(Adnkronos) - In Italia "mancano almeno 502 pediatri di famiglia e la maggior parte delle carenze si concentra in tre grandi Regioni del Nord: Lombardia, Piemonte e Veneto. In alcune aree si supera il massimale di 1.000 assistiti per pediatra mentre entro il 2028 ne andranno in pensione 2.598". Lo evidenzia l'ultimo report della Fondazione Gimbe. Secondo il sito del ministero della Salute, il pediatra di libera scelta (Pls) – cosidetto pediatra di famiglia – è il medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi di età compresa tra 0 e 13 anni. Ad ogni bambino, sin dalla nascita, deve essere assegnato un pediatra di libera scelta per accedere a servizi e prestazioni inclusi nei Livelli essenziali di assistenza garantiti dal Servizio sanitario nazionale (Ssn). "Le segnalazioni sulla difficoltà di accesso al Pls – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – arrivano oggi da tutte le Regioni, evidenziando criticità ricorrenti: complessità burocratiche, carenza di risposte da parte delle Aziende Sanitarie Locali (Asl), pediatri con un numero elevato di assistiti e impossibilità, per molte famiglie, di iscrivere i propri figli a un Pls. Una situazione che genera disagi rilevanti e richiede interventi organizzativi urgenti, per garantire la continuità dell’assistenza pediatrica, soprattutto ai più piccoli e ai più fragili". Per approfondire le cause e le dimensioni del problema, la Fondazione Gimbe ha analizzato dinamiche e criticità che regolano l’inserimento dei Pls nel Ssn, stimando l’entità delle carenze di Pls nelle Regioni italiane. "È importante chiarire – spiega Cartabellotta – due aspetti fondamentali della nostra analisi: innanzitutto, le stime sulle carenze dei Pls sono state effettuate su base regionale, mentre i fabbisogni reali vengono determinati dalle Asl in relazione agli ambiti territoriali carenti; in secondo luogo, non è possibile stimare il ricambio generazionale, perché non è noto quanti nuovi specialisti in pediatria scelgano la carriera di Pls anziché quella ospedaliera". Fasce di età. Sino al compimento del sesto anno di età, i bambini devono per legge essere assistiti da un pediatra di libera scelta (Pls), mentre dai 6 ai 13 anni compresi i genitori possono optare tra il Pls e il medico di medicina generale. Al compimento del 14.esimo anno, l’assistito viene revocato automaticamente, salvo nei casi di patologie croniche o disabilità documentate, per i quali è possibile richiedere una proroga fino al compimento del 16.esimo anno. Secondo i dati Istat, al primo gennaio 2024 la fascia 0-5 anni (iscrizione obbligatoria al Pls) comprendeva quasi 2,5 milioni di bambini, mentre nella fascia 6-13 anni rientravano oltre 4,1 milioni di minori, che potrebbero essere iscritti al Pls o al medico di medicina generale secondo le preferenze dei genitori o, soprattutto, in base alle disponibilità locali di Pls o medici di famiglia. Il progressivo calo delle nascite sta modificando in modo significativo la platea di assistiti dei Pls. I dati Istat documentano una costante riduzione dei bambini della fascia 0-5 anni, per la quale l’iscrizione al Pls è obbligatoria: tra il 1 gennaio 2019 e il 1 gennaio 2025 si contano circa 430 mila potenziali assistiti in meno per pediatri. "Di conseguenza nello stesso periodo – osserva il presidente – il crollo delle nascite ha ridotto, su scala nazionale, il fabbisogno di Pls di oltre 500 unità in soli 6 anni". Ambiti territoriali carenti. "L’inserimento di nuovi Pls nel Ssn avviene previa identificazione da parte della Regione – o di un soggetto da essa individuato – degli ambiti territoriali carenti, ovvero le zone dove è necessario colmare un fabbisogno assistenziale e garantire una distribuzione capillare degli studi dei Pls sul territorio. Secondo quanto stabilito dall’ultimo Acn - ricostruisce Gimbe - la carenza viene calcolata sulla base di un rapporto ottimale di 1 pediatra ogni 850 bambini, o frazione superiore a 450. In particolare, per definire il fabbisogno si sommano tutti i residenti sotto i 14 anni, detraendo quelli della fascia 6-13 anni in carico ai medici di famiglia. In assenza di accordi integrativi regionali, si considera che il 70% della popolazione tra i 6 e i 13 anni possa essere assistita dai Pls. "Sostanzialmente con il nuovo Acn – spiega il Presidente – rientrano nel calcolo del fabbisogno tutti gli assistiti in carico ai Pls anche quelli della fascia 6-13 anni che in precedenza ne erano esclusi. Questo consente di parametrare correttamente il numero dei Pls rispetto alla popolazione effettivamente assistita". Pensionamenti. Secondo i dati 2024 forniti dalla Federazione italiana dei medici pediatri (Fimp), tra il 2024 e il 2028 andranno in pensione 2.598 pediatri di libera scelta, avendo raggiunto il limite massimo di età previsto, pari a 70 anni (salvo deroghe): dai 333 pediatri di libera scelta del Lazio a 3 in Valle d’Aosta. Il numero di borse di studio per la scuola di specializzazione in pediatria, rimasto stabile per un decennio, ha registrato un incremento significativo negli ultimi 6 anni: da 496 borse nell’anno accademico 2017-2018 a 853 nel 2023-2024, con un picco di 973 nell’anno accademico 2020-2021. "Tuttavia – osserva Cartabellotta – considerato che gli specialisti in pediatria possono intraprendere anche la carriera ospedaliera, non è possibile prevedere quanti sceglieranno effettivamente di diventare Pls. Di conseguenza resta incerto se le nuove leve riusciranno a garantire un ricambio generazionale adeguato e uniforme in tutte le Regioni, oltre che colmare le attuali carenze". Secondo l’Annuario Statistico del Ssn 2023, pubblicato dal ministero della Salute, nel 2023 i Pls in attività erano 6.706, ovvero 702 in meno rispetto al 2019 (-9,5%). "Una riduzione - commenta Cartabellotta – solo in parte compensata dal calo demografico". A preoccupare è anche il progressivo invecchiamento della categoria: la quota di pediatri di libera scelta con oltre 23 anni di specializzazione è passata dal 39% nel 2009 al 77% nel 2023, segno di un ricambio generazionale sempre più rallentato. Numero di assistiti per Pls. Secondo le rilevazioni della Struttura interregionale sanitari convenzionati (Sisac), al primo gennaio 2024 risultavano attivi 6.484 pediatri di libera scelta, con in carico oltre 5,8 milioni di assistiti: il 42,5% nella fascia 0-5 anni (2,48 milioni) e il 57,5% nella fascia 6-13 anni (3,35 milioni). Complessivamente, l’81,2% della popolazione Istat tra 6 e 13 anni risulta seguita da un Pls, con marcate differenze regionali: dal 92,6% della Liguria al 60,7% della Sardegna. In termini assoluti, la media nazionale è di 900 assistiti per Pls: superano il massimale di 1.000 assistiti la Provincia Autonoma di Bolzano (1.139), il Piemonte (1.119) e il Veneto (1.008) (figura 5). "Con un simile livello di saturazione – spiega Cartabellotta – il principio della libera scelta viene spesso ostacolato: in molte aree del Paese diventa difficile, se non impossibile, trovare un pediatra disponibile, sia nelle zone interne o periferiche, sia nei grandi centri urbani. In altre parole, la situazione reale è spesso più critica di quanto lascino intendere i numeri". Stima della carenza di pediatri di libera scelta al primo gennaio 2024. "Tutte le criticità fin qui evidenziate – spiega Cartabellotta – permettono soltanto di stimare il fabbisogno di pediatri di libera scelta a livello regionale, poiché l’individuazione delle zone carenti da parte delle Asl dipende da molteplici variabili locali". Se l’obiettivo è garantire la qualità dell’assistenza, una distribuzione capillare coerente con la densità abitativa, la