(Adnkronos) - Vladimir Putin vuole davvero negoziare con l'Ucraina per porre fine alla guerra? O la sua apertura al dialogo è solo un'altra strategia? Prevale fra gli analisti russi lo scetticismo sulla reale volontà del Cremlino a trattare davvero. La disponibilità colloqui diretti con Kiev annunciata dal Presidente russo nella notte fra sabato e domenica, un'apparente svolta rispetto alla precedente posizione del Cremlino sul 'regime di Kiev' e la non legittimità di Volodymir Zelenzky come interlocutore, è "una trappola diplomatica all'Ucraina e ai suoi alleati europei", come si legge sulla newsletter "The Bell" di Elizaveta Osetinskaya. La giornalista che ha da tempo lasciato la Russia per gli Stati Uniti sottolinea che il capo del Cremlino "è riuscito a non accettare e allo stesso tempo neanche a respingere la proposta" messa a punto a Parigi il mese scorso dai leader di Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia, accettata dagli Stati Uniti. E considera come "improbabile" la partecipazione di Putin a Istanbul dove già nel 2022 Mosca aveva inviato una delegazione. La proposta di Putin "non sembra altro che una buona mossa tattica in un contesto di generale aggravamento" della situazione. Putin "non sta riconsiderando gli obiettivi della guerra, non è aperto a concessioni, non intende ridurre i raid militari e non cerca un accordo con Volodymir Zelensky e neanche è pronto a incontrarlo", incalza Tatyana Stanovaya, fellow di Carnegie Russia Eurasia Center e fondatrice di R-Politik. Non bisogna farsi illusioni, il sunto del suo intervento. Il Consigliere per la politica estera del Cremlino, Yuri Ushakov, è pronto a portare avanti i negoziati con Kiev a partire dalla piattaforma del 2022, "tenendo conto della situazione reale". Ma nell'intervista che ha concesso a Perviy Kanal dopo che Zelensky aveva scritto della sua intenzione di aspettare Putin a Istanbul, non ha parlato della composizione delle delegazioni. L'annuncio di sabato notte di Putin, che segue le altre aperture o presunte tali della tregua di Pasqua e di quella successiva di tre giorni in coincidenza con le celebrazioni della Giornata della Vittoria, sono la reazione del Cremlino - sottolineano entrambe le analista - alla possibilità che Donald Trump e la sua amministrazione perda la pazienza e rinunci al suo sforzo di mediazione. Il messaggio a Trump è sostanzialmente: 'stai tranquillo, rimani dove sei stiamo sforzandoci'. Stanovaya, che da tempo anche lei ha lasciato la Russia e si è trasferita in Francia, è però convinta che i recenti sviluppi a Mosca non siano stati condizionati dalla minaccia di nuove sanzioni. "Non sto suggerendo che il ritiro di Trump sarebbe disastroso per la Russia ma che complicherebbe significativamente l'agenda per la normalizzazione nelle relazioni bilaterali", scrive Stanovaya per cui per Mosca la delusione di Trump per il suo potenziale interlocutore del Cremlino rappresenta una "cattiva notizia". Mentre Osetinskaya ritiene che se gli Stati Uniti decidessero che la Russia "è parte del problema" e ostacolo alla fine della guerra, potrebbero imporre dazi secondari sulle esportazioni verso gli Usa ai Paesi che acquistano petrolio, prodotti derivati, gas o uranio dalla Russia. Per una soluzione reale del conflitto servono cambiamenti reali interni o a Mosca o a Kiev o una svolta militare improbabile per Mosca e virtualmente impossibile per l'Ucraina. Fino a che Putin rimarrà al potere, il suo obiettivo sarà quello di trasformare l'Ucraina in uno Stato amico, conclude Stanovaya per cui invece ora Putin sta solo perseguendo l'opportunità di trascinare l'Ucraina in un processo Istanbul-2, simile ai negoziati che si tennero fra il marzo e l'aprile del 2022, far sospenderei rifornimenti di armi a Kiev, di sfruttare ogni debolezza della posizione di Zelensky, ed esacerbare l'instabilità interna ucraina.
(Adnkronos) - "Il Rapporto Gem ci racconta quest'anno che l'Italia si posiziona al 34esimo posto su 51 economie nel mondo, quindi nel ranking mondiale continuiamo ad avere una posizione piuttosto bassa. Questo è un dato preoccupante perché la crescita di un Paese dipende anche dalla propensione imprenditoriale, sia per ciò che riguarda la prospettiva di sviluppo economico, sia per fronteggiare le sfide che ci troviamo adesso nel mondo, come la transizione verso una sostenibilità ambientale e sociale e verso il digitale”. Lo ha detto Alessandra Micozzi, docente di Economia applicata presso l'Universitas Mercatorum e coordinatore team Progetto Gem Italia, alla presentazione del Rapporto Gem Italia 2024-2025, a cura di Universitas Mercatorum - l’Università delle Camere di Commercio Italiane del Gruppo Multiversity - svoltasi a Roma, intitolato ‘L’imprenditorialità per la crescita del Paese’. “Un altro dato allarmante è che il gender gap in Italia, anziché diminuire, aumenta e quest'anno abbiamo fatto un focus specifico sulle determinanti e i fattori che effettivamente condizionano questo gender gap - spiega Micozzi - Un altro dato è la propensione alla crescita: le nuove imprese italiane che nascono non hanno la capacità di occupare personale e ciò è dipeso da diversi fattori, come un contesto burocratico complesso, oneri fiscali elevati, che non favoriscono investimenti e assunzioni, ma dipende anche dalla carenza strutturale delle infrastrutture digitali e il supporto all'innovazione. Questo pregiudica in particolar modo le imprese ad alta tecnologia”. “L'imprenditorialità è un fenomeno sociale e culturale, quindi la dimensione culturale è rilevante. Questo significa che le convinzioni e ciò che ci si aspetta a livello di aspettative sociali impattano molto sulla rappresentazione che abbiamo dell'imprenditorialità come carriera desiderabile e anche sulla valutazione delle proprie capacità ad attivare un'impresa. Pertanto, sicuramente la formazione a tutti i livelli di educazione, è fondamentale per un cambiamento culturale”, conclude.
