(Adnkronos) - Frank O. Gehry, considerato uno dei più rivoluzionari architetti del secondo Novecento e tra i massimi interpreti del decostruttivismo, è morto oggi all'età di 96 anni nella sua abitazione di Santa Monica, in California, in seguito a una breve malattia respiratoria. La notizia è stata confermata dal suo staff al 'New York Times', chiudendo un capitolo fondamentale della storia dell'architettura contemporanea. Gehry, nato a Toronto il 28 febbraio 1929 come Frank Owen Goldberg e naturalizzato statunitense, lascia un'eredità che va oltre la forma costruita, incrociando innovazione tecnologica, creatività artistica e un'idea radicale di architettura come esperienza emotiva e culturale. Nel corso della sua lunga carriera Gehry ha firmato alcune delle opere più iconiche dell'architettura mondiale. Tra i suoi progetti più celebri figurano il Guggenheim Museum di Bilbao (1997), considerato uno dei massimi capolavori dell'epoca contemporanea, e l'Experience Music Project di Seattle (2000). A essi si aggiungono la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles (2003), il Frederick R. Weisman Art and Teaching Museum a Minneapolis (1993), il Center for the Visual Arts a Toledo (1993), l’American Center di Parigi (1994), la sede della Nationale-Nederlanden a Praga, nota come "Casa danzante" o "Ginger & Fred" (1996), il New World Center di Miami Beach (2010), il Lou Ruvo Center for Brain Health di Las Vegas (2010), la Beekman Tower di New York (2011), il Biomuseo di Panama (2014), la Guggenheim Abu Dhabi (2017) e il Dwight D. Eisenhower Memorial a Washington (2020). Tra i numerosi riconoscimenti, il Pritzker Prize nel 1989 e il Leone d'Oro alla carriera della Biennale Architettura di Venezia nel 2008. La sua ricerca teorica e formale ha trovato compimento in un percorso che ha ridefinito il linguaggio dell’architettura a partire dalla scomposizione dell'edificio in volumi indipendenti, riassemblati in modo apparentemente illogico, ma capaci di raccontare dinamiche spaziali del tutto nuove. L'uso di materiali inconsueti - lamiera ondulata, compensato grezzo, rete metallica, pannelli industriali - è diventato una cifra distintiva, così come il ricorso a software avanzati, mutuati dall’industria aeronautica, che negli anni Novanta gli hanno permesso di modellare superfici libere e complesse, anticipando la rivoluzione digitale nel progetto architettonico. La formazione di Gehry inizia alla University of Southern California e prosegue alla Harvard University, dove si avvicina ai temi dell’urbanistica. Dopo le esperienze nello studio di Victor Gruen e l’apertura del suo atelier a Los Angeles nel 1962, intraprende un percorso autonomo che negli anni Ottanta rivoluziona persino la casa unifamiliare, trasformata in un laboratorio di sperimentazione materica e spaziale. L'abitazione privata di Santa Monica, realizzata tra il 1977 e il 1978, rappresenta uno dei punti di svolta: un intervento radicale su una modesta casa esistente, avvolta da una pelle di materiali grezzi e scomposti, destinato a far discutere e a rilanciare Gehry come figura di rottura nella scena architettonica internazionale. La sua produzione di quegli anni comprende progetti come il Cabrillo Marine Museum di San Pedro (1979), la Loyola Law School (1981) e il California Aerospace Museum (1982) a Los Angeles, oltre al Museum of Art di Santa Monica (1988). Il percorso prosegue in modo ininterrotto negli anni successivi, con una serie di opere che consolidano la sua vocazione a un'architettura scultorea e dinamica: dalla sede della Vitra International a Birsfelden, in Svizzera (1994), alla struttura amministrativa del Team Disney ad Anaheim (1995), fino alle forme ardito del Dancing House di Praga (1996), dove due torri si intrecciano come in una coreografia. Il punto di massima visibilità arriva con il Guggenheim Museum di Bilbao, inaugurato nel 1997. L'edificio, definito da molti critici come una delle architetture più influenti degli ultimi cinquant'anni, ha trasformato una città industriale in declino in un centro culturale internazionale, generando quel fenomeno mediatico ed economico conosciuto come "Bilbao effect". Le sue forme fluide, rivestite di titanio, hanno ispirato una generazione di architetti e un intero filone di progettazione urbana fondato sull'idea che un’opera iconica possa innescare la rinascita di un territorio. Anche l a Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, completata nel 2003 dopo un iter progettuale durato oltre un decennio, è considerata una delle sue opere simbolo: un involucro d’acciaio dalle linee morbide e