INFORMAZIONIAssociazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre CGIA Industria, Commercio e Artigianato Ruolo: Responsabile Ufficio Stampa Area: Communication Management Paolo Zabeo |
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(Adnkronos) - Entro il 2050, il trend di denatalità potrebbe portare ad una riduzione del Pil di quasi un punto percentuale annuo, con una perdita cumulata di 482 miliardi di euro. È il dato stimato più rilevante emerso dallo studio 'Valutazione dell’effetto dell’incremento della natalità sulla sostenibilità dell’attuale sistema di welfare' realizzato da Spher-Social and Public Health Economic Research, presentato oggi all’evento istituzionale 'Denatalità e sostenibilità del sistema di welfare', con la segreteria organizzativa di Cencora Pharmalex in collaborazione con Spher-Social and Public Health Economic Research e il contributo non condizionato di Organon. "Dal modello - afferma Paolo Sciattella, Ceis-EeHta, Facoltà di Economia, Università di Roma Tor Vergata - emerge che, nel lungo periodo, potremmo assistere ad una perdita economica cumulata derivante dalla ridotta natalità superiore ai 482 miliardi di euro entro il 2050, nello scenario più pessimistico che prevede di raggiungere in tale lasso di tempo un tasso di fertilità totale di 1,02. Una piena implementazione della Pma a livello nazionale, come previsto dai Lea", Livelli essenziali di assistenza, "potrebbe portare, invece, a un incremento della natalità, raggiungendo quota 1,39 di tasso di fecondità totale, tale da invertire il trend allarmante di decrescita, generando benefici fiscali fino a 263 miliardi di euro". Per assicurare, nel prossimo futuro, "un’adeguata assistenza sanitaria ai cittadini - aggiunge Francesco Saverio Mennini, capo dipartimento della Programmazione, dei dispositivi medici, del farmaco e delle politiche in favore del Ssn, ministero della Salute - occorre, come si sta facendo, investire in maniera efficiente in sanità, con un piano finanziario stabile e programmatico fondato su innovazione, programmazione, governance e sostenibilità. L’inserimento della Pma nei Lea è andato in questa direzione, con l’obiettivo di abbattere le differenze territoriali e garantire equo accesso a tutte le coppie. L’aumentato ricorso alla Procreazione medicalmente assistita (Pma), come evidenziato dallo studio presentato oggi, può concorrere a ridurre il declino demografico, a garantire efficienza al sistema di welfare contribuendo alla stabilità economica dell’Italia nel lungo termine". In Italia, le tecniche di Pma approvate comprendono l'inseminazione intrauterina, la fecondazione in vitro e l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo. "Le tecniche di Pma sono efficaci strategie per combattere l’infertilità e hanno lo scopo di aiutare le coppie quando il concepimento spontaneo risulta difficile o impossibile – sottolinea Nicola Colacurci, già professore ordinario di Ginecologia, seconda Università di Napoli. – È a tutti gli effetti un valido strumento con il quale oggi possiamo assistere quelle coppie che, nonostante rapporti sessuali mirati e non protetti, terapie mediche o chirurgiche o procedure di I livello non hanno ancora ottenuto la gravidanza. L'estensione dei Lea a procedure di preservazione della fertilità sarebbe un importante ulteriore strumento da mettere in campo nella lotta alla denatalità, come anche ottimizzare il percorso nascita per assicurare la massima presa in carico della donna, non solo nel suo desiderio di gravidanza, ma anche in gravidanza e nei primi mille giorni di vita del bambino". Secondo Rocco Rago, direttore dipartimento Materno infantile e della Salute della donna Asl Roma 2, direttore Centro Pma regionale Ospedale Sandro Pertini, la Pma "rappresenta una risposta concreta e strutturale alla crisi della natalità in Italia. I dati parlano chiaro: nel 2024 si contano appena 370 mila nuovi nati, a conferma che i tradizionali bonus da soli non sono sufficienti ad invertire la tendenza. Se confrontiamo i dati Istat relativi alle nascite totali con i dati del Registro Pma- Istituto superiore di sanità, assistiamo