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(Adnkronos) - "Qualcuno mi dice 'Antonio abbiamo già vinto': non è cosi'.Pensare di avere già vinto è il modo migliore per perdere. Le elezioni non si vincono con i sondaggi ma andando strada per strada e casa per casa". Così Antonio Decaro, candidato dei Progressisti alla presidenza della Regione Puglia parlando al Palamartino di Bari al comizio finale prima del voto di domenica e lunedì. "Mai nemici, solo avversari. Ringrazio Luigi Lobuono che è una brava persona, per il rispetto e il garbo. Poi ci sono gli altri. Non tratterò come nemici né i ministri del governo, che aspetto qui per lavorare insieme, né l'opposizione in Consiglio regionale". Questa una delle "quattro promesse", come l'ha presentata lui stesso, fatte sul palco del Palamartino. "Ho preparato una bella lista", ha aggiunto. "Sono quattro. La prima è che non vi prometterò nulla che non sia realizzabile. I numeri sono una cosa seria", ha proseguito Decaro. "Io sono un ingegnere, mi hanno sempre insegnato ad avere rispetto dei numeri. Quindi la prima cosa che vi prometto è serietà e realismo. È meno affascinante, lo so, ma più onesto. Sono stato sempre tra la gente, e quando guardi negli occhi una madre che ha paura che il proprio figlio si allontani dalla propria terra, o un operaio che teme di perdere il lavoro, non ce l’hai il coraggio di illuderli. Non ce la fai a tradire le loro speranze con gli annunci da televendita", ha detto ancora. "L'autonomia differenziata è un modo della Lega Nord di dividere il Paese, ha poi ha detto Antonio Decaro, che ha aggiunto: "In questi giorni ho sentito promettere di tutto. Letizia Moratti assessore alla sanità. E poi 200mila nuovi posti di lavoro. Lo sapete quanti sono in Puglia i disoccupati? Sono 160mila. Quindi non solo ci promettono la piena occupazione, ma vi danno in omaggio 40mila posti in più. Amici del centrodestra, ve lo dico con affetto: questa è una campagna elettorale, non è il Black Friday".
(Adnkronos) - E’ la patria della paella, il più internazionale dei piatti spagnoli, e la sua cucina esprime quanto di meglio ha da offrire la Dieta mediterranea. Con un’offerta culinaria che spazia dalle conviviali tapas al fine dining, dallo street food alle risotterie, Valencia è una vera meta per foodies. La terza città della Spagna riflette proprio nella tradizione gastronomica i suoi oltre duemila anni di storia, che hanno visto passare Romani, Visigoti, Musulmani e Cristiani. Che sia per un pellegrinaggio nella Cattedrale dove è custodito il Santo Calice o per una passeggiata tra le architetture avveniristiche dell’archistar Calatrava alla Città delle Arti e della Scienza, il turista in visita a Valencia, su tutte, ha un’esperienza d’obbligo, quella gourmet. E se tra gli edifici gotici e barocchi della Ciutat Vella la scelta non manca, a dare una mano ad orientarsi tra le infinite proposte torna in questi giorni una iniziativa imperdibile per gli amanti del buon mangiare: il Festival Cuina Oberta (https://valenciacuinaoberta.com/). Per dieci giorni, dal 20 al 30 novembre, si possono gustare i menu creati dagli chef di 68 ristoranti della città con prezzi fissi che rendono l'esperienza ancora più appetitosa: 28 euro per il pranzo, 36 per la cena e opzioni gourmet da 48 e 56 euro rispettivamente. Anche i ristoranti stellati Michelin partecipano con menù esclusivi a 80 e 100 euro. E Cuina Oberta non significa solo mettersi a tavola, ma anche partecipare a 16 esperienze originali come laboratori gastronomici, degustazioni e attività speciali per assaporare l'autentica gastronomia valenciana in mille modi. Piatti che combinano tradizioni secolari con le creazioni più innovative degli chef locali. “A Valencia abbiamo otto ristoranti stellati, di cui due con 2 Stelle Michelin e chissà che non ci sia qualche new entry nella Guida del nuovo anno che si presenta fra qualche giorno. Tra l’altro, lo chef Ricard Camarena ha anche la ‘stella verde’ ed è appena stato decretato come il 6° migliore ristorante di vegetali al mondo. Il Festival Cuina Oberta si tiene due volte l’anno, in primavera e in autunno, e propone menù speciali che attraggono anche