prossimità degli ambulatori e il diritto alla libera scelta, non è corretto stimare il fabbisogno di Pls facendo riferimento al massimale con deroga. Per questo motivo la Fondazione Gimbe, adottando il rapporto ottimale di 1 Pls ogni 850 assistiti e utilizzando le rilevazioni Sisac al 1° gennaio 2024, stima una carenza complessiva di 502 Pls, con forti squilibri regionali. Infatti, il 75,7% delle carenze si concentra in 3 sole grandi Regioni del Nord: Lombardia (180), Piemonte (108), Veneto (93). Al contrario, in 9 Regioni (Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Umbria) non si rileva alcuna carenza, poiché la media di assistiti per Pls è inferiore a 850. "In realtà – precisa Cartabellotta – è necessario considerare due aspetti fondamentali. Anzitutto, l’ultimo Acn ha innalzato il rapporto ottimale da 600 a 850, 'assorbendo' di fatto una quota consistente delle carenze registrate al primo gennaio 2023. In secondo luogo, una stima su base regionale non intercetta le carenze localizzate, che si manifestano in territori a bassa densità abitativa, zone disagiate, aree montane". "Nonostante il calo delle nascite – spiega Cartabellotta – alcune grandi Regioni del Nord, come Lombardia, Piemonte e Veneto, registrano carenze rilevanti di Pls in termini assoluti. Al di là dei numeri, però, la distribuzione capillare sul territorio resta fortemente influenzata da variabili locali non sempre prevedibili. Per un’adeguata programmazione del fabbisogno è indispensabile che ogni Regione disponga di stime accurate sul numero di pediatri che intraprendono effettivamente la carriera di Pls, integrate con le proiezioni Istat sulla denatalità. Ma non basta: servono modelli organizzativi orientati al lavoro in team e una piena attuazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal Pnrr (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), accompagnata da accordi sindacali coerenti con gli obiettivi di ricambio generazionale e distribuzione capillare dei Pls, come indicato negli stessi atti di indirizzo. Perché guardando ai pensionamenti attesi, nonostante il calo delle nascite, non è affatto scontato che le nuove generazioni di Pls siano sufficienti a garantire il ricambio, né tantomeno a colmare le carenze attuali, che rischiano di aggravarsi ulteriormente, in particolare nelle aree più periferiche".
(Adnkronos) - “Il 30 giugno la Regione Emilia-Romagna ha varato l’ordinanza che determina lo stop all’attività lavorativa in esterno nelle ore calde. Mentre la normativa entrava in vigore, Ait El Hajjam Brahim, quarantasettenne titolare dell’impresa 'Veneto pavimenti Sas' di Treviso si accasciava al suolo stendendo il calcestruzzo nel parcheggio di una scuola in provincia di Bologna lasciando orfani 3 figli e vedova la moglie. Il Veneto ha emanato il decreto che mira a tutelare la salute dei lavoratori che svolgono attività all’aperto nella giornata di ieri. Sempre in Veneto e sempre ieri, precisamente a Tezze sul Brenta (Vicenza), intorno alle ore 15.00 due operai sono stati colti da malore mentre lavoravano dentro una buca. Uno dei due è in coma all’Ospedale di Bassano del Grappa. Ad oggi sono 13 le Regioni italiane che hanno consentito l’entrata in vigore delle norme anti-calore: Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Abruzzo, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Le vittime citate sono solo le ultime in ordine cronologico ma invito tutti a riflettere su quanti, in questo momento, continuino a lavorare nei campi del nostro Paese sottotraccia, nella voragine silenziosa del sommerso". Lo dice all'Adnkronos/Labitalia il presidente nazionale Anmil, Antonio Di Bella, commentando l'entrata in vigore delle norme anti calore "Morire sul lavoro - sottolinea - è un dramma che mai troverà giustificazione. Una notizia, un