a una decrescita costante di nuovi nati ma con un costante aumento delle nascite da Pma (4,3% del totale). Un accesso uniforme ed equo alla Pma, come stabilito dai nuovi Lea - permetterebbe a molte coppie che già hanno maturato la volontà di avere un figlio, di realizzare il proprio desiderio di famiglia, superando anche gli ostacoli economici oggi ancora troppo presenti". Quando tutte le Regioni adotteranno i Lea, "la Pma potrà contribuire fino al 7% delle nuove nascite, allineando l'Italia alla media europea e rafforzando concretamente il nostro sistema di welfare". Negli ultimi vent’anni, in Italia il numero di cicli di trattamento con Pma così come i tassi di gravidanza sono raddoppiati. Oltre 217mila bambini sono nati con queste tecniche: nel 2022 sono stati il 4,3% della popolazione generale, pari a 16.718 nascite. Ad essere prevalentemente coinvolte sono le donne di età superiore ai 40 anni, per le quali circa 1 nascita su 5 è avvenuta tramite Pma. Si tratta di "promuovere una vera e propria educazione alla fertilità e un impegno concreto nella prevenzione e nella terapia dell’infertilità – spiega Maria Rosaria Campitiello, capo dipartimento della Prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie, ministero della Salute – Sono argomenti profondamente legati a una delle sfide più urgenti che il nostro Paese si trova ad affrontare: il contrasto alla denatalità. Secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, in Italia si è registrata una riduzione del 2,6% delle nascite in un solo anno. Affrontare apertamente questi temi è quindi fondamentale per costruire una cultura della prevenzione, del sostegno alla genitorialità e della salute riproduttiva - rimarca - Come dipartimento, crediamo sia indispensabile promuovere un approccio integrato alla salute della donna a 360 gradi, che valorizzi e tuteli la fertilità in modo consapevole e lungimirante". La Pma "non deve essere un privilegio, ma un diritto legato alla libertà di scelta e al desiderio legittimo di costruire una famiglia – aggiunge Antonello Aurigemma, presidente del Consiglio Regionale del Lazio. – I nuovi Lea in fertilità hanno reso più sostenibile a livello economico l’accesso alla Pma e i dati presentati oggi ci dimostrano come un aumentato ricorso alle tecniche di fecondazione assistita potrebbe contribuire al benessere del nostro Paese. Nel Lazio siamo partiti subito e abbiamo già reso operativa una rete per garantire la continuità dell’assistenza, l’accesso di prossimità e la disponibilità di Centri Pma a sostegno delle coppie sull'intero territorio regionale". Il contrasto alla denatalità richiede interventi coordinati e multisettoriali e passa attraverso visioni e finalità comuni e alleanze tra Istituzioni, società e mondo delle imprese. "L’impegno di Organon è quello di dare risposta ai bisogni di salute delle donne – conclude Kevin Ali, Ceo Organon – Per questo cerchiamo di favorire il dialogo sulla fertilità e la Pma, e generare evidenze che possano aiutare le istituzioni competenti a prendere decisioni consapevoli. La denatalità in Italia, e nel mondo, è una sfida complessa che richiede soluzioni olistiche, un impegno a lungo termine e sforzi coordinati tra i diversi settori. In Organon crediamo fortemente nel valore delle alleanze e ci impegniamo nell’offrire il nostro contributo per rilanciare la natalità e assicurare un futuro prospero alle generazioni che verranno".
(Adnkronos) - Si informano scegliendo gli strumenti digitali che hanno a portata di mano (social media e motori di ricerca) ma in realtà si fidano di più di giornali e telegiornali. Considerano importante l’informazione (68,4%) ma poi la maggioranza dedica meno di mezz’ora al giorno (63,5%) a scoprire cosa succede in Italia e nel mondo. Ammettono però, 8 su 10, di avere difficoltà a capire se una notizia è vera o falsa. Questo il quadro che emerge dalla ricerca demoscopica "Senza filtri: l’informazione nell’epoca della disintermediazione tra opportunità e caos" condotta a maggio 2025 da AstraRicerche su un campione rappresentativo della popolazione italiana (1.023 interviste su un campione 18-70enni residenti