(Adnkronos) - “Bisogna fare in modo che nell'applicazione concreta di questa direttiva venga rispettato il principio di neutralità tecnologica e che non ci sia una transizione obbligatoria solo verso le pompe di calore e l’elettrificazione, ma che si possano utilizzare le attuali caldaie con combustibili alternativi rinnovabili senza smantellare la vasta diffusione delle caldaie a gas”. Lo dichiara il capo delegazione di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, intervenuto a un evento sulle sfide della direttiva europea sulla prestazione energetica degli edifici. La legge europea, entrata in vigore nel 2024, e ribattezzata direttiva “Case green”, stabilisce una scadenza per l’eliminazione graduale delle caldaie a combustibili fossili entro il 2040. "È stato fatto un grande lavoro anche da parte nostra nella scorsa legislatura per migliorare il testo della direttiva sulle prestazioni ambientali degli edifici, che avrebbe altrimenti penalizzato soprattutto l'Italia per il suo patrimonio edilizio architettonico vetusto", ha sottolineato. "Ora serve fare un passo in più", ha aggiunto Fidanza. Fratelli d’Italia si schiera con lo studio presentato oggi al Parlamento europeo da Associazioni Proxigas, Assogas, Federchimica-Assogasliquidi, Assotermica e Utilitalia. "C'è un'apertura da parte della commissione europea bisogna andare a con più velocità in questa direzione", ha affermato Fidanza. L’eurodeputato si è detto "cautamente ottimista" la nuova Commissione "applichi delle nuove linee guida" che garantiscano incentivi a modelli alternativi come le caldaie a compensazione sulla base del principio della neutralità tecnologica.
(Adnkronos) - L’Intelligenza Artificiale (IA) sta crescendo rapidamente in Italia, con il 63% delle aziende di grande dimensione che ha già adottato o intende adottare questa tecnologia. Questo livello di adozione si potrebbe tradurre in un aumento complessivo della produttività per le aziende italiane pari a 115 miliardi di euro. È quanto emerge dallo studio 'Lo stato dell’arte dell’Intelligenza Artificiale nelle aziende italiane - Adozione, impatti e prospettive', realizzato da Minsait, società del Gruppo Indra leader nei nuovi ambienti digitali e nelle tecnologie dirompenti, e da The European House - Ambrosetti. “Il nostro studio mostra un’importante crescita dell'adozione dell'IA da parte delle aziende italiane, che si riscontra in generale in una fase di curiosa sperimentazione, lavorando prevalentemente su innovazioni incrementali, piccole trasformazioni e miglioramenti graduali, mentre la trasformazione radicale di prodotti, modelli di business o processi core è ancora rara. Questo approccio per piccoli passi è necessario e comprensibile ma non può essere la norma se le aziende Italiane vogliono giocare un ruolo da protagonista nell’economia dell’intelligenza artificiale. Nell’utilizzo dell’Ia, dobbiamo passare dal “fare cose più velocemente” al “fare cose radicalmente nuove”. E questo richiede leadership, capacità di visione, investimenti su dati, competenze e modelli organizzativi”, ha affermato durante l’evento Erminio Polito, amministratore delegato di Minsait in Italia. Lo studio di Minsait e The European House - Ambrosetti analizza il livello di adozione dell'Intelligenza Artificiale nelle aziende italiane e offre raccomandazioni per favorirne l'implementazione. È stata quindi condotta una survey che ha coinvolto circa 280 aziende italiane di grandi dimensioni (più di 250 adetti) e appartenenti a più di 15 settori produttivi, con l’obiettivo di indagare come le imprese italiane si posizionino nelle seguenti 5 aree di interesse: adozione, readiness, effetti su organizzazione e lavoro, opportunità e impatti, adeguamento normativo. La prima delle aree strategiche analizzate per comprendere come l’intelligenza artificiale stia trasformando il tessuto produttivo italiano è il livello di adozione della stessa. I dati rivelano una fotografia