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(Adnkronos) - “La grande sfida è la professionalità dei lavoratori e dei manager coinvolti nella filiera turistica. Parliamo di qualità nel turismo ed è quindi importante avere lavoratori e dirigenti di qualità. Per farlo non basta parlare di stipendio, ma bisogna ragionare anche di ulteriori voci di welfare come ad esempio il tema dell’abitare. Sempre di più i lavoratori della filiera dei servizi e del turismo fanno fatica a vivere nelle grandi città italiane a causa dei grandi costi di vita. Molte aziende iniziano a parlare di casa come una voce di welfare aziendale nel contratto”. Così Simone Venturini, assessore al Turismo e Sviluppo economico Comune di Venezia, a margine dell'evento 'Turismo e imprese nuovi modelli di business, innovazione e pratiche nello sviluppo e gestione del capitale umano, nell'organizzazione del lavoro, nell'adozione di nuove tecnologie', organizzato a Venezia da Manageritalia Veneto e Ciset. “Altra sfida importante - prosegue Venturini - riguarda l’innovazione, iniziare a capire le dinamiche nuove e i nuovi orizzonti provando ad anticiparle per stare al passo. Sono sfide che richiedono la presenza importante del manager. Una figura centrale in tutte le aziende. Il manager porta qualità, porta un punto di vista più distaccato ed esterno rispetto alle dinamiche familiari dell’azienda e riesce ad offrire la sua esperienza in dote all’impresa”. Infine, un focus sul capoluogo Veneto: “A Venezia ci sono molti manager capaci, il turismo è cresciuto soprattutto in termini di qualità. Le grandi strutture hanno lavorato meglio rispetto al passato, i grandi eventi portati in città ci hanno portato in una galassia di comunicazione legata a lusso, eleganza, moda, arte contemporanea e artigianato. C’è ancora molto da fare sul fronte della gestione di alcuni picchi che ci sono durante l’anno, per questo l’amministrazione comunale sta sperimentando soluzioni innovative come ad esempio il contributo d’accesso", conclude.
(Adnkronos) - I Paesi del G7 sono chiamati a vincere la sfida della trasformazione dei sistemi educativi, per fornire ai giovani competenze in linea con quelle attualmente richieste sul mercato del lavoro. Nell'ultimo decennio i progressi sono stati notevoli, ma nei G7 solo il 42,3% degli uomini e il 47,5% delle donne ottengono qualifiche terziarie. Anche i tassi di Neet - i giovani tra i 15 e i 34 anni non coinvolti in percorsi di istruzione, lavoro o formazione professionale - riflettono le difficoltà attuali nella transizione dalla scuola al lavoro, fenomeno che interessa l'11,1% degli uomini e il 13,2% delle donne. I percorsi universitari in ambito Stem, in cui le donne sono ancora sottorappresentate, e la trasformazione digitale sono alleati preziosi in una fase in cui l'adozione di robot di servizio professionali e collaborativi ha registrato un tasso di crescita del 13% dal 2017 al 2022, avviando un’epoca di interconnessione sempre più profonda tra macchine e persone. Al contempo, i G7 devono investire nell’imprenditorialità per ovviare ai 34 milioni di imprenditori “mancanti” nell’area Ocse. Attualmente, infatti, solo il 14,5% degli uomini e l’8,8% delle donne sono lavoratori autonomi, dato pari a un esiguo 9% tra i giovani sotto i 30 anni. Queste alcune delle evidenze principali contenute nel B7 Flash, l’approfondimento di Confindustria e Deloitte elaborato in occasione della 'G7 – Industry Stakeholders Conference: Bridging Gaps and Building Futures', organizzata a margine della Ministeriale G7 sulle Pari Opportunità che si terrà a Matera dal 4 al 6 ottobre. Deloitte Italia è il knowledge partner esclusivo del B7 Italy 2024 'Leading the Transitions Together', presieduto da Confindustria sotto la guida di Emma Marcegaglia. “Sbloccare il pieno potenziale dell’imprenditorialità e costruire un’economia più resiliente ed equa richiede azioni decise che facciano perno sull’inclusione sociale dei gruppi sottorappresentati e sull’uguaglianza di genere da parte dei Paesi G7. Questo obiettivo è cruciale e anche le aziende sono chiamate a incorporare tali principi nei loro obiettivi strategici, adottando strumenti che permettano di fissare traguardi chiari e misurabili in ogni fase della carriera femminile, non solo aumentando la presenza delle donne, ma anche favorendo