in Italia). Dall'indagine, promossa dall'Istituto nazionale per la comunicazione (Inc), emerge che la maggior parte degli intervistati (63,5%) dedica meno di 30 minuti al giorno all'informazione, con un 30,5% che si limita a 20 minuti o meno. Solo il 13,4% degli italiani si informa per un'ora o più. La Tv si conferma il mezzo più utilizzato regolarmente dagli italiani (70,8%), seguita da familiari, amici e conoscenti (61,6%), dai social network (60,0%) e dagli strumenti di messaggistica con canali dedicati (57,1% - un ‘salto’ in avanti enorme).Gli aggregatori di notizie (46,5%) e i siti/portali internet (42,6%) sono ampiamente utilizzati, superando in diffusione i quotidiani (40,4%) e i periodici/riviste (29,7%), sia cartacei sia online. I podcast e i video, sebbene in crescita (38,1%), non raggiungono ancora la radio (43,7%) e sono sempre più percepiti come intrattenimento a discapito dell’informazione. Quando si tratta di affidabilità, emerge un quadro più complesso. La Tv (42,3%) e i quotidiani (40,8%) sono considerati i più attendibili, quasi a pari merito. I familiari, amici e conoscenti, pur essendo una fonte ampiamente utilizzata, sono ritenuti affidabili solo dal 29% degli intervistati, allineandosi a siti e portali Internet (29,4%) e aggregatori di notizie (29,4%). La percezione di affidabilità di una notizia è fortemente legata a chi la diffonde e a come viene presentata. La maggioranza degli intervistati (45,7%) ritiene più affidabile una notizia data da un divulgatore non giornalista (scienziati, ricercatori, docenti), superando di poco i giornalisti (41,7%) segno di una crescente ricerca di competenze (vere o presunte) e autorevolezza specifiche. In netta minoranza si trovano influencer, youtuber, tiktoker (8,2%) e personaggi pubblici (17,6%). In mezzo alla classifica i rappresentanti delle Istituzioni e i politici (25.6%). La preoccupazione per le fake news è piuttosto diffusa: alla maggioranza degli intervistati capita di leggere una notizia e pensare che possa essere falsa (59,5% a volte, 24,2% spesso). La difficoltà nel capire se una notizia è falsa è percepita come media (così così per il 41,7%, abbastanza 34,2%, solo il 6,9% lo considera molto difficile). In sintesi, solo 4 su 10 ritengono che sia molto o abbastanza difficile. Un'alta percentuale di italiani (83,8%) ammette di aver creduto a notizie false in passato (10,3% più volte e 73,5% qualche volta). Un dato significativo è che il 42% ha condiviso notizie poi rivelatesi false. Di fronte a una notizia che smentisce le proprie convinzioni, la maggioranza tende ad approfondire e verificare con altre fonti, sia che la notizia provenga da giornalisti (64,9%) che da influencer (66,2%). Tuttavia, c'è una netta differenza nella reazione iniziale: se la notizia viene da un giornalista, solo il 7,1% tende a pensare che sia falsa, mentre questa percentuale sale al 24,5% se la fonte è un influencer. Sull'influenza e il controllo dell'informazione, la percezione è che i poteri economici (60,9%) e politici italiani (60,5%) siano i principali responsabili della diffusione di notizie "di parte" o fake news, seguiti dagli interessi delle piattaforme social (55,9%) e dai poteri politici esteri (55,8%). Come emerge dall'indagine, c'è una chiara richiesta di maggiore regolamentazione per tutti i comunicatori online: il 62,3% ritiene che le regole deontologiche dei giornalisti dovrebbero essere applicate a chiunque comunichi sui mezzi di informazione. Tuttavia, quasi la metà (50,1%) crede che anche molti giornalisti non rispettino tali regole. Il controllo delle fake news da parte delle piattaforme è un tema caldo. Il 65,0% degli intervistati ritiene che il gruppo di persone che controlla le notizie dovrebbe essere scelto senza preconcetti, e il 60,8% vede un rischio nel controllo basato solo sugli utenti. Interessante è la percezione di chi determina il flusso delle informazioni online: i giornalisti e i media tradizionali (45,1%) sono ancora visti come i principali attori, seguiti a ruota dalle piattaforme con i loro algoritmi (43,8%). Meno influenti in questo senso i cittadini che condividono contenuti