composita: il 38,2% delle imprese ha avviato percorsi concreti di implementazione o sperimentazione e il 25,2% prevede di adottare soluzioni di AI nel prossimo futuro. Il 21% delle aziende è, inoltre, nella fase di implementazione estesa su scala aziendale. Di contro, c’è però un 35,4% che dichiara di non aver intenzione di adottarla. Tra le imprese che stanno già utilizzando l’Ia, i casi d’uso più diffusi riguardano attività a supporto dell’It e dei processi: gestione e analisi dei dati (35,4%); supporto It tramite chatbot (23,2%); analisi predittive e automazione del back-office (entrambi al 22,2%). Più in generale, emerge come l’adozione dell’IA sia oggi prevalentemente orientata all’ottimizzazione operativa, più che alla trasformazione strategica del business. Viceversa, tra le imprese che non hanno ancora adottato soluzioni di intelligenza artificiale, emergono tre principali barriere: difficoltà organizzative (23,9%); livello ancora sperimentale delle tecnologie (21,9%) e mancanza di competenze interne (20%). Accanto a queste motivazioni, si registrano anche ostacoli legati all’assenza di chiari casi d’uso e alla gestione dei dati, mentre risultano meno rilevanti gli aspetti normativi e i costi. In merito alla capacità delle imprese italiane di cogliere concretamente le opportunità offerte dall’Ia, le imprese italiane si sentono pronte a partire sul fronte dei dati (il 43,3% ritiene di disporre di dati di qualità e in quantità sufficienti per avviare progetti di intelligenza artificiale), mostrano invece debolezze su competenze, infrastrutture, governance e casi d’uso. Circa il 70% delle aziende però non ha ancora una strategia definita per l’Ia; tra quelle che ce l’hanno, il piano è spesso gestito dall’It, con un coinvolgimento minimo del top management. I budget sono limitati: quasi la metà delle aziende investe meno del 5% del budget digitale in Ia, e nel 38% dei casi l’ammontare complessivo è inferiore a 50.000 euro annui. Impatti su organizzazione e lavoro: grazie all’IA due terzi delle aziende ha riscontrato un miglioramento dell’efficienza operativa. Una su due lamenta però la mancanza di competenze. Fra le aziende italiane prevale una visione più orientata all’efficienza che alla trasformazione. Il 64,7% delle aziende dichiara, infatti, di aver riscontrato, grazie all’introduzione dell’Ia, un miglioramento dell’efficienza operativa. Tuttavia, solo una minoranza segnala cambiamenti più profondi come l’automazione di attività ripetitive (15,2%) o la creazione di nuovi flussi di lavoro (9,1%). Anche dal punto di vista delle competenze richieste emerge una visione prevalentemente tecnica: il 58,1% degli intervistati individua nelle hard skills il fattore prioritario per governare l’intelligenza artificiale, mentre le competenze digitali di base e le soft skills seguono a distanza. Sul fronte delle soft skills, solo un’azienda su dieci le indica come prioritarie, sebbene tra queste il problem solving (58,7%) e la comunicazione (33,9%) siano le più valorizzate. Il 50% delle imprese evidenzia, inoltre, una carenza di competenze e know-how sull’intelligenza artificiale che ostacolano la capacità di evoluzione organizzativa. Una carenza che riflette una tendenza più ampia a livello Paese: meno di una persona su 2 possiede competenze digitali di base, e per raggiungere gli obiettivi del Digital Compass fissati al 2030 - che prevede l’80% della popolazione adulta alfabetizzata al digitale - sarà necessario colmare un gap di 15 milioni di cittadini. Sebbene ci troviamo in un contesto di implementazione ancora giovane, gli impatti percepiti sull’aumento della produttività sono già significativi: un terzo delle aziende segnala benefici compresi tra l’1% e il 5% (a fronte di una crescita media nazionale intorno all’1% negli ultimi 20 anni). Incrociando gli impatti sulla produttività con i fatturati delle aziende rispondenti, si tratterebbe di un aumento medio della produttività