(Adnkronos) - Dall'inizio dell'anno fino al 13 agosto, 8 Paesi europei hanno segnalato in tutto 335 casi umani di infezione da virus West Nile acquisiti localmente e 19 morti. Spicca l'Italia, che rimane "il Paese più colpito, con 274 infezioni confermate", in pratica l'82% del totale dell'area e sono sempre nel Belpaese le 19 vittime censite. E' quanto emerge dal rapporto di sorveglianza dell'Ecdc, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che fa il punto sulle infezioni trasmesse dalle zanzare. Una voce che ha fatto registrare numeri record in Europa. Per quanto riguarda nello specifico West Nile, per l'Italia è stata una stagione particolarmente intensa soprattutto nelle regioni del Centro-Sud. Nella area dell'Ue/Spazio economico europeo il secondo Paese più colpito, ma molto distante dai numeri italiani, è la Grecia (35 casi). Seguono Serbia (9 casi), Francia (7 casi), Romania (6 casi), Ungheria (2 casi), Bulgaria (1 caso) e Spagna (1 caso). "La distribuzione dei casi di virus West Nile in Europa continua a cambiare e, nell'ultimo decennio, l'infezione è stata rilevata in nuove aree ogni anno", avverte l'Ecdc in una nota diffusa oggi, 20 agosto, data in cui si celebra il World Mosquito Day, nato per sensibilizzare sulle malattie trasmesse dalle zanzare. "Quest'anno, per la prima volta, sono state segnalate infezioni nelle province italiane di Latina e Frosinone e nella contea di Sălaj in Romania - continua l'agenzia Ue con sede a Stoccolma - e l'Europa ha registrato il numero più alto di casi di virus del Nilo Occidentale degli ultimi 3 anni. L'Ecdc prevede che le infezioni continueranno ad aumentare, raggiungendo probabilmente un picco stagionale in agosto o settembre". Per quanto riguarda invece il virus Chikungunya è la Francia ad avere il record di casi: Oltralpe sono stati segnalati 111 casi di malattia da virus Chikungunya. L'Italia ne ha registrati 7, principalmente associati a focolai nelle regioni meridionali e sudorientali. Non sono stati segnalati decessi nell'Europa continentale, ma a livello globale nel 2025 sono stati registrati oltre 240mila casi di malattia da virus Chikungunya e 90 morti. "L'Europa stabilisce nuovi record per le malattie trasmesse dalle zanzare", segnala l'Ecdc. "Le epidemie record di infezione da virus West Nile (Wnv) e di malattia da virus Chikungunya indicano" che siamo in presenza di "una 'nuova normalità' in Europa, che richiede una risposta solida e coordinata per proteggere la salute pubblica" in tutta l'area. L'Europa, spiega l'Ecdc, "sta vivendo stagioni di trasmissione più lunghe e intense per le malattie trasmesse dalle zanzare, tra cui l'infezione da West Nile e Chikungunya". Questo cambiamento, analizza l'agenzia Ue, è dovuto a "fattori climatici e ambientali" come l'aumento delle temperature, le estati più lunghe, gli inverni più miti e i cambiamenti nei regimi delle precipitazioni, condizioni che si combinano per creare un ambiente favorevole alla proliferazione delle zanzare e alla trasmissione dei virus.
(Adnkronos) - Il lavoro nel turismo cresce, ma la mancanza di personale rischia di arrestare bruscamente la corsa di un settore che traina l’economia italiana da anni. Nel 2024 questo comparto ha continuato a creare occupazione, superando 1,5 milioni di addetti (+2,1% rispetto al 2023 e +21,5% rispetto al 2014). Ma dietro i numeri da record si nasconde un paradosso: mai così tanti lavoratori introvabili. Rispetto al 2019, quando i profili mancanti erano 210mila (24,6%) il numero delle assunzioni di difficile reperimento si è triplicato, toccando quota 604 mila (51,8%). E a farne le spese sono soprattutto le aziende del Centro Nord. Secondo l'analisi della Fondazione Studi consulenti del lavoro, 'L’occupazione nel turismo, tra opportunità e limiti di crescita', elaborata su dati Istat, le imprese faticano soprattutto a trovare cuochi, pasticcieri, gelatai e camerieri. Un’emergenza silenziosa che rischia di inceppare il motore di uno dei comparti chiave dell’economia nazionale. Se, da un lato, il settore si consolida e vede aumentare soprattutto il lavoro dipendente (9% in cinque anni) nelle aree del Centro Italia così come nel Mezzogiorno, dall’altro continua a scontare difficoltà crescenti nell’intercettare i profili richiesti. A mancare sono soprattutto cuochi (irreperibili nel 61,7% dei casi), pasticcieri e gelatai (59,8%), camerieri (54,7%), baristi (50,6%) e, ancor di più, i tecnici della produzione e preparazione alimentare (76,4%). La difficoltà riguarda in modo particolare le regioni che negli ultimi anni hanno assistito a una crescita del fabbisogno di figure per il comparto ricettivo-ristorativo: è il caso, ad esempio, della Sicilia, Calabria e Sardegna. Ma le regioni dove si registra più affanno sono nel Centro-Nord: dopo il Molise (66,6% dei profili giudicati irreperibili dalle aziende), spiccano Umbria (61,1%), Trentino Alto Adige (58,4%), Lazio (58,1%), Piemonte e Val D’Aosta (55,7%). A pesare sul comparto, evidenzia l'analisi, sono fattori strutturali significativi: l’assenza sistemica di percorsi formativi idonei che producano personale qualificato in misura adeguata alle richieste, stagionalità e intensità del lavoro. In questa situazione, tuttavia, si intravedono dei segnali positivi: negli ultimi anni è cresciuta, infatti, la domanda di lavoratori con qualifica di formazione professionale, la cui incidenza sul totale delle assunzioni previste è passata dal 43,2% del 2019 al 51,7% del 2024. Piccolo segnale di un’evoluzione in corso anche se ancora molto lenta. “Il turismo rappresenta un volano per l’economia del nostro Paese, ma non possiamo ignorare l’altra faccia della medaglia: la difficoltà crescente nel trovare lavoratori qualificati rischia di trasformarsi in un’emergenza strutturale che mette a rischio lo sviluppo futuro del comparto e l’andamento positivo dell’occupazione. Oggi più che mai è fondamentale vincere la sfida del reperimento delle competenze investendo nella formazione mirata, soprattutto aumentando gli Its”, ha dichiarato il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, Rosario De Luca.
