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(Adnkronos) - "Pietà, basta così". La cerimonia d'apertura delle Olimpiadi di Parigi 2024 non piace granché, a giudicare dalla valanga di commenti che compaiono su X e spingono gli hashtag #OpeningCeremony e #Paris2024. Lo show sulla Senna, con la sfilata delle nazionali sui battelli, non riscuote troppi consensi. Lo spazio per gli atleti è ridotto, gli sportivi sono figure marginali nel megaspettacolo di oltre 4 ore che mette a dura prova la tenuta degli spettatori in loco, con la pioggia che non dà tregua, e di quelli che davanti ai teleschermi passano da Lady Gaga al can-can, da Aya Nakamura ai giochi di luci nella notte parigina. "La cerimonia più brutta che io ricordi", sentenziano numerosi utenti, con sfumature diverse alle varie latitudini. Il rimpianto per la tradizione dilaga: meglio le cerimonie vecchio stile, con lo spettacolo abbinato alla sfilata degli atleti all'interno dello stadio 'cuore' dei Giochi. Ecco i video di Londra 2012, con la regina Elisabetta, e quelli di Pechino 2008, con le strepitose esibizioni nella cornice dello stadio Nido d'Uccello. Non piacciono poi alcune scelte artistiche nello show di Parigi: "Una buffonata, una pagliacciata", si legge in molti post che giudicano eccessive e fuori luogo le scelte artistiche, con segmenti che, scrivono in tanti, non hanno nulla a che fare con lo sport, con i Giochi, con gli atleti. Tra le scene più criticate, spicca quella che appare come una rivisitazione dell'ultima cena con drag queen nei panni degli apostoli: "Non ha nulla a che fare con lo spirito olimpico", scrive un utente.
(Adnkronos) - "Il progetto Italian Green Factory per la reindustrializzazione dell’area ex Whirlpool di Napoli sta andando avanti rispettando gli step prefissati nonostante la sua grande complessità. Ricordiamo tra gli obiettivi raggiunti dalla newco nata nel luglio 2023; l’aver riassunto i circa trecento operai in forza alla vecchia multinazionale americana; aver predisposto un piano di formazione che consentirà loro di lavorare nella filiera delle rinnovabili; l’avvio dei lavori di demolizione dei vecchi opifici Whirlpool, gravati dalla presenza di amianto, in fase di rimozione; l’acquisto dell’immobile nell’area Stellantis a Pomigliano D’Arco per accelerare l’avvio delle produzioni in attesa che la nuova fabbrica green sia ultimata". Così, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Felice Granisso, ceo di Italian Green Factory, a un anno dalla fondazione della newco destinata a gestire il processo di reindustrializzazione del sito ex Whirlpool di via Argine a Napoli, riconvertito alla filiera delle rinnovabili. "Vorrei sottolineare -prosegue- l’importanza di aver dotato all’Italia di una produzione di componenti per le rinnovabili così importante e, soprattutto, made in Italy. Segno che il reshoring è possibile e che il nostro Paese ha tutte le capacità tecniche per far fronte alla transizione ecologica e incrementare con volumi importanti la capacità produttiva italiana a servizio della filiera delle rinnovabili", sottolinea. E i prossimi step sono chiari. "Siamo concentrati sui lavori di demolizione a via Argine, e allo stesso tempo ad un piano di accelerazione per far partire la produzione di power skid e inseguitori solari nell’arco dei prossimi 12 mesi al massimo, consentendoci di rispondere alle importanti richieste di forniture già pervenute all’azienda per decine di power skid, ovvero le cabine di trasformazione che consentono di immettere in rete l’elettricità prodotta dai pannelli solari: una commessa del valore di 5 milioni di euro. Sarà questo il banco di prova, inoltre, per i lavoratori del bacino ex Whirlpool affiancati a quelli ’storici’ del gruppo Tea Tek". Un percorso durante il quale, spiega Granisso, "abbiamo certamente sentito il supporto delle istituzioni e del sistema Paese in maniera unitaria, come testimonia l’emendamento approvato in Parlamento sulla cassa integrazione per gli ex Whirlpool". "Fondamentale anche il supporto dei sindacati: si è compresa la necessità di collaborare per il bene della collettività, per le centinaia di famiglie da anni appese agli ammortizzatori sociali", sottolinea. "Inoltre Italian Green Factory ha una forte valenza per il Mezzogiorno ma anche per Napoli che sta conoscendo una importante stagione di riqualificazione economica, urbanistica e culturale", sottolinea. E i numeri complessivi del progetto sono importanti. "Attraverso un investimento di circa 100 milioni di euro puntiamo a portare il bacino occupazionale ad oltre 400 unità, con l’obiettivo di attrarre anche nuovi talenti", sottolinea. "Questi gli asset che Italian Green Factory svilupperà: fabbrica di inseguitori solari che produrrà componenti per tracker. L’obiettivo è coprire il 25% del mercato italiano e il 10% di quello del nord-est europeo. Fabbrica trasformatori: si concentrerà sulla produzione di trasformatori di bassa e media tensione, necessari per i power skid. Fabbrica di power skid: la produzione si concentrerà su cabine di trasformazione per il settore fotovoltaico. Green Innovation Center: dedicato alla ricerca e sviluppo di soluzioni innovative, come tecnologie IoT, AI e machine learning", conclude.
