(Adnkronos) - Dalla modesta tranquillità dell'Adelaide Cottage all'imponente Fort Belvedere: sembra che il principe William e la principessa Catherine Middleton siano davvero intenzionati a cambiar casa. Secondo il Mail on Sunday, lascerebbero il troppo piccolo (per gli standard reali) rifugio nel parco del Castello di Windsor, dove hanno cresciuto i loro figli, per trasferirsi in una residenza più grande. Secondo alcune fonti, un'opzione potrebbe essere la magnifica dimora in stile neogotico situata in un angolo nascosto del Windsor Great Park. Fort Belvedere va ben oltre le quattro camere da letto della casa dove i Galles hanno abitato finora: costruito nel XVIII secolo, divenne la residenza preferita di Edoardo VIII, che visse lì prima di diventare monarca e dopo aver abdicato per sposare Wallis Simpson. Fu qui che firmò i documenti che sancirono la sua abdicazione nel 1936. La vasta proprietà è immersa in quasi 24 ettari di terreno e dispone di una piscina all'aperto e di un campo da tennis, dotazioni particolarmente attraenti per Kate e per la figlia Charlotte. Nota come The Fort, la casa di campagna comprende anche un roseto, un giardino recintato, un orto, una grande serra, scuderie, due laghi, recinti e tre cottage per il personale. "Sentono che l'Adelaide Cottage è diventato troppo piccolo per loro e hanno bisogno di un posto più grande - ha dichiarato una fonte al tabloid britannico - Questa è la nuova casa perfetta per loro. Ha una piscina e un campo da tennis, e Charlotte adora giocare a tennis". Il ministero degli Interni ha precisato che, nonostante la coppia reale stia valutando alcune opzioni, non è prevista alcuna decisione imminente. Non molto tempo fa si era parlato di un possibile trasferimento di William e Kate al Royal Lodge, la villa di 30 stanze a Windsor dove vive il principe Andrea, ma quest'ultimo ha resistito alle pressioni del re di andarsene. A ogni modo, i principi di Galles sono particolarmente legati all'Adelaide Cottage, dove si sono trasferiti da Kensington Palace nell'agosto 2022, insieme ai figli George, Charlotte e Louis. La proprietà si trova a dieci minuti a piedi dal Castello di Windsor e a breve distanza in auto dalla Lambrook School, frequentata dai tre bambini. Il loro trasferimento coincise con un periodo difficile per la famiglia reale: la regina Elisabetta morì al castello di Balmoral solo poche settimane dopo. L'Adelaide Cottage ha inoltre offerto a Kate un ambiente privato e tranquillo durante la convalescenza dopo la chemioterapia, seguita alla diagnosi di cancro dell'anno scorso. Il trasferimento in una proprietà più grande segnerebbe dunque un nuovo capitolo per la famiglia. La coppia sta valutando quale scuola superiore scegliere per il principe George e si ritiene che la vicina Eton sia la favorita. Si dice che William e Kate diano grande importanza alla privacy e all'ambiente rurale, due requisiti che continuerebbero a mantenere se si trasferissero a The Fort. Edoardo VIII salvò l'edificio dal degrado e vi fece installare una piscina, un campo da tennis e persino un bagno turco. Originariamente era una villa con 30-40 stanze, ma sembra che oggi vi siano 'soltanto' otto camere da letto. In ogni caso, il doppio delle stanze della casa dove i Galles vivono attualmente.
(Adnkronos) - L’accelerazione tecnologica che ha investito il mondo del lavoro negli ultimi anni non è solo un'opportunità: è una sfida sistemica. Secondo il Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum, entro il 2030 il 39% delle competenze lavorative subirà cambiamenti radicali o diventerà obsoleto. Eppure, nonostante questo scenario trasformativo, quasi 4 aziende su 10 non hanno una strategia chiara per affrontare il divario di competenze. Un disallineamento pericoloso e mentre l’intelligenza artificiale, l’automazione e i big data ridisegnano ruoli e funzioni, resta indietro un elemento cruciale: la cultura organizzativa. Molte organizzazioni faticano a conoscere e valorizzare le competenze reali delle proprie persone. Nel contesto di una digitalizzazione crescente, la narrazione dominante tende infatti a promuovere un’immagine dell’intelligenza artificiale come mezzo per creare dipendenti 'super efficienti' e privi di difetti. “La vera rivoluzione non è far diventare le persone 'perfette', ma renderle più consapevoli, libere di sbagliare, ascoltate e guidate da una leadership che sa evolversi. Non superuomini digitali, ma professionisti umani, con punti di forza e margini di miglioramento reali”, afferma Giacomo Marchiori, founder di Talentware, piattaforma fondata insieme a Ismet Balihodzic e Andrea Raimondo che permette di gestire un'organizzazione tramite un approccio skill-based, migliorando la talent retention, il decision-making e la performance aziendale. Concetto pienamente condiviso anche da Alessandro Castelli, Senior Hr Lead, Business e Mental Coach, che vanta una lunga esperienza sia in ambito aziendale sia nella consulenza strategica per la gestione e la valorizzazione delle persone. Castelli sottolinea “che lavorare sullo sviluppo delle persone e delle competenze non possa più essere un’iniziativa spot: servono percorsi e alleanze che uniscano aziende, consulenti, accademie e business school, rafforzati da linguaggi