moto di denuncia che, con cadenza giornaliera, anima l’indignazione e la protesta di quanti, come Anmil, lottano ogni giorno per porre fine alla strage. Invito ancora tutti a riflettere sul fatto che dietro le vittime accertate dalla cronaca, oltre al silenzio destinato al mondo del sommerso, esiste ancora un altro tipo di silenzio: quello relativo a quanti, a causa dell’esposizione ad agenti altamente nocivi – quali le temperature altissime che sentiamo sulla nostra pelle in questi giorni – contraggono malattie professionali tra le più lesive". "Come Associazione - avverte - che da oltre 80 anni tutela le vittime degli incidenti sul lavoro e i loro superstiti, non smetteremo mai di ribadire quanto le normative anti-caldo dovrebbero diventare un automatismo all’arrivo della stagione estiva, scrivendo – una volta per tutte – un piano strutturale". "Com’è possibile si chiede il presidente Di Bella - che lo scorso 27 giugno, solo per citare un esempio, non fosse in vigore alcuna normativa in una Regione come la Sardegna che, in alcune zone, ha raggiunto picchi di 41°? Sono settimane che il termine 'bollino rosso' è tornato a troneggiare in quotidiani e telegiornali". "E ancora - aggiunge - la fascia oraria di stop lavorativo più largamente diffusa, quella tra le ore 12.30 e le ore 16.00, si ritiene realmente efficace? Crediamo, invece, che una norma che consenta il ricorso agli ammortizzatori sociali per i dipendenti delle realtà che operano in esterno nel periodo estivo rappresenti un atto doveroso per favoreggiare la rapidità dell’attuazione di questi meccanismi di prevenzione e di tutela della salute dei lavoratori sostenendo il lavoro delle aziende". "In serata - ricorda - il ministro Calderone ha convocato le parti sociali per la sottoscrizione di un 'protocollo caldo' contenente misure di attenzione per i lavoratori esposti ad alte temperature. Un atto necessario e doveroso ma che arriva con un ritardo che uccide".
(Adnkronos) - La transizione ecologica è un pilastro centrale per l’economia italiana. Fa bene all’ambiente, al clima, alle aziende, all’occupazione e fa risparmiare i cittadini. La conferma arriva dal nuovo sondaggio Ipsos “L’Italia e la sostenibilità” realizzato per la XII edizione dell'“Ecoforum nazionale sull’economia circolare” di Legambiente, Kyoto Club, Nuova Ecologia e presentato oggi a Roma. Per il 79% degli intervistati la transizione ecologica porta con sé benefici ed elementi positivi. In particolare, per il 34% è fondamentale per la salvaguardia del pianeta; per il 24% è utile per abbassare il costo dell’energia/le bollette per famiglie e imprese; per il 22% è il futuro, le aziende che non lo comprendono prima o poi saranno fuori mercato, e porterà ad avere prodotti migliori, più sicuri per la salute. Resta alta l’attenzione sui green jobs: il 40% degli intervistati ritiene che aumenteranno (la percentuale sale al 61% tra chi conosce l’economia circolare), mentre il 14% pensa che diminuiranno. Sull’energia rinnovabile i cittadini hanno le idee chiare. Per il 47% degli intervistati, il Governo deve incentivare l’impiego delle fonti pulite, mentre per il 36% del campione intervistato le amministrazioni devono semplificare l’iter autorizzativo degli impianti di energie rinnovabili. Il campione boccia pesantemente il ritorno del nucleare in Italia. La stragrande maggioranza del campione, il 91%, non vuole centrali nelle vicinanze: il 39% non le vuole per niente, mentre il 29% le vuole almeno a 100 km di distanza, il 23% ad almeno 50 km. E i potenziali benefici della produzione di energia dall’atomo sarebbero troppo tardivi (per il 37% degli intervistati potrebbero arrivare in 20 anni), mentre il 25% ritiene che non ci saranno mai, perché i costi sono incalcolabili. C’è, infine, una percezione sbagliata sulla leadership