aggregata del 3,2% oggi e del 4,3% nell’arco di 18-24 mesi. Se parametrato sul fatturato italiano (pari a circa 3,6 trilioni di Euro) si tratterebbe di un aumento di 115 miliardi. Il tempo guadagnato grazie all’IA viene reinvestito soprattutto in formazione del personale, qualità dei prodotti e ricerca e sviluppo, con l’obiettivo di generare impatti più diffusi e strutturali nel medio periodo. L’ultima area indagata dalla survey riguarda l’adeguamento normativo, con particolare attenzione all’Ai Act europeo. Si tratta di un tema centrale per comprendere non solo come le aziende recepiscano il nuovo quadro regolatorio, ma anche quanto siano pronte ad allinearsi ai suoi requisiti. La percezione dell’Ai Act da parte delle aziende italiane è, in larga parte, positiva. Più di due realtà su tre vedono nella normativa europea un’opportunità per rafforzare governance e trasparenza. Solo una minoranza lo interpreta come un ostacolo o come una fonte di incertezza. Tuttavia, a fronte di questo potenziale riconosciuto, le azioni concrete per adeguarsi al nuovo quadro sono ancora limitate: oltre il 56% delle aziende dichiara di non aver ancora messo in campo alcun intervento in tal senso. Le iniziative attivate, quando presenti, sono ancora frammentate e spesso circoscritte a valutazioni preliminari o programmi di alfabetizzazione. Il principale ostacolo all’adeguamento risulta essere, ancora una volta, la formazione. Quattro aziende su dieci segnalano infatti la necessità di sviluppare competenze specifiche sul tema normativo. A seguire, emergono difficoltà legate alla mancanza di linee guida chiare (18,2%), all’adeguatezza delle infrastrutture It (17,2%) e ai costi per garantire la compliance (16,2%). Per affrontare la sfida dell’adozione e dell’impatto dell’Intelligenza Artificiale in Italia, è fondamentale una strategia nazionale che promuova un utilizzo diffuso e produttivo della tecnologia, in grado di rafforzare la competitività del Paese. Le priorità strategiche per l’Italia devono includere, secondo lo studio: stanziare risorse per sostenere una strategia nazionale per l’IA che sia chiara, supportata da adeguate risorse finanziarie e strutturali, e che favorisca la diffusione della tecnologia in tutti i settori chiave; rafforzamento dei fattori abilitanti, dalle infrastrutture digitali, alle competenze; promuovere l’Ia nelle Pa favorendo forme strutturate di collaborazione tra pubblico e privato attraverso reti, laboratori condivisi e sinergie, come leva strategica per accelerare le sviluppo e l’implementazione di soluzioni di Ia accessibile e inclusiva; fornire modelli di riferimento e casi d’uso concreti per sostenere la definizione di strategie aziendali sull’Ia. Sostenere l’adozione dell’Ia sui territori e nelle piccole e medie imprese. Per raggiungere gli obiettivi del Digital Compass (90% delle pmi con un livello base di digitalizzazione) ci mancano oltre 126.000 pmi italiane con un’intensità digitale di base. Queste priorità dovranno essere sviluppate in modo coordinato tra le istituzioni pubbliche, il mondo dell’impresa e il settore educativo, per creare un ecosistema favorevole all’adozione e all’innovazione tecnologica, in grado di elevare la competitività dell’Italia a livello globale. “L’Intelligenza Artificiale non è più una tecnologia emergente. È diventata una leva critica per la competitività delle imprese. Chi oggi guida un’organizzazione sa che l’adozione dell’Ia non è una scelta accessoria, ma una decisione strategica, destinata a ridefinire il vantaggio competitivo, il modello operativo e la cultura aziendale”. Ha dichiarato Erminio Polito, amministratore delegato di Minsait in Italia, che ha aggiunto: “i dati raccolti in questo rapporto lo confermano: l’adozione su larga scala dell’IA potrebbe generare fino al 18% del pil italiano in valore aggiunto, rendendola una leva decisiva per la competitività del sistema-Paese. Ma per liberarne appieno il potenziale