(Adnkronos) - L’ipotetica sostituzione dell'olio di palma con altri oli potrebbe comportare un aumento della deforestazione fino a 52 milioni di ettari a livello globale. Sarebbe questo il costo di un mondo “senza olio di palma” secondo lo studio “Deforestation and greenhouse gas emissions could arise when replacing palm oil with other vegetable oils” condotto da alcuni ricercatori della Fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) e recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista “Science of The Total Environment”. Gli autori dello studio hanno esaminato l’impatto in termini di potenziali cambiamenti nell'uso del suolo, potenziali perdite di stock di carbonio forestale e conseguenti emissioni di gas serra, della sostituzione dell'olio di palma con altri oli vegetali (soia, colza, girasole) a confronto con l'olio di palma privo di deforestazione. “Questo studio ha dimostrato che sostituire ipoteticamente l'olio di palma con le principali tre alternative oleose esistenti a livello globale potrebbe comportare un potenziale rischio di aumento della deforestazione rispetto a quanto già successo con l'olio di palma negli scorsi decenni. Addirittura fino a circa 52 milioni di ettari di foresta potrebbero essere a rischio nei principali paesi produttori di questi tre oli alternativi, ovvero Argentina, Brasile, Canada, Cina, India, Russia, Stati Uniti e Ucraina.” spiega all'Adnkronos Maria Vincenza Chiriacò, ricercatore senior presso la Fondazione Cmcc e prima autrice dello studio. "Quindi spostare la produzione dall'olio di palma verso questi tre oli alternativi potrebbe mettere a rischio questa superficie forestale che invece oggi non è utilizzata per scopi agricoli", aggiunge. Tra le colture oleaginose, la palma da olio è tra le più discusse, in quanto associata alla deforestazione tropicale osservata negli scorsi decenni. Tuttavia, lo studio rivela che se l’intera produzione globale di olio di palma diventasse priva di deforestazione, le emissioni di gas serra correlate alla sua produzione potrebbero ridursi fino al 92%, passando dagli attuali 371 a 29 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all'anno. "La peculiarità dell'olio di palma risiede in una caratteristica unica rispetto agli altri oli e cioè il fatto di avere una grande resa per ettaro quindi una grande efficienza produttiva. In particolare, l'olio di palma supera le tre tonnellate di olio ad ettaro mentre i tre oli alternativi hanno invece una resa che oscilla tra 0,3 e 0,7 tonnellate ad ettaro di olio prodotto", chiarisce Chiriacò. "Ecco pertanto - osserva - che se supponiamo di sostituire l'olio di palma con questi oli alternativi abbiamo bisogno di molta più superficie, addirittura 6-7 volte di più, mettendo a rischio anche la food security. Infatti lo studio dimostra che non solo le aree attualmente coperte da foresta potrebbero essere ipoteticamente interessate dalla coltivazione di questi oli ma, per soddisfare la domanda, potrebbero essere necessari anche i terreni al momento destinati ad altre coltivazioni come grano o riso”. "L'alternativa potrebbe essere quella di continuare a utilizzare l'olio di palma purché questo sia certificato come proveniente da filiere che non abbiano causato alcuna deforestazione, certificati quindi come deforestation-free. Oggi circa il 19% dell'olio di palma globale è certificato come deforestation-free: se aumentassimo questa quota fino al 100% potremmo addirittura ridurre del 92% le emissioni globali causate dalla produzione dell'olio di palma", spiega l’esperta.