avvolgenti che racchiude un interno dalle qualità acustiche e spaziali uniche. Per Gehry, quell'edificio rappresentava un ritorno alle origini, essendo situato a pochi chilometri dall’appartamento in cui aveva vissuto da adolescente. Accanto ai grandi musei e ai complessi culturali, Gehry ha continuato a sviluppare progetti residenziali, spazi pubblici, sculture monumentali e installazioni. L'attenzione al contesto, la capacità di giocare con la percezione e una sensibilità quasi pittorica nel modellare la luce definiscono un approccio che ha spesso diviso la critica: per alcuni troppo spettacolare, per altri espressione di una libertà creativa che l’architettura sembrava aver smarrito dagli anni Sessanta. Il rapporto con l'Europa è stato costante. In Italia, Gehry ha progettato il Venice Gateway, il terminal nautico che collegherà l'aeroporto Marco Polo al centro storico, concepito come una grande infrastruttura capace di dialogare con la natura acquatica della laguna. Una retrospettiva fondamentale del suo lavoro, Frank O. Gehry dal 1997, è stata ospitata dalla Triennale di Milano nel 2009. Negli ultimi anni l’architetto aveva continuato a lavorare a pieno ritmo, firmando il progetto della Pierre Boulez Hall a Berlino (2017) e la torre della Luma Foundation ad Arles (2021), un edificio dalle geometrie frastagliate che richiama le rocce calcaree delle Alpilles. Era inoltre impegnato in nuovi progetti per il gruppo LVMH, tra cui un grande flagship store di Louis Vuitton a Beverly Hills e un edificio multifunzionale a Parigi, oltre a una nuova sala da concerto per la Colburn School di Los Angeles. Gehry ha sempre negato di essere un "archistar", etichetta applicata spesso ai progettisti più mediatici. "Si entra in architettura per rendere il mondo un posto migliore", ripeteva. "L'ego viene dopo, con la stampa e tutto il resto. All’inizio è tutto molto innocente". Una dichiarazione che restituisce la dimensione più profonda del suo lavoro: un'architettura pensata non come gesto narcisista ma come spazio capace di accogliere, sorprendere e coinvolgere il pubblico. (di Paolo Martini)
(Adnkronos) - In uno scenario mondiale in continuo movimento, tra sempre più guerre e instabilità, c'è un nuovo scenario in cui si 'gioca' sempre più il potere economico globale. Un luogo da secoli 'immobile' ma che ora potrebbe diventare un crocevia decisivo nello scontro tra potenze mondiali. A 'raccontarlo' arriva, edito in Italia da Luiss University Press, 'La legge del nord. La conquista dell'Artico e il nuovo dominio mondiale' di Mary Thompson-Jones. Il rapido scioglimento dei ghiacci artici sta riscrivendo la geografia del potere globale e il Polo nord quindi non è più un margine bianco sulle mappe: là dove per secoli ha regnato appunto l’immobilità, oggi pulsa il cuore instabile della politica mondiale. Il Nord raccontato da Mary Thompson-Jones non è più quello remoto e impenetrabile dei romanzi d’avventura, ma la nuova frontiera della geopolitica contemporanea: una scacchiera dove si intrecciano rotte commerciali, ambizioni militari e crisi climatica. Il disgelo impone una diversa geografia del pianeta, apre passaggi tra continenti e porta alla luce giacimenti di gas e terre rare. Russia, Cina e Stati Uniti si contendono il controllo delle nuove vie marittime e degli avamposti strategici – dalla Penisola di Kola alla Groenlandia, fino alla Norvegia, alla Finlandia e ai Paesi Baltici – sempre più centrali nella contesa tra Nato e alleanza russo-cinese. Qui si combatte una guerra silenziosa, fatta di sottomarini, satelliti, poli scientifici e navi rompighiaccio, in un contesto di giurisdizioni che si spostano alla deriva come iceberg. Il confine tra cooperazione e conflitto è più sottile del ghiaccio che si frantuma. Thompson-Jones va oltre la cronaca: intreccia mito e realtà, rievocando le esplorazioni del Passaggio a Nord-Ovest, la resilienza del popolo Sámi e le mappe che trasformarono il Polo in un sogno di potere e di purezza. In un fragile equilibrio tra sicurezza, diplomazia e giustizia climatica, La legge del Nord mostra come, tra i ghiacci che si ritirano, si stia decidendo il vero futuro del dominio mondiale. Mary Thompson-Jones è tra le massime esperte mondiali di sicurezza nazionale, con esperienza nel campo della marina militare e della geopolitica delle rotte oceaniche. Già foreign service officer, ha ricevuto incarichi diplomatici in Canada, Guatemala e Spagna. Professoressa in Sicurezza nazionale presso l’U.S. Naval War College, è autrice di To the Secretary (2016). La legge del Nord è il suo primo libro tradotto in italiano.