capaci di parlare davvero ai giovani, come per esempio lo sport, per costruire un ecosistema culturale capace di far arrivare questi messaggi in modo autentico e generare cambiamento”. Una visione che mette al centro la persona in un mondo sempre più tech-driven. “Il ruolo dell’intelligenza artificiale nelle Hr non è quello di trasformare le persone in superuomini, ma di aiutarle a esprimere il proprio potenziale, valorizzando i loro punti di forza, i margini di miglioramento e le competenze spesso inespresse”, prosegue Marchiori. Alla base di questa visione, Talentware illustra cinque leve strategiche della trasformazione culturale oggi imprescindibili per affrontare il cambiamento innovativo in atto. 1. Ascolto reale (non solo 'attivo'). Molte aziende dichiarano di ascoltare, ma mancano strumenti concreti e continuativi. Il risultato? Giovani in stage che non ricevono feedback, manager che arrivano ai confronti con approcci poco data-driven perché non hanno strumenti adeguati per raccogliere i dati chiave sul dipendente. L’ascolto diventa un esercizio formale, svuotato di efficacia. “Ascoltare davvero - commenta Alessandro Castelli - significa dare continuità alla voce delle persone, non limitarsi a un sondaggio una volta all’anno senza poi mettere in atto azioni concrete”. 2. Errore come crescita, non stigma. In Italia c’è ancora troppa paura di sbagliare, anche ai livelli manageriali. Questo frena le scelte innovative, mentre altri paesi europei (ad esempio, Francia, Spagna, Nordics) sperimentano con coraggio soluzioni tech.Serve cambiare mindset: l’errore è parte del progresso. Non sbaglia chi rischia, sbaglia chi resta fermo. La vera innovazione nasce da una cultura che accetta l’incertezza come terreno fertile per apprendere, migliorare e crescere. È tempo che anche i nostri manager si sentano autorizzati a sperimentare, senza dover prima chiedere 'permesso al passato'. 3. Leadership: più umana, grazie alla tecnologia. Un vero leader oggi delega all’Ai i compiti ripetitivi e si dedica a ciò che conta davvero: ascoltare, motivare, formare. Tecnologia non per sostituire, ma per liberare il potenziale umano. Affidare all’Ai i task operativi non è una perdita di controllo, ma un guadagno di tempo e visione. È in quel tempo riconquistato che la leadership può tornare ad essere relazione, fiducia, cura delle persone. L’Ai gestisce i dati, il leader coltiva il senso. 4. Accademie, formare per il lavoro reale. Le università chiedono visibilità sulle competenze richieste dalle aziende. È il momento di collaborare per costruire corsi aggiornati e coerenti. Meno teoria, più impatto concreto dal primo giorno di lavoro. Le imprese hanno il dovere di essere trasparenti sui bisogni reali, e le accademie la responsabilità di adattare la formazione. Serve un nuovo patto formativo, basato su competenze tangibili, esperienze pratiche e dialogo costante. Il futuro del lavoro comincia in aula, ma solo se l’aula parla il linguaggio del lavoro. 5. Lo sport come leva Hr. Non è solo una metafora, ma una scuola concreta di soft skill: resilienza, concentrazione, spirito di squadra. Integrare sport e cultura organizzativa aiuta ad attrarre, motivare e trattenere le nuove generazioni, soprattutto in un mondo del lavoro sempre più fluido. La vera sfida, dunque, è costruire un’architettura culturale condivisa, che parta dalle persone ma sia guidata dall’intera organizzazione, fino ai vertici. “La trasformazione non si affronta con iniziative spot. Serve un ecosistema culturale che sappia ascoltare, dare senso all’errore, aggiornare la leadership e parlare con i giovani in modo autentico,” avverte Castelli. “Questa evoluzione deve coinvolgere tanto i leader di oggi quanto quelli di domani: significa aiutare i giovani a costruire la propria identità professionale e di leadership, in un contesto che sappia davvero valorizzare competenze e relazioni. Senza questa visione integrata, rischiamo che l’innovazione tecnologica diventi un acceleratore di alienazione”, conclude.
(Adnkronos) - “Il nostro gruppo ha sempre messo al centro la sostenibilità, dal 2013 siamo presenti con diverse emissioni sostenibili. Oggi abbiamo raggiunto il 90% di finanza sostenibile. È una strategia che crediamo possa avere valore anche in futuro e per questo abbiamo voluto portare il nostro programma anche in Italia. Per dare più forza al legame che abbiamo col nostro territorio”. Lo spiega Giovanni Gazza, Chief financial officer di Iren, alla ‘Ring the Bell Ceremony’ organizzata a Palazzo Mezzanotte da Iren per celebrare la costituzione del nuovo Programma Emtn (Euro Medium Term Notes). Iren ha rinnovato il proprio Programma incrementando l’ammontare massimo da 4 a 5 miliardi di euro. Il Prospetto informativo relativo al Programma è stato approvato da Consob e ha ottenuto il giudizio di ammissibilità alla quotazione sul Mercato telematico delle obbligazioni (Mot) da parte di Borsa Italiana. “Siamo una local multiutility e questo rimpatrio si lega perfettamente alla nostra strategia. È un programma importante da 5 miliardi e supporterà i nostri 8 miliardi di investimenti al 2030. Oggi comunichiamo al settore che è possibile rafforzare il legame tra le aziende e il mondo della finanza nazionale” conclude Gazza.