molti turisti. E gli italiani a Valencia rappresentano il primo mercato come presenze”, sottolinea Leticia Colomer, International Pr & Markets Manager di Visit Valencia (per tutte le informazioni si può visitare il sito www.visitvalencia.com/it e la pagina dedicata del portale dell’Ente Spagnolo del Turismo www.spain.info). Nota come ‘Dispensa del Mediterraneo’, Valencia, che è stata nominata Capitale verde europea nel 2024, ha un modello di sostenibilità anche alimentare. Grazie all’abbondanza di prodotti freschi di stagione provenienti dalle acque del Mediterraneo e dalle coltivazioni che circondano la città, nei 20mila ettari della cosiddetta Huerta e nel parco naturale dell’Albufera, dove dai tempi degli arabi si coltivano diverse varietà locali di riso, ingrediente principe per la paella. E proprio il riso è un piatto centrale nella gastronomia locale (c’è persino il Museo del riso, in un mulino del XX secolo restaurato per mostrare il processo di lavorazione), che viene preparato in oltre 40 modi diversi. A cominciare dalla paella (dal nome della padellona a due manici in cui viene cucinata), che nella versione originale valenciana è a base di carne (pollo e coniglio) e verdure (fagioli garrofó e fagiolini piattoni), lumache e aggiunta di pomodoro grattugiato e un pizzico di paprika, oltre ovviamente al riso, cotto a fuoco vivo e tanto meglio se si attacca a formare uno sottostrato croccante, che ha tanto di nomignolo (socarrat). Ma ci sono tanti altri piatti a base di riso locale, grandi classici come l’arroz a banda, chiamato così perché tradizionalmente il pesce con cui era stato preparato il fumetto veniva servito a un lato (a banda, in valenciano); l’arroz del senyoret, con i gamberi già sgusciati in modo che il ‘cliente-signorino’ non si dovesse sporcare le mani; o l’arroz negro, fatto con il nero di seppia che dà l’inconfondibile colorazione scura; l’arroz al horno (riso al forno), con costine di maiale, pancetta fresca, morcilla (salsiccia di sanguinaccio), pomodoro, patate, ceci. Un’alternativa al riso è la fideuà, servita come la paella ma preparata con spaghettini cortissimi e condita con frutti di mare. A parte il riso, fra i piatti tradizionali valenciani ci sono stufati di pesce come il suquet de peix o all i pebre con le anguille. Dal mare provengono crostacei e molluschi, poi pesci sotto sale e baccalà. In pasticceria molto usati mandorle e miele, retaggio arabo. Il modo migliore per toccare con mano la ricca varietà di ortaggi e di pesce locali è visitare uno dei mercati della città, punto di osservazione privilegiato per immergersi nella vita dei locali e sempre più frequentati dai turisti a caccia di esperienze. Il più importante è sicuramente il Mercato centrale, che è il più grande di prodotti freschi d’Europa. Ospitato in un edificio modernista costruito tra il 1914 e il 1928, la sua facciata spicca al centro di una delle piazze principali della città. Una struttura costituita da colonne in ferro che ricordano la Torre Eiffel, piastrelle e vetrate, ricca di decorazioni ispirate ai prodotti del frutteto e ai giardini di Valencia. In oltre 8mila metri quadrati di superficie trovano posto più di 250 bancarelle, tutte rigorosamente riservate alla vendita dei prodotti perché in questo mercato il cibo si può solo comprare e non consumare come ormai è in voga in moltissimi mercati europei (unica eccezione il Bar Central gestito dallo chef Ricard Camarena). Questo è il regno del Km 0, dove si possono trovare tutti i prodotti freschi degli orti valenciani e tutto il gusto del Mediterraneo, tra cui spiccano frutta e verdura, con arance, pomodori e fagioli in primo piano, e poi carne, formaggi, pesce, prosciutto, spezie, frutta secca. Un’esperienza diversa la offre un altro mercato, quello di Colon, nell’elegante quartiere Ensanche, anch’esso ospitato in un edificio modernista diviso in tre navate, che terminano ai due estremi con due archi giganti di mattoni e pietra. Su due piani, ospita alcuni negozi rinomati come Carnes Varea o Frutería Fina, ma soprattutto una ventina tra bar e ristoranti dove sedersi ai tavoli negli spazi aperti e chiusi. Tra i più noti Habitual dello chef