italiana a proposito di circolarità delle produzioni. Solo il 16% del campione ritiene giustamente che le prestazioni italiane sull’economia circolare siano superiori alla media europea, mentre il 37% pensa erroneamente che il Paese sia sotto agli standard dell’Europa. L’Ecoforum è stata anche l’occasione per fare tre proposte al Governo Meloni per un Clean Industrial Deal made in Italy davvero competitivo e che metta al centro l’economia circolare. In sintesi, 1) occorre velocizzare gli iter di autorizzazione e realizzazione degli interventi previsti dal PNRR - Missione 2, Componente 1, Misura 1, dalle strutture a servizio del miglioramento della raccolta differenziata agli impianti di riciclo, 2) semplificare l’iter tortuoso di approvazione dei decreti End Of Waste (EOW), fondamentali per garantire il recupero di materie prime seconde in un nuovo ciclo produttivo, inserendo sistemi di consultazione maggiormente accessibili. 3) potenziare i controlli ambientali completando l’approvazione dei decreti attuativi della legge 132 del 2016 che ha istituito il Sistema nazionale di protezione ambientale, per prevenire l’illegalità nel ciclo dei rifiuti e fermare la concorrenza sleale delle aziende furbe nei confronti di quelle rispettose della legge. “L’economia circolare italiana – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - continua a rappresentare un’eccellenza a livello europeo, ed è strategica per lo sviluppo di filiere industriali innovative e competitive. Produzioni circolari, energia da fonti rinnovabili, transizione ecologica sono un motore anche per la nuova occupazione verde e per abbassare la bolletta sempre più pesante per i bilanci di famiglie e imprese. Il sondaggio Ipsos presentato oggi all’Ecoforum dimostra che le cittadine e i cittadini del nostro Paese sono pronti a giocare questa sfida e non ne vogliono sapere di nuove centrali nucleari in Italia. Puntiamo sulle produzioni pulite, senza perdere tempo con soluzioni irrealizzabili e che sono state messe fuori mercato per gli elevati costi. Solo così rafforzeremo le basi del Clean Industrial Deal made in Italy”. "L'economia circolare e più in generale quella che chiamiamo green economy sembrano non godere di buona salute a leggere i giornali, le dichiarazioni di certi politici e persino gli atti della stessa Commissione Europea che dopo avere lanciato il Green Deal ora tentenna e dubita persino di procedere con la Direttiva Green Claims, quella che dovrebbe servire a contrastare il fenomeno del greenwashing. Ma la realtà continua a marciare invece nella direzione giusta: le imprese che partecipano al nostro Forum rappresentano al meglio quel pezzo del sistema economico italiano che ha consentito al nostro Paese di vantare molti record europei in questo settore, quelle imprese che continuano a essere in piena salute, a crescere negli investimenti e nella realizzazione degli impianti necessari per l'economia circolare, a offrire occupazione e attenzione ai territori in cui sono insediate. La migliore dimostrazione che il 'green' non solo fa bene ma conviene anche". Così commenta Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club. Tornando al sondaggio Ipsos, commissionato da Legambiente, Kyoto Club, Conou, Editoriale Nuova Ecologia, per quanto riguarda il corretto smaltimento dei rifiuti, quasi 8 italiani su 10 ritengono che quando cambiano l’olio motore ad un proprio mezzo di trasporto, l’olio usato venga smaltito in modo corretto, portato dal meccanico in un centro di raccolta oppure ritirato da un soggetto autorizzato. Per il 44% del campione l’olio rigenerato ha la stessa qualità di quello ottenuto direttamente dal petrolio. La filiera italiana degli oli minerali usati, rappresentata dal consorzio Conou, conferma la sua leadership nel mercato europeo. Nel 2024 ne sono