(Adnkronos) - Oltreplastica è una mostra sul mutamento in atto nella plastica contemporanea e sul ruolo che il design svolge nel ripensare la materia, il progetto, la responsabilità. Lo si legge in una nota. Curata da Frida Doveil e prodotta da Adi Design Museum con il supporto di Eni, Main Partner del museo, la mostra esplora i percorsi di transizione che accompagnano la plastica “oltre” la sua natura, mettendo a fuoco il rapporto tra cultura materiale, innovazione industriale e sostenibilità ambientale. “Oltreplastica è qualcosa di più duraturo di un titolo di mostra” osserva la curatrice “È un neologismo. Vuole mettere in evidenza uno stato di fatto: la plastica come l’abbiamo sempre conosciuta è cambiata. Questo richiede modi nuovi di nominarla, di classificarla, ma soprattutto di utilizzarla. Oltreplastica ci suggerisce una nuova tassonomia di una materia in mutazione, e ci racconta dell’innovazione di design come vero volano culturale capace di favorire questa trasformazione” Più di trent’anni dopo l’appello di Carl Sagan a custodire “il pallido puntino blu”, simbolo della fragilità del nostro pianeta, la Osaka Blue Ocean Vision del G20 (2019) segna il primo impegno internazionale per azzerare entro il 2050 la dispersione di rifiuti plastici nei mari, attraverso un approccio globale al ciclo di vita della plastica. Un atto di responsabilità che, al di là della tecnica, chiama in causa l’intero sistema industriale e la Cultura del Progetto: un nuovo modo di pensare la materia, le sue forme, i suoi cicli vitali. “Progettare per la contemporaneità pone problemi di ruolo e di metodo: superate le illusioni del Modernismo, ci resta oggi l’idea di un progetto riformatore di design come modificazione continua del contemporaneo, un progetto che si carica di senso solo all’interno di un più vasto contesto sociale e acquista valore attraverso il dispiegarsi disciplinare nelle sue applicazioni concrete”. Commenta il presidente Adi Luciano Galimberti. “Scienza e tecnologia hanno oggi bisogno di nuove domande per poter elaborare nuove risposte orientate ai valori del progresso sociale. Solo una disciplina consapevole che il progetto di design non può limitarsi a prudente misura della distanza dagli obiettivi, ci aiuterà a capire i caratteri dinamici che la modificazione continua del contemporaneo impone.” Oltreplastica non celebra né condanna la plastica: ne indaga piuttosto la metamorfosi. Da simbolo del progresso moderno e della produzione di massa, materia leggera, versatile, accessibile, la plastica si trova oggi al centro di una ridefinizione radicale, nella quale design e scienza dei materiali agiscono insieme per riscriverne il destino. Attraverso una costellazione di prodotti, materiali e processi pionieri, la mostra racconta un percorso ancora in itinere, fatto di sperimentazioni concrete e invenzioni di progetto che testimoniano la possibilità di una plastica responsabile, capace di superare i limiti della propria origine. Il racconto si apre con un richiamo alle origini, quando i primi polimeri sintetici divennero materia dell’innovazione e del sogno moderno, con la sezione “La plastica degli inizi”. Cinque plastiche iconiche – poliuretano, resina poliuretanica, polietilene, polipropilene, acrilonitrile butadiene stirene, SAN stirene acrilonitrile – rievocate attraverso altrettanti oggetti premiati con il Compasso d’Oro tra il 1954 e il 2004, tracce tangibili di un’epoca in cui la plastica era “la materia dell’invenzione” per eccellenza. Da questa premessa storica si dipana una classificazione delle plastiche contemporanee, articolata in cinque profili di trasformazione e circolarità: rivitalizzata, la plastica che rinasce dal riciclo chimico e meccanico; a massa bilanciata, derivata da materie prime alternative; bio-based, prodotta da fonti biologiche rinnovabili; rigenerata, ottenuta da scarti e residui organici, biofabbricata, creata da organismi e cellule viventi. Cinque sezioni dove la materia non è più un’entità inerte, ma un campo di relazioni tra tecnologia, biologia e progetto. Collocando la lettura del cambiamento nella realtà concreta della produzione, Oltreplastica restituisce un panorama di imprese, ricercatori e designer che interpretano la materia come agente attivo di trasformazione. Il design emerge qui come pratica evolutiva, capace di generare bellezza a partire dallo scarto, di ridefinire gli standard estetici, di prefigurare un futuro in cui la plastica, pur restando plastica, diventa “plausibile” dal punto di vista ambientale, tecnico e culturale. Questo processo è inarrestabile: si muove in modo organico e rapido, attraversando scienza, industria, società e immaginario. Un’evoluzione che non riguarda soltanto i materiali, ma la nostra stessa idea di contemporaneità. La mostra è realizzata con il supporto di Eni, Main Partner.