(Adnkronos) - Lezioni a rischio a scuola domani, venerdì 15 novembre. Anief ha infatti indetto uno sciopero contro l'abuso dei contratti a temine. “Lo Stato italiano nonostante una precisa procedura di infrazione ha ridotto l'organico di ruolo e ha raddoppiato l'organico a tempo determinato, perpetrato l'abuso dei contratti a termine. Ha nel contempo innalzato l'età media degli insegnanti e del personale amministrativo superando persino la quota del 50% dell'organico over 50, a dispetto dell’alto tasso di burnout ravvisato nella categoria. E' chiaro ed evidente che bisogna rivedere le regole sulle finestre d'uscita del personale scolastico che spesso ha titoli universitari che non sono riscattati per gli onerosi costi nonostante siano necessari per accedere e svolgere la professione", afferma Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, che sottolinea: "Invece per il personale delle forze armate vige il riscatto gratuito, come pure la ‘finestra che permette a 60 anni di andare in pensione senza alcuna penalizzazione sull’assegno pensionistico”. Per queste ragioni il giovane sindacato Anief ha indetto lo sciopero e ha lanciato una petizione per rivedere l'età pensionabile e chiedere il riscatto gratuito degli anni formazione universitaria. A scendere in piazza anche l'Unione degli studenti. “La giornata del 15 novembre è fondamentale non solo per il mondo studentesco, ma per tutti coloro che credono nel diritto all’istruzione pubblica e gratuita”, ha affermato afferma Tommaso Martelli, coordinatore nazionale dell’Unione degli studenti. “Saremo presenti sotto le sedi istituzionali locali, regionali e nazionali, fino al ministero dell’Istruzione, per ribadire al ministro Valditara che la nostra voce non può più essere ignorata", ha aggiunto. Ha continuato Francesco Valentini, responsabile comunicazione dell’Unione degli studenti: “Questo sciopero rappresenta il grido di generazioni stanche di essere ignorate. Non chiediamo solo una scuola diversa: vogliamo una scuola che ci permetta di costruire un futuro con diritti e dignità, libera da logiche di sfruttamento e subordinazione”. Si tratta di "una mobilitazione che vuole esprimere una forte opposizione, non solo verso il ministro Valditara ma all’interno governo Meloni. Al ministro contestiamo le politiche attuate verso l’istruzione, in primis la riforma della condotta, che imprime un clima di autoritarismo e repressione all’interno delle scuole, fino ad arrivare alla riforma degli Istituti tecnici professionali, che accelera - ha affermato ancora Martelli - l’inserimento lavorativo forzato degli studenti e subordina ancora di più il mondo della scuola al profitto delle aziende”. Una data, quella del 15 novembre, che “si inserisce in un contesto di riforme drammatiche per il nostro Paese e che vuole esprimere una forte opposizione anche per quanto riguarda il Ddl sicurezza che è un ddl - conclude Martelli - che va a reprimere il dissenso e che rappresenta una criminalizzazione di chi si attiva, di chi protesta all’interno del Paese”. "La Flc Cgil sostiene lo sciopero studentesco del 15 novembre prossimo. La richiesta di maggiori investimenti nel sistema pubblico di istruzione e formazione, nel sistema universitario e dell'alta formazione, a partire dal diritto allo studio, sono state alla base dello sciopero generale del 31 ottobre scorso. Non possiamo accettare né la svalorizzazione contrattuale né nuovi tagli al sistema della conoscenza: ogni euro in meno nella scuola e nell'università è un passo indietro nei confronti delle nuove generazioni", ha detto all'Adnkronos Gianna Fracassi, segretaria generale Flc Cgil . "I ragazzi e le ragazze di questo Paese devono avere la piena possibilità di espressione del proprio pensiero e di manifestarlo anche e soprattutto quando questo significa dissenso. Impedire loro di esprimere critiche o di confrontarsi con le istituzioni, come accaduto qualche giorno fa a Piacenza in occasione della visita del ministro dell'Istruzione, è sempre un fallimento democratico ed educativo", ha concluso Fracassi.