pari opportunità di crescita professionale, una retribuzione equa e un equilibrio tra vita privata e lavoro”, commenta Lara Ponti, vicepresidente Confindustria per la transizione ambientale e gli obiettivi esg. “I Paesi del G7 stanno attraversando una fase di profondi cambiamenti, con significative implicazioni sui percorsi educativi e formativi e sul mercato del lavoro, che offrono straordinarie opportunità per facilitare l’accesso a istruzione e occupazione, e per ridurre le disuguaglianze ancora esistenti in tali ambiti. A livello globale, ad esempio, le donne continuano a essere notevolmente sottorappresentate, soprattutto nei settori ad alto contenuto tecnologico: costituiscono solo il 20% dei dipendenti nelle aziende di machine learning, il 12% dei ricercatori in intelligenza artificiale e il 6% degli sviluppatori software. Al contempo, in ambito imprenditoriale, la rappresentanza dei giovani rimane limitata, con meno del 9% degli imprenditori sotto i 30 anni", aggiunge Andrea Poggi, innovation leader per Deloitte Italia e capo delegazione B7 per Deloitte. "È quindi fondamentale che i Paesi del G7 siano fautori di un nuovo mercato del lavoro che promuova una “diversità inclusiva”, pilastro imprescindibile per massimizzare i benefici delle molteplici transizioni in corso e costruire un futuro etico e sostenibile per il Business. Affinché ciò sia possibile, sono necessarie azioni concrete ed efficaci che agiscano su tre leve principali: un migliore accesso a istruzione e mercato del lavoro, rimuovendo gli ostacoli strutturali d’accesso e capitalizzando la trasformazione digitale in corso, promozione dell’imprenditorialità, leva fondamentale di crescita economica, e maggiore inclusività, soprattutto per donne e giovani, affinché tutti abbiano l’opportunità di sviluppare le competenze necessarie. Queste sono chiavi essenziali per affrontare le sfide sempre più complesse che business e società devono superare, stimolando innovazione e crescita economica, con l’obiettivo di un futuro del lavoro sostenibile, inclusivo e prospero”, conclude Poggi. “Da sempre l’approccio olistico alla trasformazione ecologica è una prerogativa per la crescita del nostro Gruppo, a favore dei clienti e delle comunità in cui operiamo. Conciliare sviluppo ambientale, economico e sociale è la bussola che guida i nostri progetti e servizi, ma è anche il valore alla base della nostra cultura interna, di comunità professionale, orientata alla cura e all’attenzione alle persone, alla crescita del capitale umano, alla meritocrazia e all’inclusione, alla leadership consapevole. Sono per noi requisiti imprescindibili di lavoro e di prosperità, particolarmente importanti in un settore, quello delle cosiddette ‘professioni verdi’, che sta crescendo a grande velocità e che richiede oggi risorse, competenze, talenti nuovi. Siamo orgogliosi di portare il nostro contributo a un momento di confronto tanto significativo e urgente, su temi prioritari per la nostra visione e le nostre strategie”, spiega Emanuela Trentin, ceo Siram Veolia Italia. Le competenze Stem sono essenziali per affrontare le transizioni in corso. Nonostante ciò, solo una minoranza di studenti nei Paesi del G7 si indirizza verso questi percorsi formativi, il cui 70% di laureati uomini riflette una significativa sottorappresentazione delle donne. Il G7 dovrebbe promuovere questi percorsi per le giovani donne, anche integrando competenze Stem con scienze umane e sociali per promuovere l'ibridazione delle competenze, in linea con le esigenze di un mercato del lavoro in evoluzione. In quest’ottica l'intelligenza artificiale generativa può migliorare l'esperienza di apprendimento, adattando le lezioni e personalizzando i programmi in tempo reale, consentendo agli insegnanti di concentrarsi su attività più complesse come la pianificazione didattiche delle attività e l'interazione con gli studenti. In parallelo è fondamentale affrontare la sfida dei Neet (l'11,1% degli uomini e il 13,2% delle donne nei Paesi G7), attraverso scelte educative più ampie e la promozione della formazione professionale. Dall'istruzione pre-universitaria al mondo del lavoro, c’è la necessità di investire nell'orientamento professionale e promuovere sempre più ambienti d’apprendimento collaborativi, con mentorship e risorse accessibili a tutti. La carenza