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(Adnkronos) - Fuoco incrociato sulla salute degli italiani, in particolare dei più fragili. A minacciarli c'è il mix tra caldo e Covid: "L'uno amplifica gli effetti dell'altro e viceversa, con un impatto immediato sui sintomi come mal di testa, fatigue e affanno, e sulla funzionalità del cuore". Lo spiega Bruno Trimarco, docente emerito di Cardiologia all'università Federico II di Napoli. "Il caldo - avverte - ha sicuramente un impatto importante sui pazienti colpiti dal Covid, sia in fase acuta che nel post-infezione, sul cosiddetto Long Covid. Infatti, da un lato le temperature alte amplificano i sintomi dell'infezione, dall'altro possono aumentare lo stress sul cuore, colpito contemporaneamente da un doppio fuoco, il virus e il caldo insieme". Come proteggersi? No agli integratori 'fai te te', sì a docce fresche e bere acqua anche se non si ha sete, ricorda lo specialista. Le persone più a rischio sono i fragili, come anziani, bambini e malati cronici, già vulnerabili a caldo e Covid singolarmente. "La letteratura scientifica - analizza Trimarco - ha già documentato che il caldo estremo rappresenta un rischio per il cuore, causando dolore al petto, infarti e morte improvvisa. Quando fa troppo caldo, si può assistere a una riduzione dei valori della pressione arteriosa per la dilatazione dei vasi sanguigni e alla perdita di liquidi con una profusa sudorazione che aumenta il pericolo disidratazione. In alcuni pazienti, tuttavia, si verifica un effetto opposto e la pressione arteriosa può aumentare in modo improvviso e incontrollato. Tra i sintomi più comuni possono comparire tachicardie, palpitazioni, vertigini e affanno". Dal canto suo, anche Covid ai associa a sintomi comuni a quelli scatenati dal caldo, come astenia, nebbia cerebrale, affanno e mal di testa. "Inoltre - evidenzia il cardiologo - sappiamo che Covid-19 innesca una serie di processi infiammatori che colpiscono le cellule endoteliali, cioè le cellule che rivestono l'interno del cuore e dei vasi sanguigni. Tra gli effetti prodotti ci sono stress ossidativo, infiammazione, alterazione dei battiti, compromissione della capacità di pompare il sangue e l'ossigeno agli altri tessuti. Gli studi suggeriscono che le persone con Covid, rispetto ai non infettati, corrono un rischio del 55% maggiore di subire un evento cardiovascolare grave come infarto, ictus o morte. Hanno anche più probabilità di manifestare altri problemi al cuore come aritmie o miocardite, ossia infiammazione del muscolo cardiaco". Per scongiurare gli effetti della combo caldo-Covid servono contromisure. Quali? "No a integratori 'fai da te', sì a docce o bagni freschi e al consumo 'programmato' di acqua: impegnarsi cioè a bere almeno un litro e mezzo d'acqua durante la giornata anche se non si ha la sensazione di sete", raccomanda Trimarco. "Stanchezza e debolezza, sintomi comuni al Covid e a un eccesso di caldo - osserva il cardiologo - possono indurre a fare incetta di integratori. Ma la stragrande maggioranza sono inutili, almeno contro il Covid. Uno studio che abbiamo pubblicato sulla rivista 'eClinicalMedicine' promuove un mix di sostanze naturali, composto da arginina e vitamina C. L'arginina è un aminoacido prodotto naturalmente dall'organismo, che stimola la produzione di ossido nitrico, sostanza chiave per una corretta funzione vascolare. La vitamina C, invece, grazie a una nanotecnologia che ne ottimizza l'assorbimento senza effetti collaterali, antagonizza lo stress ossidativo e migliora il rimodellamento vascolare con effetti benefici sulla funzionalità cardiaca e a cascata su tutto l'organismo". Altri consigli: evitare di uscire se positivi al Covid, sia per evitare di contagiare gli altri sia per tenersi al riparo dal caldo esterno; mantenere la casa fresca, sfruttando l'aria notturna per rinfrescarla, e durante il giorno usando tapparelle o persiane e spegnendo quanti più dispositivi elettrici possibile; usare abiti e lenzuola leggeri e larghi; evitare bevande zuccherate, alcoliche o contenenti caffeina che possono peggiorare i sintomi e interagire con i farmaci in uso.