(Adnkronos) - Dopo due anni e mezzo di diminuzioni, tornano a crescere nel I semestre 2025 le emissioni di CO2 (+1,3%), nonostante i consumi energetici complessivi siano rimasti stazionari (gas +6%, petrolio -2%, generazione elettrica da rinnovabili -3%). Lo evidenzia l’Analisi Enea del sistema energetico nazionale che rileva, inoltre, prezzi di elettricità e gas tra i più elevati in Europa e un trend negativo per la transizione energetica (-25%) misurato dall’indice Ispred. In particolare, riguardo ai prezzi, quello dell’energia alla Borsa italiana (120 €/MWh media semestrale) è risultato doppio rispetto a quello di Spagna (62 €/MWh) e Francia (67 €/MWh). “Di fatto, ne risente la produzione industriale dei settori energy intensive, che resta inferiore di oltre il 10% rispetto a quella dell’intera industria manufatturiera, già sui minimi di lungo periodo”, spiega Francesco Gracceva, il ricercatore Enea che cura l’aggiornamento trimestrale. Dall’analisi emerge che nel primo trimestre le fonti rinnovabili hanno registrato un forte calo della produzione idroelettrica (-20%) ed eolica (-12%), non compensato dall’aumento del fotovoltaico (+23%), che è cresciuto in linea con il progressivo incremento della capacità installata (+3,3 GW). I consumi di gas naturale sono stati invece sostenuti dal clima rigido del primo trimestre 2025, che ha spinto i consumi per il riscaldamento. Una situazione che rispecchia sostanzialmente il quadro europeo dove l’inverno rigido ha fatto salire il consumo di gas (+5%), mentre sono diminuite le rinnovabili (-3%), con il solo fotovoltaico in crescita (+20%). Segno positivo anche per la produzione di energia nucleare (+2%), legata all'aumento della produzione francese. “Nel complesso i consumi energetici dell’area euro sono stimati stazionari e così le emissioni di CO2, un dato in chiaro contrasto con la traiettoria necessaria per il target 2030, che richiede un calo medio annuo di circa il 7%”, sottolinea Gracceva. A livello di settori, in Italia si rileva una contrazione dei consumi nei trasporti (-1%), concentrata nel primo trimestre, e un incremento nel civile (+3%), attribuibile principalmente all’aumento della domanda di gas per riscaldamento e alla maggiore domanda elettrica del settore terziario. Nel complesso, nel semestre la domanda elettrica nazionale risulta in lieve aumento (+0,4%), confermando la sostanziale stazionarietà del grado di elettrificazione dei consumi energetici in Italia. Il peggioramento dell’indice della transizione Enea Ispred è da attribuirsi soprattutto alla componente decarbonizzazione: “Nei prossimi cinque anni le emissioni di CO2 dovranno scendere del 6%, quasi il doppio di quanto fatto negli ultimi 3 anni. Se la traiettoria delle emissioni seguisse il trend degli ultimi 3 anni, il target 2030 sarebbe raggiunto non prima del 2035”, prosegue Gracceva. Sul fronte sicurezza energetica, e con particolare riferimento al gas, il sistema è risultato solido anche per la bassa domanda invernale. Un contributo è arrivato anche dall’entrata in funzione del rigassificatore di Ravenna, che a maggio e giugno ha portato il gas liquefatto ad essere la prima fonte di approvvigionamento di gas italiana (35% del totale), superando l’import dall’Algeria. Nel sistema elettrico europeo sono divenute sempre più frequenti le ore con prezzi zero o negativi, fino a un massimo raggiunto in Spagna con una media di oltre 6 ore al giorno. “Si tratta di segnali di un eccesso di produzione di elettricità da fonti intermittenti, in primis il fotovoltaico, e di flessibilità non adeguata a gestire la variabilità delle rinnovabili. Ma è notevole come sul mercato italiano questi effetti risultino al momento radicalmente più contenuti, con prezzi zero solo nello 0,5% delle ore nella zona Sud, a conferma del persistente ruolo del gas nella fissazione dei prezzi sul mercato all’ingrosso”, conclude Gracceva.