alla frequenza. Questo indennizzo è riconosciuto senza necessità di fare domanda, ma non copre i danni materiali, per esempio, un elettrodomestico rotto o il cibo buttato via". "Invece - avverte - per ottenere il risarcimento dei danni causati da sbalzi di tensione, picchi, interruzioni brevi o danni materiali, è necessario inviare: un reclamo scritto al distributore o al venditore, allegando, ad esempio una descrizione dell’evento; una documentazione fotografica o tecnica del danno; fatture di acquisto o riparazione. Se il reclamo non riceve risposta entro 30 o 40 giorni (a seconda del tipo), si ha diritto a un ulteriore indennizzo da ritardo (25-75 euro). In caso di rigetto o silenzio, ci si può rivolgere al servizio di conciliazione Arera o a un’associazione di tutela". "Già nel 2003 - ricorda Agostino Sola - dopo il grande blackout nazionale, Arera aveva sottolineato in un comunicato la necessità di una rete elettrica più resiliente. Nel 2005 e 2007, l’Autorità è tornata a richiamare i distributori su investimenti, qualità e prontezza degli interventi. Nel più recente rapporto annuale 2025, Arera sottolinea che il problema è strutturale: 'con l’aumento delle temperature e la digitalizzazione diffusa, la tolleranza verso disservizi energetici è sempre più bassa'. L’Autorità ha avviato indagini sulla qualità del servizio nelle città più colpite e richiesto alle società di rete un piano straordinario di adeguamento". Cosa può fare il cittadino? L'avvocato spiega che "si può: segnalare il disservizio al distributore locale (E-Distribuzione, Areti ecc.); conservare prove dei danni, foto, scontrini, relazioni tecniche; inviare un reclamo formale (Pec o raccomandata) entro 6 mesi. Se il reclamo viene ignorato o respinto, si può ricorrere alla conciliazione Arera o alle associazioni dei consumatori. In caso di danni significativi e documentabili, valutare l’azione legale o collettiva". "I blackout - fa notare - non sono sempre prevedibili, ma la loro frequenza e gravità non possono essere considerati normali. Le reti elettriche vanno potenziate e le tutele economiche per i cittadini rafforzate".
(Adnkronos) - Jabra, il marchio leader dell'audio professionale, ha realizzato, insieme all'Happiness research institute, una ricerca a livello globale (Italia compresa) per esplorare la relazione dell'Ia generativa con il benessere sul lavoro e nella vita quotidiana. Mentre gran parte del dibattito sull'Ia si è concentrato sull'efficienza, la vera opportunità potrebbe risiedere in qualcosa di molto più umano: la felicità. Lo studio ha preso in esame oltre 3.700 professionisti in 11 nazioni (Italia compresa), e fornisce uno sguardo inedito su come l'uso crescente di strumenti dell’Ia stia influenzando la soddisfazione sul lavoro, i livelli di stress e la felicità della vita. Di questi 3700 knowledge worker, 363 erano italiani e hanno riferito un uso frequente dell'Ia nella loro vita quotidiana. Infatti, il 54% utilizza l'Ia mensilmente nella propria vita personale e il 48% nella propria vita lavorativa. In generale, le tendenze osservate nel campione di dati italiani riflettono la media dello studio. La ricerca di Jabra, denominata 'Work and wellbeing in the age of Ia', rivela una chiara correlazione tra l'uso frequente dell'Ia e una maggiore soddisfazione sul lavoro. I professionisti che utilizzano l'Ia quotidianamente dichiarano di essere più soddisfatti del proprio ruolo del 34% rispetto a quelli che non lo fanno. Riferiscono di aver raggiunto più facilmente gli obiettivi (78% degli utilizzatori frequenti di Ia contro il 63% degli utilizzatori sporadici) e di avere maggiori opportunità di avanzamento (70% degli utilizzatori frequenti di Ia contro il 38% degli utilizzatori sporadici) rispetto a coloro che utilizzano l'Ia solo una volta alla settimana o meno. Allo stesso modo, rispetto ai lavoratori che non si rivolgono regolarmente all'Ia, gli utilizzatori frequenti sono più ottimisti riguardo alla loro futura soddisfazione lavorativa (47% contro 27%) e più fiduciosi che il loro lavoro rimarrà piacevole (44% contro 23%) e soddisfacente (45% contro 24%). In conclusione, le persone che utilizzano frequentemente l'Ia hanno una probabilità significativamente maggiore di provare un senso di scopo più forte e di sentirsi ottimisti sul futuro generale del lavoro. Meik Wiking, ceo di The happiness research institute e autore di The little book of Hygge, spiega: "E' facile parlare di Ia in termini di produttività. Ma dobbiamo iniziare a parlarne in termini di psicologia. Come influisce sull'identità, sulla motivazione e su come le persone credono che essa rappresenti