sui social networks (28,0%), istituzioni e governi (27,1%) e – ancor meno - influencer e creator (16,5%). La maggior parte degli utenti (70,0%) è consapevole che siti e portali online mostrano notizie personalizzate in base alle loro abitudini. Questo è percepito come un rischio - sia perché tende a confermare le opinioni preesistenti degli utenti (59,9%) sia perché limita l'ampliamento degli interessi (61,8%) - più che un aiuto nel trovare le notizie rilevanti per loro senza fatica (40,7%). Infine, anche l'introduzione dell'Intelligenza Artificiale nella sintesi delle notizie è vista più come un rischio che come un aiuto: prevalgono i timori di informazioni non corrette (58,4%) e di una minore sollecitazione alla verifica delle fonti (57,0%), rispetto all’aiuto dato agli utenti (37,9%). “La ricerca offre spunti di riflessione cruciali - afferma Pasquale De Palma, presidente e amministratore delegato di Inc - anche per le strategie di comunicazione di brand e organizzazioni. Perché in un mondo dove tante persone trovano difficoltà a distinguere le notizie vere da quelle false, il rischio che una fake news, alimentata da algoritmi, intelligenze artificiali e condivisioni inconsapevoli, possa danneggiare la reputazione di un’azienda o di una Ngo, è reale e tangibile. Ed è un rischio che va gestito con attenzione e professionalità”. “Bisogna anche avere il coraggio di dire che la disintermediazione oggi è un rischio per le democrazie, fortemente voluta da poteri politici ed economici e dagli interessi delle piattaforme social, che la guidano e la alimentano, sempre perseguendo un interesse personale che non coincide con la verità” commenta Paolo Mattei, vice presidente di Inc, che ha coordinato il gruppo di lavoro sulla ricerca.
(Adnkronos) - Si è svolto oggi presso Ibm Studios di Milano 'Insieme per un impatto positivo', l’evento organizzato da Bolton, Wwf e Oxfam per raccontare i risultati concreti raggiunti nell’ambito delle partnership trasformative per una pesca più sostenibile, per la salvaguardia degli oceani e per la tutela dei diritti umani lungo tutta la filiera produttiva. L’evento è stato anche l’occasione per annunciare il rinnovo delle due partnership fino al 2028, con nuovi obiettivi. “Oggi un’azienda che vuole agire la sostenibilità in maniera concreta, affrontandola in tutte le sue dimensioni, deve assumersi la responsabilità del proprio impatto: non solo migliorare le proprie performance, ma contribuire attivamente a un cambiamento più ampio e sistemico - commenta Luca Alemanno, Ceo Bolton Food - Per Bolton, la sostenibilità è parte integrante del modo di fare impresa, sostenuto da una visione che guarda al lungo termine, alla solidità dei valori, alla creazione di valore che duri nel tempo”. “Le grandi sfide ambientali che il Pianeta si trova ad affrontare richiedono risposte immediate, coraggiose e, soprattutto, collettive. Come Wwf, crediamo da sempre nel valore di collaborazioni strategiche con il mondo delle imprese, a patto che siano fondate su impegni concreti e misurabili”, commenta Alessandra Prampolini, direttrice generale Wwf Italia. “In un mondo segnato da disuguaglianze crescenti, è indispensabile che le imprese assumano un ruolo attivo nella promozione dei diritti umani, dell’equità e dell’inclusione lungo le proprie filiere”, dichiara Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia. L’IMPEGNO PER UNA PESCA SOSTENIBILE E LA TUTELA DEGLI OCEANI - Il rinnovo per la terza volta consecutiva e per i prossimi 4 anni della partnership tra Wwf e Bolton con la sua Business Unit Food (in cui rientrano marchi come Rio Mare e Saupiquet) sancisce una delle collaborazioni più avanzate e durature tra un’azienda e una Ong internazionale all’interno del settore ittico. Il percorso, iniziato nel 2017, ha previsto in primo luogo lo sviluppo di una roadmap per rendere tutta la catena di approvvigionamento più sostenibile. Nel 2024 il 99,7% degli approvvigionamenti di tonno dell’azienda proviene da fonti responsabili, ovvero da attività di pesca certificate Msc (Marine Stewardship Council) o da progetti di miglioramento della pesca (Fip - Fishery