di competenze tecniche sta spingendo la domanda di automazione come mezzo per aumentare la produttività e mitigare gli effetti prodotti da tali carenze, trend confermato dall’aumento dell’utilizzo di robot di servizio professionali e di robot collaborativi (tasso di crescita del 13% dal 2017 al 2022). Le donne sono peraltro a maggior rischio esclusione dal mercato del lavoro rispetto agli uomini quale conseguenza dell'automazione, considerando la loro maggior rappresentazione in ruoli che comportano mansioni ripetitive, mentre persiste un significativo divario di genere nei settori a più alto tasso tecnologico. A livello globale, sono donne infatti soltanto il 20% dei dipendenti tecnici nelle aziende di machine learning, il 12% dei ricercatori di intelligenza artificiale e il 6% degli sviluppatori di software professionisti. Per massimizzare i benefici della trasformazione digitale in corso, riducendo le disuguaglianze, è quindi necessario adottare un approccio incentrato sull’uomo affinché le capacità umane siano amplificate e valorizzate attraverso la tecnologia. Per sfruttare al meglio le opportunità offerte dall'automazione e dall'intelligenza artificiale, è pertanto essenziale riqualificare e migliorare le competenze della forza lavoro e attuare azioni concrete per contrastare le diseguaglianze di genere. Per affrontare le sfide dell’automazione e dell’integrazione digitale, le aziende stanno passando da un modello operativo basato sui ruoli a un modello basato sulle competenze. Secondo un'indagine Deloitte, le organizzazioni basate sulle competenze hanno infatti dimostrato di essere più capaci di allocare i talenti in modo efficace (107%), di trattenere quelli con prestazioni elevate (98%), di favorire un'esperienza positiva sul posto di lavoro (79%), d’anticipare e rispondere al cambiamento (57%) e di promuovere un ambiente inclusivo (47%). In tale contesto, i Paesi del G7 sono chiamati ad adottare politiche mirate d’investimento nell'imprenditorialità, che affrontino il problema dei 34 milioni di imprenditori "mancanti" nell'area Ocse. Attualmente, solo l'8,8% delle donne e il 14,5% degli uomini nei Paesi del G7 sono lavoratori autonomi, mentre solo il 9% dei giovani con meno di 30 anni è impegnato nell’avviare una nuova impresa. Per dare nuovo impulso all’imprenditorialità, è necessario un impegno dei G7 nell’adottare politiche inclusive volte a creare ecosistemi di supporto alla crescita delle piccole e medie imprese e ad aumentare la partecipazione giovanile e femminile nell’imprenditoria. Ocse stima che, se i giovani fossero impegnati in attività imprenditoriali in misura pari a cittadini in età compresa tra i 30 e i 49 anni, si registrerebbe un incremento complessivo nell’area di circa 3,6 milioni di imprenditori.
(Adnkronos) - “Le aziende agroalimentari sono sempre più sotto pressione per adattarsi alle numerose sfide poste dal cambiamento climatico”. Così Thijs Geijer, Senior Sector Economist, Food&Agri, Ing, introduce un’analisi di Ing, banca di origine olandese presente in 40 Paesi, in cui sono stati presi in esame Spagna, Italia e Portogallo come casi di studio chiave. “Il loro status di fornitori chiave è a rischio. L'Agenzia Europea dell'Ambiente ritiene che i rischi del cambiamento climatico per la produzione agricola siano più urgenti e gravi nell'Europa meridionale - spiega - Per identificare le tendenze a lungo termine e i cambiamenti nella produzione e nel consumo, utilizziamo una serie di database sulla produzione di sei importanti colture nella regione (grano, uva da vino, olive, pomodori, arance e fragole), sulle aree di produzione, sul commercio, sul consumo delle famiglie e sui modelli meteorologici”. Da qui le cinque lezioni chiave emerse dall'analisi. La prima: cambiamenti climatici, volatilità dei raccolti e rese agricole, non è tutto negativo. “Il cambiamento climatico agisce come catalizzatore di eventi meteorologici estremi, che potrebbero portare a maggiori oscillazioni della produzione. Tuttavia, la nostra analisi mostra che le fluttuazioni delle rese non sono aumentate per la maggior parte delle colture se si confrontano serie di anni su un arco temporale di 50 anni. Per noi, questo è un segno che, in generale, gli agricoltori sono stati in grado di adattare i loro sistemi di produzione. Tuttavia, gli eventi