(Adnkronos) - È Federica Zannoni, studentessa del corso di laurea in Ingegneria di Internet all’Università degli studi di Roma Tor Vergata, la vincitrice della sesta edizione di 'Amazon Women in Innovation', la borsa di studio promossa e finanziata da Amazon per aiutare le giovani studentesse di discipline Stem (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) a inserirsi nel settore dell’economia digitale, dell’innovazione e della tecnologia. La giovane meritevole - insieme alle vincitrici degli altri sei Atenei italiani coinvolti nell’iniziativa di Amazon - usufruirà di un finanziamento di 6.000 euro per l'anno accademico 2023/24, con possibilità di rinnovo nei successivi due anni, assieme all’opportunità di disporre di una mentor Amazon, una manager dell’azienda con cui confrontarsi per sviluppare competenze utili per il proprio futuro percorso professionale: dalle tecniche per creare un curriculum efficace, ai consigli per affrontare un colloquio di lavoro. Un sogno nel cassetto e un piano per realizzarlo, nata e cresciuta a Marino, comune di Roma, Federica Zannoni frequenta il corso di Ingegneria di Internet all’Università Tor Vergata, a Roma. Curiosa, spigliata e con la profondità di chi ha già dovuto affrontare molte sfide nella propria vita. “Ingegneria ha bisogno di tempo: tre anni per la triennale, due per la magistrale, questi limiti temporali spesso non sono standard applicabili a questa facoltà. Mi sono iscritta a questo corso di laurea nel 2019. Purtroppo alcuni motivi personali mi hanno costretta a ridefinire le mie priorità: mi sono assentata dall’università, ho messo in stand-by lo studio, per poi riacquisire la giusta lucidità e consapevolezza per capire che, sì, concludere questo percorso era la scelta più giusta. Un premio che dovevo a me stessa”, racconta. Se è vero il detto “ingegneri si nasce”, Federica forse ci è nata davvero, ereditando questa passione da suo padre, Solution Architect, posizione a cui anche lei ora ambisce: “Sono cresciuta affascinata dal suo lavoro, ma soprattutto, dalla passione che vedevo nei suoi occhi nel raccontarlo”. La stessa passione che vibra ora in Federica, e che la illumina quando racconta del primo computer fisso, smontato a poco più di 5 anni: “Ero estasiata. Era un pc da smaltire, l’ho smontato e dentro ci ho visto un mondo”, dice. E delle prime programmazioni in Html ai tempi di Tumblr a dodici anni e dell’analisi delle componenti del controller della Playstation. Nel raccontarsi, Federica la definisce “la curiosità di andare oltre”, la stessa che ora la porta a sognare un futuro in Finlandia, pensiero che la culla già da una decina di anni. A giustificare il sogno, una motivazione razionale: “In Finlandia - spiega - sono specializzati nel campo della rete mobile. E poi, com’è la Finlandia? Pensa al Trentino d’estate, ma meglio e tutto l’anno”. Il primo incontro di Federica con la borsa di studio Amazon Women in Innovation risale al 2019, quando a vincerla è stata una sua cara amica. Ora è lei ad averla ottenuta: un modo per chiudere il cerchio dopo anni non facili, un traguardo che dedica a sé stessa e a suo padre. La parità di genere è un tema su cui Federica riflette spesso, provando amarezza nel pensare che nel 2024 sia ancora argomento di discussione. “Ci penso spesso - sottolinea - e confrontandomi con il mio gruppo di amiche ho formulato un pensiero: scuola superiore e poi università nascono per formare e preparare gli studenti al mondo del lavoro. Negli ambiti scientifici tutti questi step hanno ancora una costante: da un punto di vista numerico il genere femminile è ancora a ranghi ridotti. Pensandola in prospettiva, una vita destinata a essere 'la sola', circondata da eventuali pregiudizi, a molte fa paura. Io non sono destabilizzata: ho visto mio padre in contesti lavorativi, la gentilezza e la disponibilità con cui si rapportava alle sue colleghe. Mi appello a questo: so che lungo il mio percorso potrò avere al mio fianco tanti colleghi come lui”. Dal 2018, allo scopo di supportare e incentivare le giovani studentesse universitarie appassionate di materie scientifiche, Amazon assegna la borsa di studio 'Amazon Women in Innovation'. Il progetto si inserisce nel programma Amazon nella Comunità come supporto alla crescita delle nuove generazioni nel mondo digitale, e oggi coinvolge sette Atenei italiani: assieme all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, l’Università degli studi di Cagliari, l’Università degli studi di Catania, il Politecnico di Milano, l’Università degli studi di Napoli Federico II, l'Università degli studi di Palermo, l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e il Politecnico di Torino. Con le premiazioni annunciate oggi, dall’anno del suo lancio, l’iniziativa ha premiato finora 26 giovani meritevoli attraverso l’erogazione di altrettante borse di studio e di un percorso di mentorship con una manager di Amazon: incontri dedicati a sviluppare le competenze del futuro.