occorre colmare ritardi strutturali nei principali fattori abilitanti – digitalizzazione, infrastrutture, competenze e regolazione – che oggi ne limitano la diffusione. Questo rapporto rappresenta più di una semplice analisi: è un invito esplicito alla collaborazione tra centri di ricerca, università, imprese, istituzioni e cittadini, affinché l’Intelligenza Artificiale sia una forza positiva capace di generare crescita economica e sociale sostenibile e condivisa”. “Questo studio mostra con chiarezza che l’Intelligenza Artificiale non è più una frontiera da esplorare, ma una leva da attivare, con urgenza e visione strategica. Se il 63% delle grandi aziende italiane ha già avviato percorsi di adozione o intende farlo a breve, abbiamo davanti un potenziale concreto: fino a 115 miliardi di euro di incremento di produttività sul fatturato aggregato e un effetto sistemico sull’intero tessuto industriale. Per cogliere appieno questo impatto, serve un’azione coordinata su quattro fronti: competenze, infrastrutture, governance e casi d’uso concreti. L’Ia può diventare il motore per rendere il nostro sistema economico più competitivo, inclusivo e sostenibile”, ha dichiarato Corrado Panzeri, partner di Teha Group & head of InnoTech Hub.
(Adnkronos) - Si è svolta oggi, presso l’Università Iulm di Milano, la nuova edizione del L’Oréal For The Future Day, evento di riferimento per L’Oréal Italia dedicato alla sostenibilità ambientale e sociale. Una giornata aperta ai principali stakeholder tra cui Ong, istituzioni, media, clienti, imprenditori e innovatori. L’evento ha fatto il punto su quelli che sono i risultati ottenuti fino a ora grazie al programma L’Oréal For The Future e quali sono i prossimi obiettivi da raggiungere. Hanno partecipato all’evento Elena Grandi, assessora all'Ambiente e al Verde del Comune di Milano, Giorgio Maione, assessore all'Ambiente e al Clima della Regione Lombardia, Valentina Garavaglia, rettrice dell’Università Iulm, Ninell Sobiecka, presidente e amministratore delegato di L’Oréal Italia, Iñigo Larraya Tejero, chief sustainability officer Europe L’Oréal Groupe, Simone Targetti Ferri, sustainability director L’Oréal Italia, Lorenzo Vitale, cfo L’Oréal Italia, Andrea Alemanno head of public affairs and corporate reputation di Ipsos, Federica Ricceri, professoressa associata delegata alla sostenibilità e responsabilità sociale dell’Università Iulm, Luca Musicco, ceo di Italgen, Raimondo Orsini, direttore della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Enrico Giovannini, direttore scientifico di ASviS, Silvia Moroni, divulgatrice e content creator, Letizia Palmisano, giornalista ambientale, scrittrice e divulgatrice tv e Roberta Bonacossa, presidente e co-fondatrice di Change For Planet. Il Gruppo L’Oréal, leader mondiale nel settore della cosmetica con 37 brand internazionali che operano in quattro aree di mercato differenti dalla farmaceutica al mass market, dal lusso ai saloni professionali, ha adottato negli ultimi anni una politica molto ambiziosa sulla sostenibilità. Il programma L’Oréal For The Future guarda al futuro con obiettivi tangibili e verificabili e una roadmap al 2030 su clima, acqua, biodiversità e risorse naturali, in conformità con ciò che richiedono gli esperti scientifici e ciò di cui ha bisogno il nostro pianeta. “Sostenibilità - ha detto Ninell Sobiecka, presidente e amministratore delegato di L’Oréal Italia, nel suo discorso di benvenuto - per noi non è un traguardo, ma un percorso che evolve ogni giorno. Questo evento è un’occasione preziosa per ascoltare, confrontarci e condividere una visione comune del futuro. Solo insieme – aziende, istituzioni e cittadini – possono ottenere un impatto positivo duraturo". “L’Italia si conferma un laboratorio di innovazione nella sostenibilità del Gruppo – ha esordito Simone Targetti Ferri, Sustainability Director L’Oréal Italia - Con la nostra roadmap lavoriamo per integrare pratiche circolari