meteorologici estremi sono spesso regionali e le differenze di resa tra le regioni possono essere significative, soprattutto in Paesi geograficamente diversi come Spagna e Italia. L'approvvigionamento da più regioni o la presenza di impianti di produzione in più regioni è un modo per ridurre questi rischi”, spiega. Seconda lezione: gli agricoltori fanno il possibile per rendere i loro terreni resilienti al clima. “Nell'Europa meridionale, in particolare, le misure di adattamento al cambiamento climatico includono spesso l'irrigazione o, nel caso di pomodori e fragole, lo spostamento della produzione dai campi aperti alle serre. Negli ultimi 20 anni, la percentuale di superficie irrigata in Spagna è aumentata per la maggior parte delle colture oggetto della nostra analisi - prosegue - I vigneti (+19%) e gli oliveti (+12%) sono quelli che hanno subito il maggiore incremento nella percentuale di superficie irrigata tra il 2004 e il 2023. Una maggiore e migliore irrigazione può rappresentare una soluzione per gli agricoltori in alcune aree, ma da sola spesso non riesce a risolvere i problemi a lungo termine legati alla scarsità d'acqua. Ciò è dovuto in parte al fatto che le tecnologie che promuovono modi più efficienti di utilizzare una risorsa come l'acqua comportano un ‘effetto rimbalzo’. In pratica, tali tecnologie abbassano il costo della risorsa, consentendo alle aziende di espandere l'irrigazione a un numero maggiore di terreni, invece che ridurre il consumo complessivo di acqua”. Terza lezione: caldo e siccità spingono alcune produzioni verso aree più adatte. “Se da un lato spostare le coltivazioni in luoghi più favorevoli ha un senso a livello aziendale, dall'altro può anche trasferire problemi come la scarsità d'acqua invece di affrontarne le cause alla radice, soprattutto se si considera che il cambiamento climatico è un processo in corso - osserva Geijer - Quando aree agricole un tempo fertili e produttive vengono abbandonate, spetta anche agli attori della catena del valore alimentare e ai responsabili politici garantire soluzioni a lungo termine per rigenerare i terreni e gli ecosistemi, in modo da contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico”. Quarta lezione: le importazioni agiscono da riserva quando il clima estremo colpisce l'offerta nazionale. “I trasformatori e i distributori di prodotti alimentari devono anche affrontare eventi meteorologici sfavorevoli che possono ridurre l'offerta con breve preavviso. Per le colture e i prodotti agricoli, una delle strategie più comuni è quella di ricorrere alle importazioni per ridurre il divario tra l'offerta prevista e quella effettiva. L'aumento dei prodotti importati può comunque creare problemi operativi per i produttori alimentari, poiché i prodotti importati devono rispettare gli standard dell'Ue e spesso devono anche rispondere a determinate specifiche (come dimensioni, colore o sapore). Un'altra sfida operativa è rappresentata dal trasferimento ai consumatori dei costi aggiuntivi sui prezzi di vendita”, osserva. Infine, quinta lezione: l'aumento delle temperature modifica i modelli di consumo. Secondo lo studio, spiega Geijer, “l'effetto del cambiamento climatico sui modelli di consumo è più pronunciato per i prodotti ‘stagionali’ come le zuppe e i gelati. Alcuni produttori e distributori cercheranno alternative per evitare perdite di fatturato e prenderanno in considerazione azioni per rendere il loro portafoglio prodotti più ‘a prova di clima’. Allo stesso tempo, questo può essere un fattore di crescita per altri prodotti. Tuttavia, la crescita non è distribuita uniformemente nel corso dell'anno e i periodi con temperature estreme sono difficili da prevedere. Per questo, oltre ai modelli di previsione della domanda, i produttori e i distributori hanno bisogno di un certo livello di flessibilità per essere in grado di soddisfare una domanda aggiuntiva con breve preavviso”. Per concludere: “Se si considera l'impatto dei cambiamenti climatici sulla produzione alimentare in Spagna, Italia e Portogallo, è chiaro che vi sono rischi per l'agricoltura e la produzione alimentare, soprattutto quando gli agricoltori non sono in grado di adattarsi. Tuttavia, questi cambiamenti creano anche opportunità per l'innovazione e per le aziende di sfruttare il cambiamento dei modelli di consumo”.