il loro futuro. Il futuro del lavoro non è solo tecnologico, ma anche emotivo". I risultati indicano che il benessere sul posto di lavoro è strettamente legato alla più ampia soddisfazione nel privato. I dipendenti che sono felici sul lavoro hanno una probabilità 4/5 volte maggiore di dichiararsi soddisfatti della propria vita in generale. Due terzi di coloro che dichiarano un'elevata soddisfazione sul lavoro si descrivono come felici anche nella vita privata. Paul Sephton, global head of brand communications di Jabra, ha commentato: "Dobbiamo capire come tecnologia e benessere si intersecano. Quando progettiamo i prodotti, innoviamo per un futuro in cui le persone collaborano non solo con altri soggetti umani, ma anche con l'Intelligenza artificiale. Questo cambiamento significa far evolvere le nostre soluzioni per supportare non solo l'interazione umana, ma anche per consentire ai sistemi di Ia di ricevere gli input audio e video di cui hanno bisogno per essere più utili e più emotivamente intelligenti". Sebbene il sentimento generale nei confronti dell'Ia sia positivo, lo studio rileva, paradossalmente, che gli utilizzatori abituali riportano livelli di stress superiori del 20% rispetto a quelli sporadici. Ciò potrebbe essere dovuto alla pressione di dover padroneggiare nuovi strumenti, creare i suggerimenti 'giusti' e adattarsi continuamente ai sistemi in evoluzione. Una parte di questo stress potrebbe anche derivare dal carico mentale aggiuntivo che comporta la revisione e l'interpretazione dei risultati generati dall'Ia. I lavoratori non devono solo utilizzare questi strumenti, ma anche rimanere vigili, ricontrollando i risultati ed esprimendo giudizi con maggiore frequenza. Tuttavia, non tutto lo stress è uguale. I lavoratori che riferiscono livelli di stress leggermente elevati (quelli che si sentono sotto pressione ma non sopraffatti) riferiscono di obiettivi più alti, una maggiore felicità e una maggiore soddisfazione sul lavoro rispetto a quelli con livelli di stress moderati o neutri. In questi casi, lo stress può essere un indicatore dell'impegno: un segno che i lavoratori sono investiti, motivati e messi alla prova in modo significativo. Nonostante il clamore suscitato dall'Ia, la maggior parte dei lavoratori non la utilizza ancora regolarmente. Infatti, quasi un terzo dei professionisti altamente qualificati non ha mai utilizzato l'Ia sul lavoro. Tra coloro che la utilizzano, la flessibilità sembra essere un fattore determinante. I lavoratori utilizzano l'Ia con un'ampia varietà di input, dalla digitazione all'uso di messaggi vocali, e la usano per compiti diversi in ambienti diversi. Questo suggerisce un momento critico per le aziende: l'Ia ha il potenziale sia per sostenere, che per ridurre il benessere. Ciò che le imprese scelgono di fare ora determinerà il successo della loro forza lavoro nell'adattarsi e prosperare in futuro. Questo studio segnala una nuova frontiera per le aziende che si confrontano con l'integrazione dell'Ia. Invece di concentrarsi esclusivamente sull'efficienza, Jabra e l'Happiness research institute suggeriscono che l'esperienza emotiva del lavoro deve diventare una priorità di progettazione. Mano mano che l'Ia diventa parte integrante del luogo di lavoro, cresce il potenziale per costruire ambienti che favoriscano sia la produttività, che il benessere.
(Adnkronos) - “Nell’accingermi a partecipare a Ecoforum per raccontare della nostra filiera circolare per “l’industria pulita” ho avuto l’opportunità, grazie all’indagine IPSOS, di raccogliere le percezioni dei cittadini, poco ottimistiche rispetto alle performance dell’Italia circolare. Lo sottolinea Riccardo Piunti, presidente del Conou ricordando come "gli Italiani, ad esempio, ritengono mediamente che circa il 50% dell’olio minerale usato sia destinato a combustione, molti pensano che la raccolta del rifiuto sia un compito del meccanico vicino di casa, che il processo complessivo sia affidato a singole aziende specializzate senza un coordinamento; addirittura, un 6% pensa che l’olio usato finisca in fogna". Piunti aggiunge che "credono tuttavia che, quando si rigenera, l’olio sia mediamente di buona qualità dando credito alla tecnologia e non all’organizzazione. Vorrei, al contrario, che fossero informati e fieri dei risultati del nostro Paese, consci del ruolo del modello consortile che porta a raccogliere l’olio a titolo gratuito e rigenerare tutto". "La coscienza dei buoni risultati - conclude - aiuterà il conseguimento di ulteriori traguardi che potranno essere raggiunti, nelle filiere più diverse, solo con il contributo informato di tutti".