(Adnkronos) - La morte di Brigitte Bardot apre anche una complessa questione ereditaria, in attesa di conoscere dell'esistenza di un testamento. Il patrimonio stimato della diva francese si aggira sui 65 milioni di euro, frutto di royalty su 60 film, diritti d'immagine, oltre 80 canzoni e vendite di fotografie, nonché collaborazioni con marchi di lusso. Al centro dell'eredità c’è La Madrague, la villa di Saint-Tropez acquistata nel 1958, trasformata in un rifugio per animali e valutata tra i 25 e i 30 milioni di euro. Bardot possedeva anche La Garrigue, una seconda tenuta provenzale, e diversi investimenti finanziari. Già anni fa aveva donato la nuda proprietà dei suoi immobili alla Fondazione Brigitte Bardot, mantenendone l'usufrutto, destinando gran parte dei suoi beni alla tutela degli animali, con un fabbisogno annuale stimato in 15 milioni di euro. Brigitte Bardot era sposata dal 1992 con Bernard d'Ormale, politico del Fronte Nazionale, a cui andrà una parte del patrimonio dell'attrice. Resta aperta la questione dell'unico figlio, Nicolas-Jacques Charrier, sessantacinquenne residente in Norvegia. Il loro rapporto è sempre stato complesso e distante; secondo la legge francese sulla successione, a Nicolas spetta la quota legittima, pari al 50% del patrimonio, salvo rinunce o accordi particolari. Ma l'asse ereditario del figlio si annuncia complicato: nel 1962 l'attrice aveva peraltro rinunciato alla custodia del figlio. Intanto, anche secondo il biografo Yves Bigot, gran parte della fortuna della diva francese era già stata destinata alla Fondazione: "Ha venduto tutti i suoi beni immobiliari all'asta per finanziare la fondazione e ha ipotecato La Madrague", ha raccontatto Bigot. Nel 2020 Bardot mise in vendita anche una villa a Cannes, valutata circa 6 milioni di euro. La carriera cinematografica della diva, interrotta nel 1973, aveva lasciato solo poche grandi collaborazioni commerciali, come un accordo con il marchio di borse Lancel e un'altra linea di prêt-à-porter venduta online. "La ricchezza mi disgusta", aveva confidato l'attrice nel 2006. Resta ora da vedere se il figlio deciderà di intraprendere azioni legali contro la fondazione o contro l'ultimo marito della star a cui dovrebbe andare una parte del patrimonio. Nicolas-Jacques Charrier è una figura nota più per il suo legame controverso con la madre che per la vita pubblica. Nato nel 1960 dal matrimonio tra l'attrice e l'attore Jacques Charrier, Nicolas ha vissuto un'infanzia segnata dall'assenza materna e da rapporti familiari complessi. La nascita di Nicolas avvenne in un periodo in cui la madre era al centro della scena mediatica internazionale. Bardot stessa raccontò che la gravidanza non era desiderata e che, durante quei mesi, visse "come qualcosa di imposto" , più che come un dono. Dopo la nascita del figlio, l'attrice parlò senza filtri della sua esperienza: "Sono diventata madre esattamente quando non avrei dovuto. L'ho vissuta come una tragedia, un incubo. Ha reso infelici due persone: me e mio figlio". E ancora: Nicolas rappresentava "una responsabilità che non ero riuscita ad assumere". Dopo la nascita, Nicolas fu affidato in gran parte al padre e ai nonni, mentre Bardot continuava la sua carriera cinematografica, arrivando nel 1962 a rinunciare alla custodia del figlio. Nel corso degli anni, il rapporto tra madre e figlio rimase distante e formale. Nicolas ha scelto una vita riservata, trasferendosi in Norvegia, sposandosi e mantenendo il più possibile lontani i media dalla sua vita privata. Il legame con Bardot fu ulteriormente segnato da tensioni legali: nel 1997, a seguito della pubblicazione dell'autobiografia dell'attrice, Nicolas e il padre Jacques Nel libro, infatti, Bardot aveva definito il figlio come "tumore" che si era nutrito del suo corpo, aggiungendo che avrebbe "preferito dare alla luce un cagnolino". (di Paolo Martini)