state raccolte 188mila tonnellate contro le 183mila del 2023 (e le 181mila nel 2022): la rigenerazione si conferma al 98%, in un contesto dove la media Ue si ferma al 61%, con un impatto economico totale pari a 73,4 milioni di euro e un impatto occupazionale pari a 1.850 posti di lavoro. Sul fronte riciclo degli imballaggi, si conferma il primato italiano. Gli ultimi dati Conai sono più che positivi: nel 2024 il riciclo degli imballaggi ha raggiunto il 76,7% dell’immesso sul mercato. La rigenerazione si conferma al 98%, in un contesto dove la media Ue si ferma al 61%, con un impatto economico totale pari a 73,4 milioni di euro e ha dato lavoro a 1.850 persone. “Il rafforzamento dell’economia circolare passa necessariamente da investimenti mirati e da una stretta collaborazione tra imprese, istituzioni, associazioni e cittadini – spiega Fabio Costarella, vicedirettore generale Conai – I risultati del riciclo degli imballaggi in Italia dimostrano che il sistema è solido, ma i prossimi anni saranno decisivi per colmare i divari territoriali e garantire qualità sempre maggiore alle raccolte differenziate. Serve sostenere la diffusione dell’ecodesign e incentivare forme di contributo ambientale modulato che premino la reale riciclabilità degli imballaggi. È necessario, infatti, consolidare i risultati già raggiunti e sostenere con efficacia la competitività industriale italiana in chiave green”. Sul biometano, si sottolinea ancora, è necessario implementare la rete impiantistica in quelle regioni che oggi ancora sono costrette ad esportare i rifiuti organici per mancata capacità di trattamento sul loro territorio; un maggiore investimento in tecnologie innovative per migliorare l'efficienza degli impianti di produzione di biometano; è necessario, inoltre, valorizzare e integrare maggiormente la produzione di compost con la realizzazione di impianti combinati di biometano e compostaggio. Circa il riciclo dei prodotti assorbenti per la persona, si evidenzia che la mancanza di impianti di riciclo specializzati è una delle principali barriere che si sta tentando di colmare in Italia grazie ai fondi del PNRR, ma è importante dare continuità allo sviluppo di queste tecnologie anche dopo la fine del PNRR, prevedendo l’integrazione di nuovi fondi dedicati oltre a quelli già previsti; approvare definitivamente il decreto "end of waste" per permettere agli impianti che si realizzeranno di poter operare fin da subito in maniera coerente con le nuove disposizioni normative; è necessario prevedere un EPR per questo tipo di prodotti (PAP) in maniera da garantire la sostenibilità economica agli operatori del settore, incrementando contestualmente la consapevolezza dei cittadini sull'importanza del riciclo dei pannolini e migliorandone la raccolta differenziata. Quanto alla raccolta dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) "è ancora lontana dagli obiettivi UE, per questo è necessario migliorare la rete di raccolta e degli impianti di trattamento, anche per raggiungere gli obiettivi previsti dal Critical Raw Materials act che punta a soddisfare il 25% del consumo di materie prime critiche a livello europeo da attività di riciclo". Sul riciclo dei materiali tessili, poi, è importante migliorare la tracciabilità dei tessuti e garantire la trasparenza lungo tutta la filiera produttiva; è necessario investire nella formazione per sviluppare competenze specifiche in sostenibilità e innovazione tecnologica; incrementare e diffondere in maniera capillare le pratiche di prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riuso per dare uno sbocco reale all’obbligo di raccolta del tessile da parte dei comuni che ad oggi stenta a decollare. Anche in questo settore, oltre l’implementazione della rete impiantistica occorre quanto prima prevedere un sistema EPR.