(Adnkronos) - I dati economici mostrano un Sud e in particolare Napoli messi meglio di prima, spinti anche da un turismo ai massimi livelli e dagli investimenti del Pnrr. Allora dobbiamo mettere in campo le capacità delle nostre classi dirigenti pubbliche e private per cogliere appieno questa opportunità e portare questa crescita a beneficio nostro e anche di tutto il Paese”. Questo uno dei passi dell’intervento di Pier Paolo Baretta, assessore al Bilancio del Comune di Napoli, già Sottosegretario al ministero dell’Economia, all’assemblea di Manageritalia Campania svoltasi presso la sede dell’Associazione in città. Nell’intervento di apertura della parte pubblica il segretario Generale di Manageritalia Massimo Fiaschi ha espresso in sintesi il giudizio dell’organizzazione sulla Legge di Bilancio: “Una Manovra che ha avuto il plauso dei mercati, ma non ha sicuramente il nostro. Perché non c’è nulla per la crescita e si colpisce come al solito il ceto medio che sopra i 75milioni di reddito avrà un aumento delle tasse per il tetto messo alle detrazioni fiscali. Il presidente di Manageritalia, Marco Ballaré nel suo intervento ha rimarcato la fotografia irrealistica che presentano i dati fiscali: “Abbiamo il 45% degli italiani che non lavora, solo 10 milioni, su 42 milioni di contribuenti, che pagano il 76% dell’Irpef e solo il 5% che dichiara più di 55mila euro. È la fotografia di un Paese povero, ancor più povero di quello che è veramente al lordo dell’evasione, che ha 3 miliardi di debito, 50mila euro per ogni abitante”. “La Legge di Bilancio è figlia di un Paese che non ha una visione da decenni”, ha detto nel suo intervento Gianluca Cantalamessa, Senatore della Repubblica Italiana e Componente della 9ª Commissione Industria, commercio, turismo, agricoltura e artigianato. E poi ha ribadito: “Nel nostro Paese, infatti, non mancano i soldi, manca una visione e delle politiche industriali, per la sanità e molto altro che guardino avanti. La manovra mette in sicurezza il costo del debito, 65miliardi all’anno, che ci schiaccia e non potevamo, come punto di partenza, permettere salisse”. Baretta sulla Legge di Bilancio ha detto: “È meno peggio di come poteva essere. Ma non c’è nulla per la crescita, manca una vera riforma delle detrazioni, 700 voci che danno luogo a 250 miliardi di mancate entrate, e poi c’è la tassa sui fondi pensione che non ha senso, perché non c’è così in Europa e deprime la previdenza integrativa della quale abbiamo tutti, stato e cittadini, tanto bisogno. Per non parlare il tetto agli stipendi dei manager pubblici che rischia solo di privarci di valide competenze oggi indispensabili”. L’Assemblea, molto partecipata, ha anche dibattuto delle attività dell’Associazione per supportare i manager nelle sfide professionali e il territorio con le competenze messe volontariamente a disposizione da tanti manager associati. Tra questi c’è anche Women On Board, il percorso per aumentare le donne nei CdA. “Infatti – ha detto il presidente di Manageritalia Campania Ciro Turiello nel suo intervento – le donne nei CdA campani sono solo il 19,6%, sotto la media nazionale (20,2%). Un dato simmetrico a quello delle donne dirigenti che sono solo 16,3% in Campania contro il 21,4% in Italia. Dati che raccontano la debolezza manageriale del nostro territorio non solo a livello di genere, ma proprio in generale (ci sono solo 0,3 dirigenti ogni 100 dipendenti, contro 0,9% a livello nazionale e 1,7% in Lombardia), nella governance e gestione delle aziende. E Per crescere abbiamo bisogno di molta più managerialità soprattutto a supporto delle tante Pmi che proprio per questo gap non sanno crescere oltre una certa soglia”. Donne nei cda, queste sconosciute: o così almeno dicono i dati che vedono una presenza di poco più del 19.6 % di donne nei consigli di amministrazione delle imprese campane. E' quanto emerge dall’indagine condotta a Manageritalia su dati Modefinance, società del gruppo TeamSystem, su circa 225mila società di capitali con oltre 1 milione di fatturato. Se il dato generale della Campania con 19,6% è inferiore alla media nazionale (20,2%), quello di dettaglio è ancor peggiore: sulle 14.917 imprese del territorio campano analizzate, il 76,1% non ha donne nei cda (contro il 66,7% nazionale), il 23,9% ha una forma mista con almeno una donna (33,3% nazionale) unica nota positiva il 16,2% di cda composti di sole donne (10,9% nazionale). La scarsa presenza femminile nei cda delle imprese campane è in linea con quella nella dirigenza delle aziende, dove le donne sono solo il 16,3% in Campania e il 21% in Italia. Questo anche se nelle imprese campane i vertici aziendali si tingono sempre di più di rosa, visto che le donne manager negli ultimi 14 anni crescono del 148% arrivando a quota 408 su un totale di quasi 2.500 manager in attività sul territorio. Nel corso dell’ultimo anno la provincia di Napoli si conferma la più numerosa con 1.560 manager (1.315 uomini e 245 donne) e una crescita del +1,9%, guardando però il dato storico le donne manager, dal 2008 a oggi sono cresciute +113%. Significativo lo scenario della provincia di Benevento dove si registra la crescita in proporzione più alta +1,2 % raggiungendo 174 dirigenti (116 uomini e 58 donne), qui l’aumento delle dirigenti donna è a due cifre +16% nell’ ultimo anno, ben + 135% in 14 anni. Bene anche Avellino con un +5,3% complessivo per un totale di 158 manager (138 uomini e 20 donne) in cui però si segnala una diminuzione delle donne arrivate a segnare – 16% su base annua ma in crescita del +150% dal 2008 a oggi. Dati in decrescita anche per la provincia di Caserta che fa segnare -4.3% e addirittura un -10,4% per quanto concerne le nuove dirigenti. Chiude la provincia di Salerno, realtà in cui si segnala il dato peggiore a livello regionale con un complessivo -17,5% di dirigenti, una marcia indietro che si rispecchia anche nella componente femminile che segna -22,2 %.