(Adnkronos) - Negli ultimi anni l’Italia è stata colpita da terremoti, alluvioni, frane e altri eventi estremi che hanno causato perdite miliardarie per il tessuto produttivo. Un’analisi dell’istituto mUp Research riferita all’autunno 2024 ha rilevato che più di 278 mila imprese hanno subito danni legati a calamità naturali nell’anno precedente, con perdite stimate in circa tre miliardi di euro. Nel nostro Paese il tessuto economico maggiormente esposto a questo tipo di rischi e con poche tutele è quello delle piccole medie imprese, che rappresentano la maggioranza delle aziende. Segue un’analisi degli esperti di Partner d’Impresa, – realtà che supporta la crescita e la sicurezza delle imprese attraverso un team interdisciplinare di professionisti. La legge di Bilancio 2024 ha introdotto, con una norma specifica del 30 dicembre 2023 n. 213 (art. 1 commi 101‑111), un obbligo assicurativo per trasferire sulle assicurazioni private una parte del rischio che finora è gravato solo sui fondi pubblici, andando a promuovere nelle imprese una cultura della prevenzione. Tutte le aziende con sede legale in Italia, escluse quelle agricole, sono obbligate a stipulare una polizza assicurativa che copra i potenziali danni causati da terremoti, frane, alluvioni, inondazioni ed esondazioni. L’azienda deve quindi assicurare terreni, impianti, attrezzature e beni in locazione salvo che questi siano già coperti da polizze analoghe. Infine, il decreto attuativo n. 18/2025 (DM 30 gennaio 2025) ha specificato che l’obbligo non si estende ai beni in costruzione, agli immobili abusivi, alle scorte, ai mobili d’ufficio o ai veicoli iscritti al Pra (Pubblico registro automobilistico). La norma nasce dall’esigenza di ridistribuire il rischio: lo Stato non può più sobbarcarsi integralmente i costi delle ricostruzioni e dei ristori dopo i disastri. Se le grandi imprese (con oltre 250 dipendenti) sono state coinvolte nella normativa già da marzo 2025 e per le medie imprese (con 50-250 dipendenti) l’obbligo è scattato col mese di ottobre, per le pmi e le micro-imprese la scadenza prevista è quella del 31 dicembre 2025. Sarà fatta una proroga per i comparti della pesca e dell’acquacoltura: per queste imprese l’obbligo scatterà sempre il 31 dicembre 2025. "Per l’impresa inadempiente non sono previste sanzioni pecuniarie ma sarà automaticamente esclusa da contributi, sovvenzioni e agevolazioni pubbliche di qualsiasi natura, oltre a vedersi precluso l’accesso alla garanzia statale sui finanziamenti, vale a dire al Fondo di garanzia per le pmi. Si tratta dunque di una forma di sanzione di tipo interdittivo, che rafforza l’obbligo attraverso il meccanismo del vincolo premiale", spiega il legale Fabio Speranza del network nazionale di professionisti Partner d’impresa. Il rispetto dell’obbligo diventa infatti condizione necessaria per partecipare a una vasta gamma di misure agevolative. Tra queste figurano i contratti di sviluppo disciplinati dal D.M. 9 dicembre 2014, i programmi Smart & Start Italia per le startup innovative, le misure per l’economia circolare introdotte dal nrr, i fondi per la salvaguardia occupazionale e le iniziative di venture capital per la transizione ecologica ed energetica. La disposizione non è autoapplicativa: ogni amministrazione pubblica dovrà integrare nei propri bandi le clausole di esclusione per le imprese sprovviste di polizza. “Il ministero delle Imprese e made In Italy, inoltre, intende precludere l’accesso ai propri incentivi alle imprese inadempienti, ma l’efficacia scatterà solo dopo che le singole misure saranno adeguate. Questo significa che senza polizza non sarà possibile accedere a contratti di sviluppo, fondi per startup, incentivi per economia circolare o energie rinnovabili. E' evidente, dunque, come la stipula della polizza non rappresenti soltanto un adempimento formale, ma una vera e propria condizione di accesso a strumenti fondamentali di sostegno allo sviluppo imprenditoriale”, aggiunge Speranza.Un aspetto particolarmente rilevante riguarda il trattamento fiscale dei premi assicurativi. Quelli corrisposti dall’azienda per coperture inerenti l’attività d’impresa rientrano infatti tra i costi deducibili. Ciò vale sia ai fini Ires, con aliquota al 24%, sia ai fini Irap, con aliquota ordinaria al 3,9%, salvo le differenziazioni regionali. Gli effetti pratici, tuttavia, non sono omogenei. “Per le grandi imprese, che saranno le più esposte a premi assicurativi rilevanti, la deducibilità fiscale rappresenta un parziale alleggerimento, ma non elimina l’impatto economico. In pratica, se il costo della polizza riduce la base imponibile, resta comunque un esborso significativo in termini di liquidità, capace di comprimere i margini e incidere sui flussi di cassa. La questione diventa quindi di equilibrio: quanto vale la protezione assicurativa rispetto