(Adnkronos) - Cresce la desertificazione oceanica a causa del riscaldamento globale. In poco più di vent’anni è quasi raddoppiata l’area delle regioni oceaniche già povere di nutrienti e con scarsa biodiversità, passando dal 2,4 al 4,5% dell’oceano globale. Si tratta di un fenomeno che comporta una grave carenza di nutrienti e che potrebbe avere conseguenze significative sulla salute degli oceani e sul clima globale. È questo uno dei principali risultati emersi da uno studio internazionale condotto dal Laboratorio Enea Modelli e Servizi Climatici, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine Ismar-Cnr e il laboratorio cinese State Key Laboratory of Satellite Ocean Environment Dynamics (Soed), pubblicato sulla rivista scientifica ‘Geophysical Research Letters’. Lo studio si concentra, in particolare, sull’analisi dei cambiamenti del fitoplancton, l’insieme di quei microrganismi che sono alla base della catena alimentare marina (sono il cibo di zooplancton, pesci e altri organismi) e contribuiscono a mitigare i cambiamenti climatici rimuovendo la CO2 atmosferica attraverso la loro attività fotosintetica. “Questo fenomeno risulta molto evidente nell’Oceano Pacifico settentrionale dove la superficie coinvolta cresce a un ritmo di 70mila km2 l’anno. Ma la desertificazione interessa in modo crescente diverse regioni oceaniche, con una particolare vulnerabilità nelle aree tropicali e subtropicali, dove la diminuzione dei nutrienti disponibili può avere importanti impatti sulla produttività e la diversità biologica. Questo accade a causa del riscaldamento globale, che fa sì che l’acqua calda, più leggera, resti in superficie, impedendo il mescolamento con l’acqua più fredda e ricca di nutrienti che si trova in profondità. Meno mescolamento significa quindi meno ‘cibo’ che arriva alla superficie per sostenere la crescita del fitoplancton e, di conseguenza, dell’intera catena alimentare”, spiega Chiara Volta, ricercatrice Enea del Laboratorio Modelli e Servizi Climatici. Dallo studio emerge inoltre che è in diminuzione la quantità di clorofilla, un indicatore chiave della salute e della produttività del fitoplancton. In pratica, una maggiore presenza di clorofilla indica una maggiore abbondanza di fitoplancton. “Tuttavia, secondo lo studio, questo calo potrebbe non indicare una riduzione della popolazione fitoplantonica, ma un adattamento di questi organismi alle nuove condizioni di crescita imposte dal cambiamento climatico, quali ad esempio l’aumento della temperatura e la riduzione della disponibilità di nutrienti”, sottolinea la ricercatrice di Enea. Per realizzare questo studio i ricercatori hanno esaminato le serie temporali di dati satellitari di clorofilla e di fitoplancton tra il 1998 e il 2022 nei cinque principali vortici oceanici della Terra (gyres subtropicali) situati nell’Atlantico settentrionale e meridionale, nel Pacifico settentrionale e meridionale e nell’Oceano Indiano. Si tratta di sistemi di correnti caratterizzati da un movimento anticiclonico dell’acqua che si sviluppano tra l’Equatore e le zone subtropicali di alta pressione, e la cui formazione dipende da una complessa interazione tra venti, rotazione terrestre e distribuzione delle terre emerse. “Negli ultimi due decenni, in concomitanza con il riscaldamento degli oceani, molti studi satellitari hanno documentato un’espansione di questi sistemi oceanici e una conseguente riduzione di clorofilla, destando serie preoccupazioni sulle possibili implicazioni per il clima globale e la salute dei nostri oceani. Tuttavia, i nostri risultati mostrano che, nonostante la diminuzione della clorofilla osservata nella zona più povera di nutrienti dei vortici subtropicali, la biomassa fitoplantonica è rimasta sostanzialmente stabile nel tempo. Tenuto conto che, per loro natura, i dati satellitari si limitano a fornire una descrizione di ciò che avviene sulla superficie oceanica, i prossimi passi da compiere saranno quelli di studiare i cambiamenti della comunità fitoplantonica lungo la colonna d’acqua e quantificare il loro impatto sulla produttività oceanica a scala regionale e globale”, conclude Chiara Volta.