nei processi e nei prodotti, promuovendo il coinvolgimento attivo dei consumatori. La transizione ecologica è una responsabilità condivisa in cui ogni gesto conta e per questo motivo L’Oréal è profondamente impegnata nella sostenibilità sociale e ambientale”. Nel contesto delle crescenti sfide in ambito ambientale e sociale, L’Oréal ha deciso di accelerare la propria trasformazione entro il 2030 verso un modello che rispetti i limiti del pianeta e rafforzi gli impegni verso la sostenibilità e l’inclusione. Per quanto riguarda la gestione della transizione climatica nel rispetto dei limiti del pianeta: raggiungere il 100% di utilizzo di energia rinnovabile nei siti e nei negozi gestiti; ridurre le emissioni assolute di gas serra scope 1 e 2 del 57% rispetto al 2019; ridurre le emissioni assolute di gas serra scope 3 derivanti da beni e servizi acquistati, trasporto e distribuzione a monte e viaggi di lavoro del 28% rispetto al 2019. La salvaguardia della natura riguarda la provenienza sostenibile di almeno il 90% dei materiali biobased utilizzati nelle formule e negli imballaggi e il fatto che oltre il 75% degli ingredienti presenti nelle formule deve provenire dalla natura o da materiali riciclati; utilizzo del 100% di acqua riciclata o riutilizzata per scopi industriali negli stabilimenti e l'offerta di prodotti o tecnologie a risparmio idrico per consentire ai consumatori dei mercati in difficoltà idrica di soddisfare le loro esigenze di igiene e bellezza. Inoltre, il Gruppo L’Oréal sta lavorando per integrare la circolarità in ogni fase dello sviluppo dei prodotti. Questo include l'alleggerimento del packaging, l'utilizzo di materiali riciclati e di origine biologica, la riduzione dell'uso della plastica e l'introduzione di soluzioni circolari come i prodotti ricaricabili. Entro il 2030, gli obiettivi sono: ridurre del 50% in termini assoluti l’utilizzo di plastica vergine per il packaging dei prodotti rispetto al 2019; il 50% di tutti i materiali utilizzati negli imballaggi dei prodotti deve provenire da fonti riciclate o di origine biologica; ridurre l'intensità di imballaggio dei nostri prodotti del 20% rispetto al 2019. In qualità di azienda leader nel settore della bellezza, L'Oréal è profondamente legata alle comunità in cui vive, lavora e opera, come aiutare 100.000 persone provenienti da comunità svantaggiate ad accedere al mondo del lavoro; fare in modo che il 100% dei nostri fornitori strategici sottoscriva un impegno a rispettare il salario di sussistenza con un piano d'azione vincolato nel tempo; sostenere 10 milioni di persone attraverso i programmi di impegno sociale dei nostri marchi. Di seguito alcuni dei risultati del programma L’Oréal For The Future raggiunti nel 2024: 97% di energia rinnovabile per i siti gestiti dal Gruppo; il 53% dell’acqua utilizzata nei processi industriali viene riciclata e riutilizzata; il 92% degli ingredienti delle formule e confezioni biobased sono tracciabili e provenienti da fonti sostenibili; il 66% degli ingredienti delle formule è biobased, derivati da minerale abbondanti o da processi circolari; il 49% del packaging è in plastica ricaricabile, riutilizzabile, riciclabile o compostabile; il 76% dei rifiuti generati nei siti industriali del Gruppo L’Oréal sono stati recuperati (riutilizzati o riciclati). Dal 2020 al 2024 sono stati stanziati 70 milioni di euro per il fondo 'L’Oréal Fund For Women', grazie ai quali lo scorso anno sono state aiutate più di 2,2 milioni di donne e ragazze nelle loro comunità. Nel 2025, il Gruppo L'Oréal è stato inoltre riconosciuto per la sua leadership nella trasparenza aziendale e nelle performance in materia di cambiamento climatico, foreste e sicurezza idrica dall’organizzazione no-profit ambientale globale Cdp, ottenendo un posto nella prestigiosa 'Lista A' per il nono anno consecutivo. Il Gruppo L’Oréal rimane l’unica azienda ad aver ottenuto questo riconoscimento per nove anni consecutivi.