al peso che esercita sul conto economico?”, sottolinea la fiscalista del network Partner d’impresa Simona D’Alessandro. Diverso il discorso per pmie microimprese. Qui i premi saranno più contenuti, ma proporzionalmente più gravosi in rapporto al fatturato. “La deducibilità fiscale, pur utile, rischia di non essere sufficiente a compensare la pressione sul flusso di cassa. Per realtà imprenditoriali a bassa capitalizzazione, poi, la polizza rischia di ridurre la capacità di autofinanziamento e di rallentare gli investimenti programmati”, conclude D’Alessandro. Così come strutturata la legge presenta certamente delle criticità. Innanzitutto una riflessione riguarda i costi elevati e le disparità che la norma apporterà tra gli imprenditori in funzione delle aree territoriali in cui ha sede la loro impresa. “In molte aree ad alto rischio sismico o idrogeologico, infatti, i premi potranno risultare molto onerosi e a questi si sommeranno i costi di perizia per determinare il valore a nuovo dei beni” sottolinea la fiscalista D’Alessandro. L’obbligo normativo, poi, fa riferimento a una copertura parziale, ovvero riguarda solo le immobilizzazioni materiali: scorte, automezzi, beni mobili e merci non sono assicurati. Le imprese devono quindi valutare l’acquisto di garanzie accessorie per una protezione completa. Non va trascurato infine l’aspetto inerente ai rapporti tra proprietario e utilizzatore. Per i beni in locazione o leasing l’obbligo ricade sull’utilizzatore; è quindi consigliabile stabilire contrattualmente chi sostiene il premio e come si ripartiscono i rischi. In ultima analisi, secondo la fiscalista, vi è incertezza sull’effettiva applicazione delle sanzioni. “Le sanzioni sono solo indirette (esclusione dai bandi), ma la loro efficacia dipende dai provvedimenti attuativi delle singole amministrazioni. Le imprese temono che la frammentazione dei criteri possa creare incertezza sull’accesso a incentivi e finanziamenti”. Considerando le opportunità va considerato che, In un contesto in cui i parametri esg stanno assumendo crescente importanza nelle valutazioni creditizie e nelle politiche di erogazione del credito, la stipula di una copertura assicurativa contro i rischi naturali può essere interpretata come un segnale di gestione consapevole del rischio giocando un ruolo positivo nei rating creditizi. “Le banche e gli investitori istituzionali, sempre più sensibili al rischio climatico, potrebbero considerare la stipula di una polizza catastrofale come un segnale positivo di gestione aziendale. Ciò trasformerebbe un obbligo normativo in un vantaggio reputazionale, capace di incidere favorevolmente sul rating bancario, facilitare l’accesso al credito e, in prospettiva, ridurre il costo del finanziamento”, spiega Simona D’Alessandro. Inoltre, l’obbligo può essere trasformato in un vantaggio competitivo che garantisca all’impresa, in caso di evento catastrofale, le risorse necessarie per riprendere rapidamente la produzione. “Non va trascurato anche il fattore della riduzione dei premi attraverso la prevenzione. Il decreto prevede che i premi siano modulati in base alle misure di mitigazione adottate. Investimenti in adeguamenti antisismici, sistemi di drenaggio o piani di emergenza possono ridurre sensibilmente il costo della polizza” aggiunge la fiscalista. Ancora, sempre secondo la consulente, vanno considerati i vantaggi collegati alla possibilità di stipulare polizze collettive e convenzioni. Le associazioni di categoria stanno negoziando convenzioni con le compagnie per abbattere i costi per andare incontro alle necessità di micro e piccole imprese.
(Adnkronos) - In viale Du Tillot è stato messo a dimora il 100.000° albero del progetto KilometroVerdeParma. Un Ginkgo biloba, specie longeva e straordinariamente resistente, scelto come simbolo di memoria, resilienza e continuità tra generazioni. L’albero segna anche l’avvio di un arboreto urbano, concepito come museo a cielo aperto, che accoglierà 150 specie arboree provenienti da tutto il mondo, offrendo alla città uno spazio di conoscenza, cura e relazione profonda con la natura. La posa simbolica ha coinvolto bambini, soci, istituzioni, partner e cittadini, in un momento di partecipazione condivisa che restituisce il senso più autentico del progetto: prendersi cura oggi del territorio significa costruire benessere, qualità della