(Adnkronos) - L’ipotetica sostituzione dell'olio di palma con altri oli potrebbe comportare un aumento della deforestazione fino a 52 milioni di ettari a livello globale. Sarebbe questo il costo di un mondo “senza olio di palma” secondo lo studio “Deforestation and greenhouse gas emissions could arise when replacing palm oil with other vegetable oils” condotto da alcuni ricercatori della Fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) e recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista “Science of The Total Environment”. Gli autori dello studio hanno esaminato l’impatto in termini di potenziali cambiamenti nell'uso del suolo, potenziali perdite di stock di carbonio forestale e conseguenti emissioni di gas serra, della sostituzione dell'olio di palma con altri oli vegetali (soia, colza, girasole) a confronto con l'olio di palma privo di deforestazione. “Questo studio ha dimostrato che sostituire ipoteticamente l'olio di palma con le principali tre alternative oleose esistenti a livello globale potrebbe comportare un potenziale rischio di aumento della deforestazione rispetto a quanto già successo con l'olio di palma negli scorsi decenni. Addirittura fino a circa 52 milioni di ettari di foresta potrebbero essere a rischio nei principali paesi produttori di questi tre oli alternativi, ovvero Argentina, Brasile, Canada, Cina, India, Russia, Stati Uniti e Ucraina.” spiega all'Adnkronos Maria Vincenza Chiriacò, ricercatore senior presso la Fondazione Cmcc e prima autrice dello studio. "Quindi spostare la produzione dall'olio di palma verso questi tre oli alternativi potrebbe mettere a rischio questa superficie forestale che invece oggi non è utilizzata per scopi agricoli", aggiunge. Tra le colture oleaginose, la palma da olio è tra le più discusse, in quanto associata alla deforestazione tropicale osservata negli scorsi decenni. Tuttavia, lo studio rivela che se l’intera produzione globale di olio di palma diventasse priva di deforestazione, le emissioni di gas serra correlate alla sua produzione potrebbero ridursi fino al 92%, passando dagli attuali 371 a 29 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all'anno. "La peculiarità dell'olio di palma risiede in una caratteristica unica rispetto agli altri oli e cioè il fatto di avere una grande resa per ettaro quindi una grande efficienza produttiva. In particolare, l'olio di palma supera le tre tonnellate di olio ad ettaro mentre i tre oli alternativi hanno invece una resa che oscilla tra 0,3 e 0,7 tonnellate ad ettaro di olio prodotto", chiarisce Chiriacò. "Ecco pertanto - osserva - che se supponiamo di sostituire l'olio di palma con questi oli alternativi abbiamo bisogno di molta più superficie, addirittura 6-7 volte di più, mettendo a rischio anche la food security. Infatti lo studio dimostra che non solo le aree attualmente coperte da foresta potrebbero essere ipoteticamente interessate dalla coltivazione di questi oli ma, per soddisfare la domanda, potrebbero essere necessari anche i terreni al momento destinati ad altre coltivazioni come grano o riso”. "L'alternativa potrebbe essere quella di continuare a utilizzare l'olio di palma purché questo sia certificato come proveniente da filiere che non abbiano causato alcuna deforestazione, certificati quindi come deforestation-free. Oggi circa il 19% dell'olio di palma globale è certificato come deforestation-free: se aumentassimo questa quota fino al 100% potremmo addirittura ridurre del 92% le emissioni globali causate dalla produzione dell'olio di palma", spiega l’esperta.