Improvement Projects) credibili e robusti. Sono state anche condotte attività di advocacy verso decision maker e istituzioni a livello globale che si occupano della gestione degli oceani e delle attività di pesca per spingerli a mettere in atto azioni concrete di tutela della salute degli stock di tonno e per il miglioramento della tracciabilità, della trasparenza e della conservazione dei mari. Inoltre, oggi il 100% dei prodotti a base tonno a marchio Rio Mare e Saupiquet è completamente tracciabile 'dal mare alla tavola', con informazioni condivise in tempo reale con i consumatori. A partire dal 2018 sono state portate avanti anche attività di comunicazione e sensibilizzazione rivolte ai consumatori, attraverso l’iniziativa 'Insieme per gli oceani' che ha coinvolto 11 Paesi, ed è diventata in Italia anche un progetto educativo, approvato dal Mim (ministero dell’Istruzione e del Merito) che ha raggiunto in 6 anni il 70% delle scuole elementari italiane. Infine, sono state supportate iniziative di conservazione e tutela della biodiversità, tra cui un progetto a tutela di 8mila ettari di foreste di mangrovie in Ecuador. Nei prossimi 4 anni sarà ampliato il perimetro della partnership coinvolgendo non solo il tonno utilizzato per i brand dell’azienda, ma tutto il tonno di cui Bolton si approvvigiona, passando da circa 130mila a 700mila tonnellate annue. Questo permetterà di migliorare la sostenibilità di circa il 12% del tonno pescato a livello mondiale. Per quanto riguarda l’approvvigionamento sostenibile, l’azienda si impegna ad avere entro il 2028 almeno il 95% del tonno che acquista in linea con i nuovi sustainable fisheries criteria stabiliti nella partnership. Questi criteri si basano sui più alti standard internazionali già esistenti (come la certificazione Msc o le misure di conservazione della Issf - International Seafood Sustainability Foundation) e riguarderanno la salute e l'abbondanza degli stock e la loro gestione responsabile. L’ambizione è quella di poter realizzare un modello di riferimento che sia anche un patrimonio per il miglioramento di tutta la industry. Inoltre, entro il 2030, Bolton mira ad avere il 100% del tonno Rio Mare proveniente esclusivamente da attività di pesca certificate Msc. L’IMPEGNO PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI LUNGO LA FILIERA - Nel corso della collaborazione Bolton e Oxfam hanno lavorato insieme per analizzare le politiche aziendali in tema di tutela dei diritti umani per poterle migliorare e rafforzare. Durante i 4 anni di lavoro insieme è stato anche valutato l'impatto sui diritti umani in tre delle principali catene di approvvigionamento del tonno di Bolton: Ecuador, Marocco e Colombia (in corso), attraverso la metodologia dello Human Rights Impact Assessment - (Hria) di Oxfam. Parte fondamentale delle attività legate agli assessment è lo sviluppo e l'implementazione di piani di azione triennali volti a prevenire, mitigare e rimediare agli impatti reali e potenziali identificati da Oxfam. Per continuare a guidare questo cambiamento, Oxfam e Bolton rinnovano la collaborazione per i prossimi 4 anni (2025-2028) con l’obiettivo di proseguire il percorso di analisi attraverso lo Human Rights Impact Assessment in altre geografie estremamente rilevanti per Bolton, come per esempio l’Indonesia. Inoltre Oxfam continuerà a supportare Bolton nell’implementazione dei piani d’azione sviluppati nei paesi già analizzati (Ecuador, Marocco e Colombia), in cui rientrano il tema dell'uguaglianza di genere e la diversità, la promozione della libertà di associazione, l’accesso ai meccanismi di reclamo e rimedio e il salario dignitoso (living wage). Inoltre, Bolton continuerà ad implementare il proprio sistema di due diligence, sviluppato con il supporto di Oxfam, con l’obiettivo di verificare e monitorare il rispetto delle proprie policy lungo tutta la catena di fornitura. In ultimo, Oxfam accompagnerà l’azienda al fine di cogliere opportunità di advocacy pubblica che possano spingere l’intero settore ad abbracciare questo nuovo corso della sostenibilità sociale e della tutela dei diritti umani nelle filiere globali.