(Adnkronos) - In Italia 7 famiglie su 10 (69%), pari a 17,7 milioni di nuclei familiari, consumano prodotti a base vegetale e quasi 1 famiglia su 2 (47%) acquista abitualmente questi alimenti. C'è un consenso diffuso da parte degli italiani verso ognuna delle diverse categorie merceologiche di questo comparto: oggi, infatti, ben 13 milioni di famiglie italiane (51%) consumano 'secondi vegetali', mentre 10,7 milioni (42%) acquistano 'bevande vegetali'. Più contenuto invece il numero di famiglie in cui si consumano 'alternative vegetali allo yogurt', ovvero 4,3 milioni (17%), o anche 'gelati e dessert a base vegetale', pari a 3,4 milioni (13%). È quanto emerge dall'analisi commissionata dal Gruppo Prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food all'Istituto di ricerca NielsenIQ, dal titolo 'Prodotti a base vegetale: motivazioni di acquisto e core target', che ha indagato l'approccio al consumo degli italiani verso questi prodotti. "L'indagine conferma che i prodotti a base vegetale non sono una moda effimera, ma rappresentano una scelta consapevole del consumatore, alla quale le nostre aziende rispondono portando sulle tavole prodotti di qualità, versatili, buoni e semplici da preparare - afferma Sonia Malaspina, presidente del Gruppo Prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food - Il mercato dei prodotti a base vegetale è cresciuto negli ultimi anni ed è destinato a svilupparsi ulteriormente per una ragione molto semplice: i prodotti a base vegetale incontrano e appagano le richieste di tanti consumatori. Del resto, cibi come le polpette di melanzane, le panelle di ceci o le bevande di mandorla, solo per citarne qualcuno, fanno parte da sempre della nostra cultura culinaria”. A tavola c'è posto per tutti e i dati emersi lo confermano: il consumo di prodotti a base vegetale, infatti, è vissuto da parte di un gran numero di nostri connazionali all'insegna di uno stile di vita alimentare vario ed equilibrato, che include anche le proteine animali: in media 2 famiglie italiane su 3 (66%) acquistano i prodotti a base vegetale 'in alternativa' a quelli a base di proteine animali. Da evidenziare, infine, come la tendenza all'acquisto di questi prodotti riguardi trasversalmente tutte le famiglie e non solo quelle dove si segue una dieta vegana o vegetariana. Dall'indagine è emerso come i prodotti a base vegetale siano apprezzati dagli italiani trasversalmente, in tutte le diverse categorie merceologiche che compongono questo comparto. A partire dai 'secondi vegetali' (come burger, affettati vegetali o sostituti dei formaggi, ecc...) che risultano la tipologia di prodotti più acquistati dai nostri connazionali. In Italia, li portano in tavola ben 13 milioni di famiglie (51% del totale) e lo fanno circa 1 volta alla settimana. Anche le 'bevande a base vegetale' rappresentano un segmento particolarmente apprezzato, con una richiesta in crescita. Oggi, nel nostro Paese, oltre 4 famiglie su 10 (42%) consumano questi prodotti e lo fanno in media 2-3 volte a settimana. Per quanto riguarda 'le alternative vegetali allo yogurt', la ricerca evidenzia come questo segmento sia consumato in totale da 4,3 milioni di famiglie (17% totale Italia), con una frequenza di più di 1,4 volte a settimana e un target un po' più femminile: 54% delle donne vs 46% degli uomini. Infine, sono 3,4 milioni le famiglie (pari al 13% di quelle italiane) che scelgono una merenda o un fine pasto a base di 'dessert e gelati vegetali'. All'interno di questo segmento, il gusto, il prezzo e la promozione sono i motivi di acquisto più importanti per chi compra questi prodotti. Le famiglie acquirenti 'non occasionali' di prodotti a base vegetale, circa 12,2 milioni, risultano più concentrate nel Nord Italia. Si tratta di persone con un'età media di circa 25-54 anni, che vivono prevalentemente in nuclei familiari medio-grandi, in cui il responsabile acquisti è in età centrale (45-50anni) e con figli dagli 11 anni in avanti. In particolare, si tratta di persone alla ricerca di cibi e bevande con garanzie di caratteristiche nutrizionali e gusto. Sono sportivi, con molteplici interessi e una buona affinità con la rete. Critici e attenti a ciò che mangiano, leggono e si informano su ciò che acquistano e sono curiosi e aperti alle novità. Gli italiani che consumano abitualmente prodotti vegetali hanno in generale una propensione ad acquisti sostenibili: più di 1 su 2 (il 56%), quando fa spesa al supermercato, cerca prodotti che rispettano l'ambiente ed etici, mentre per il 53% vale la pena spendere di più per prodotti con una maggiore impronta ecologica.