vita e futuro per le generazioni che verranno. "Il Ginkgo che oggi piantiamo non è solo un albero. È un segno di continuità: ci ricorda che la vita, come il verde, cresce con lentezza e tenacia, e che ogni scelta di cura lascia tracce durature nel tempo e nello spazio", ha dichiarato Maria Paola Chiesi, presidente del Consorzio Forestale KilometroVerdeParma. Fondato il 6 maggio 2020, il Consorzio Forestale KilometroVerdeParma ha dato forma a un percorso strutturato di forestazione e rigenerazione ambientale, costruendo nel tempo un modello rigenerativo fondato su visione strategica, metodo scientifico e collaborazione stabile tra aziende socie, organizzazioni non profit, istituzioni e cittadinanza. La forestazione viene così interpretata come infrastruttura verde viva, capace di incidere positivamente sulla qualità dell’ambiente e sulla quotidianità delle persone. In cinque anni, il progetto ha portato avanti oltre 60 operazioni di forestazione urbana ed extraurbana, contribuendo alla mitigazione delle temperature estive, al miglioramento della qualità dell’aria, alla gestione delle acque meteoriche e alla creazione di spazi di socialità e benessere diffuso. Parallelamente, 14.000 studenti sono stati coinvolti in percorsi educativi che integrano la conoscenza scientifica con un’educazione più ampia alla cura del territorio, alla responsabilità ambientale e alla relazione tra persone e natura. A questo si aggiungono 100 eventi pubblici, che hanno reso il verde parte integrante della vita culturale e sociale della comunità parmense. Tra le numerose realizzazioni sviluppate sul territorio, l’AgriBosco Barilla rappresenta un esempio di forestazione di ampia scala, con 23 ettari e oltre 4.100 piante, destinati a produrre benefici ambientali duraturi nel tempo. Accanto a questo, il Bosco del Molino di Agugiaro & Figna, con 18.000 alberi su 13 ettari, contribuisce in modo significativo al rafforzamento della biodiversità e al riequilibrio ecologico del territorio. Il KilometroVerdeParma lungo l’autostrada A1, sviluppato grazie al contributo di Chiesi, Davines e Dulevo, conta circa 18.000 alberi e costituisce un ampio progetto di forestazione lineare integrato a un’infrastruttura viaria, con un ruolo rilevante nella riduzione degli impatti ambientali e nella ricucitura del paesaggio. Accanto alle iniziative di maggiore estensione, KilometroVerdeParma ha promosso una partecipazione civica diffusa. Il Bosco Parma Mia, grazie alla sottoscrizione di un patto di collaborazione di cittadinanza attiva con il Comune di Parma e finanziato interamente tramite crowdfunding con il coinvolgimento di 350 donatori, conta oltre 1.000 piante, mentre diverse rotatorie urbane, come quelle di Mutti, Fiere di Parma e Ghirardi - per citarne solo alcune - sono state trasformate in micro-oasi di biodiversità, restituendo valore ecologico e paesaggistico a spazi della quotidianità cittadina. Ogni bosco è certificato Pefc (Programme for endorsement of forest certification schemes) e supportato da solide basi scientifiche. Le ricerche condotte dallo spin-off universitario Vsafe evidenziano come, su un orizzonte di 30 anni, i benefici economici e ambientali dei boschi urbani e periurbani del Consorzio superino ampiamente l’investimento iniziale, grazie ai servizi ecosistemici generati: mitigazione del clima urbano, regolazione delle acque meteoriche, riduzione degli inquinanti atmosferici e valore ricreativo. In questo quadro si inserisce anche il progetto educativo WeTree, che dal 2020 ha coinvolto 613 classi e organizzato 243 uscite ed esplorazioni didattiche, contribuendo a costruire una consapevolezza ambientale solida, concreta e condivisa. KilometroVerdeParma è firmatario del Contratto Climatico della Città di Parma e dell’Alleanza Territoriale Carbon Neutrality, con l’obiettivo di ridurre le emissioni dell’85% entro il 2030. Ogni albero piantato viene mappato attraverso piattaforme europee come MapMyTree, rafforzando il ruolo di Parma come laboratorio avanzato di adattamento climatico, rigenerazione urbana e benessere collettivo. Il Ginkgo biloba di viale Du Tillot non rappresenta soltanto un traguardo numerico, ma l’inizio di una nuova fase: un luogo in cui natura, conoscenza e memoria si intrecciano, restituendo al verde il suo ruolo più profondo, quello di cura silenziosa, continua e lungimirante della città.