(Adnkronos) - L'Europa rischia di pagare un prezzo alto per i dazi imposti da Donald Trump anche nel lungo termine. L'accordo per le tariffe al 15% sulle merci europee importate negli Stati Uniti non è ancora un testo definitivo e ci sono diversi aspetti che vanno ancora negoziati. Ma c'è un tema che rischia di produrre conseguenze più profonde dell'incremento aritmetico dei costi di esportazione: i mercati si adattano alle condizioni, riducendo quote che sono poi difficili da recuperare, e anche la contrazione degli investimenti è un fattore molto meno elastico di un aggiustamento di prezzo. Vuol dire, semplificando, che le decisioni sbagliate imposte dal presidente americano Donald Trump e sostanzialmente accettate dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, possono modificare non solo i volumi e la qualità dell'interscambio commerciale tra Stati Uniti ed Europa ma anche la capacità industriale e produttiva di due economie che sono state sempre naturalmente interconnesse tra loro. A questo si riferisce l'ex ministro dello Sviluppo economico e leader di Azione Carlo Calenda, quando definisce "disastrosa" una soluzione che "determina la sottomissione e il vassallaggio dell'Europa a un accordo estorsivo di Trump che danneggia settori produttivi con effetti di lunghissima durata". La sintesi è impietosa ma inquadra il problema da un punto di vista che non va sottovalutato. E’ necessario chiedersi non solo quanto costano i dazi oggi ma anche quanto a lungo l’Europa dovrà pagarne le conseguenze. Un'analisi dell'Ispi aiuta a focalizzarle. Partendo dal pil, i dazi americani colpiscono in particolare i paesi per cui l’export verso gli Stati Uniti ha un peso economico rilevante, come Germania e Italia. È quindi lecito aspettarsi un impatto economico maggiore su Berlino e Roma. Con dazi al 15%, la Germania rallenta di quasi lo 0,3%, il pil italiano di quasi lo 0,2%, mentre l’effetto sull’economia francese sarebbe più contenuto, intorno allo 0,1%. C'è poi da considerare il deprezzamento del dollaro che si traduce in una sorta di 'dazio aggiuntivo': le imprese che esportano devono scegliere tra mantenere invariati i prezzi in dollari abbassando quelli in euro (e dunque i propri ricavi), o rischiare di perdere competitività. Il dazio del 15% va quindi portato a ridosso del 30%. Non solo. Il mercato si adegua alle regole che cambiano e secondo i principali modelli macroeconomici, un dazio medio del 15% causerà una contrazione delle esportazioni europee verso gli USA del 25-30%. Altro tema significativo è la ricerca di possibili alternative al mercato americano. Ma quando si dice che è necessario diversificare e aprire nuovi sbocchi alle esportazioni si dice una cosa difficile da fare, soprattutto in questa fase. L’Unione europea, ricorda l'Ispi, ha parlato molto della possibilità di compensare i dazi americani stringendo nuovi accordi commerciali con altri paesi o regioni. Accordi che però, al momento, ancora non si vedono. Come mai? Essenzialmente per due ragioni. La prima è che si tratta di negoziati complessi che richiedono tempo. La seconda è che in un mondo in cui una grande economia impone dazi quasi a tutti, gli altri esportatori di tutti i paesi colpiti cercano nuovi sbocchi per compensare le perdite subite sul mercato americano. Questo fenomeno è noto come deviazione del commercio, 'trade diversion'. E, aumentando la concorrenza sul poco spazio disponibile, contribuisce a complicare uno scenario già complicato di suo. (Di Fabio Insenga)
(Adnkronos) - “L’accordo raggiunto tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen rappresenta un passaggio cruciale che mette fine alla fase più acuta della 'guerra commerciale' tra Stati Uniti e Unione Europea e apre una fase di tregua costruttiva. Dopo mesi di incertezza, le imprese da entrambe le sponde dell’Atlantico tornano a operare in un quadro più stabile e prevedibile. E la certezza – oggi più che mai – è una condizione fondamentale per rilanciare investimenti, produzione e fiducia. Il compromesso raggiunto sul livello dei dazi, che si attesta mediamente al 15%, va letto come una scelta pragmatica: si evita un’escalation e si pongono le basi per una soluzione strutturale. Si tratta di un punto di partenza e non di arrivo: auspichiamo che su questo slancio si costruisca un accordo definitivo, in grado di garantire regole chiare e reciprocità commerciale a lungo termine". Così, con Adnkronos/Labitalia, Simone Crolla, consigliere delegato di AmCham Italy, la Camera di commercio americana in Italia, commenta l'intesa Usa-Ue di ieri sui dazi. "In questo contesto, il legame economico tra Italia e Stati Uniti resta un pilastro strategico: gli Stati Uniti sono il primo investitore estero nel nostro Paese e continuano a essere il principale mercato di destinazione per le nostre esportazioni e i nostri investimenti. Rafforzare questa relazione significa rafforzare anche la competitività e la proiezione internazionale del nostro sistema economico", continua Crolla. "Per questo – conclude Crolla – AmCham Italy continuerà a sostenere ogni iniziativa volta a consolidare il partenariato transatlantico, promuovendo il dialogo tra istituzioni e imprese e favorendo un ambiente favorevole allo sviluppo industriale e all’innovazione condivisa”.
(Adnkronos) - “Oggi presentiamo un esempio di ricerca universitaria molto avanzata e già molto vicina a una sperimentazione su strada reale. È qualcosa di potenzialmente pronto per un servizio, ma bisogna fare un grande salto. Lo deve fare l'Italia, lo deve fare l'Europa: trasformare questi bei progetti molto avanzati di ricerca e sviluppo, in progetti industriali imprenditoriali”. Così Sergio Matteo Savaresi, professore e direttore del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, alla presentazione del progetto ‘Sharing for Caring’, a Darfo Boario Terme (Bs). Si tratta di ‘Robo-caring’, il primo prototipo italiano di mobilità autonoma - una Fiat 500 elettrica sviluppata all’interno del Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile, dal Politecnico di Milano - pensato per persone anziane e con fragilità. Il progetto gode del sostegno di Fondazione Ico Falck e Fondazione Politecnico di Milano, e della collaborazione di Cisco Italia come partner tecnologico. Un'innovazione che si basa su “una tecnologia estremamente complessa che richiede tante risorse economiche - sottolinea il professore - Stiamo provando a trasformare questo bellissimo progetto di ricerca in un grosso progetto imprenditoriale per dare all'Italia e all'Europa la chance di avere questa tecnologia che oggi, di fatto ha solo la Cina e gli Stati Uniti”. Ma per cogliere questa opportunità Italia ed Europa “devono fare un salto”, si diceva. Per farlo servono grosse risorse economiche da impiegare nella trasformazione di una tecnologia estremamente complessa in un servizio disponibile ai cittadini. Ma non solo. “Serve uno sblocco normativo che rimuova la necessità di avere il safety-driver a bordo, oggi obbligatorio per fare questa sperimentazione (Decreto Ministeriale 70 del 2018 ‘Smart Road’ ndr.) - evidenzia Savaresi - Le due cose dovrebbero avvenire idealmente insieme: quando la tecnologia è stata messa completamente a punto da un'entità industriale imprenditoriale, serve lo sblocco normativo”, suggerisce. Il prototipo presentato a Darfo Boario è l'espressione di un futuro imminente. Ma viene da chiedersi: quando vedremo davvero sulle strade italiane un veicolo a guida autonoma senza safety-driver? “Perché la messa a punto industriale e lo sbocco normativo arrivino a compimento prevediamo dai 2 ai 4 anni”, stima Savaresi.