Ricard Camarena, e poi Las Cervezas del mercado, dove degustare le birre artigianali locali, e la horchateria Daniel, una delle tante rivendite di Horchata, bevanda tipica rinfrescante e ricca di vitamine, prodotta con la chufa, un tubero che si coltiva da questi parti per le condizioni particolari del terreno. C’è poi un’altra bevanda che chiunque passi in città deve provare: la Agua de Valencia, un cocktail preparato con succo di arancia, cava, vodka e gin. Si serve in caraffa e si beve in coppa, e a volte la sua dolcezza può ingannare sul grado alcolico. Luogo di nascita di questo leggendario cocktail, che ha tanto di Denominazione di origine, è considerato il Cafè de Madrid, epicentro della società bohemienne valenciana negli anni ‘40 e oggi incorporato nel boutique hotel Marques House. Ma si può degustare anche al Cafè de las Horas, locale-bomboniera curato in ogni dettaglio, dove si beve tra quadri, specchi e broccati: impossibile non passare di qui anche solo per una foto. Se si vuole vivere una mattina da vero ‘local’, però, non può mancare l’esperienza dell’esmorzaret. Conviviale quanto le tapas ma meno ‘globalizzato’, è una sorta di brunch alla spagnola, che è considerato un vero e proprio rito: si consuma tra le 9 e le 12 (lo offrono diversi bar e ristoranti) e prevede un primo giro di arachidi e sottaceti, seguito da un maxi panino con farcitura a scelta, accompagnato da birra o vino o, ancora meglio, vino con gassosa. A chiudere un caffè ‘corretto’, il cremaet, con rum, buccia di limone, aroma di cannella e chicchi di caffè sul fondo. Il Km 0, dunque, è il vero leit motiv della cucina valenciana e che si ritrova anche nei ristoranti innovativi. E gli estimatori del fine dining non rimarranno delusi a Valencia, che ospita nomi di spicco della gastronomia spagnola. Uno su tutti è Ricard Camarena, considerato un vero e proprio alchimista degli ortaggi; nel suo locale nell’ex fabbrica di Bomba Gens, due stelle Michelin e tre soli della Guida Repsol, propone sapientemente una cucina vegetale, con prodotti coltivati nel proprio orto, che gli è valsa anche la stella verde Michelin, che premia l'impegno per la sostenibilità in campo gastronomico. E poi, vicino alla piazza del Municipio, si trova uno dei ristoranti di Quique Dacosta, El Poblet, con due stelle Michelin e due soli Repsol. I prodotti del mare, del frutteto e dell’Albufera sono alla base della cucina dello chef Luis Valls, che interpreta ricette e sapori tradizionali in versione alta cucina. Un altro locale di Quique Dacosta che merita sicuramente una visita è Llisa Negra: propone carni e pesce alla griglia, forno a legna e paella cotta su legno d'arancio. Cucina di prodotto anche presso Entrevins, che vanta un’ampia carta di vini della zona da vitigni autoctoni. Mentre non lontano dal Mercato di Colon, un’esperienza culinaria dove i piatti tradizionali sono rivisitati in chiave innovativa si può fare da Noble, locale di design dall’atmosfera sofisticata. Spostandosi dal centro, una passeggiata sul lungomare offre l’opportunità di vedere le rinomate spiagge di El Cabanyal, Malvarrosa e Patacona, con la moderna Marina di Valencia, con affaccio sulle onde, e di pranzare in uno dei ristoranti fronte mare. Come Casa Carmela, proprio accanto alla Casa Museo dello scrittore valenciano Blasco Ibanez, vero e proprio tempio della paella sfornata a gettito continuo dalla cucina a vista con i fuochi sempre accessi. Fuori dal centro si può abbinare la gastronomia al design scegliendo di mangiare o anche solo bere un caffè in una delle spettacolari strutture progettate dall’architetto valenciano Santiago Calatrava, che formano la Città delle Arti e della Scienza, luogo diventato simbolo della città, dove non manca l’offerta culinaria. Per restare in tema green, ad esempio, nel Caixa Forum risorto nel 2022 come centro multidisciplinare all’interno dell’edificio azzurro dell’Agorà, il punto ristoro è un giardino di piante aromatiche. Per i camminatori provetti, ci si arriva percorrendo i Giardini del Turia, il parco creato negli anni Ottanta lungo il vecchio letto del fiume dopo le trasformazioni che hanno fatto seguito a una delle storiche alluvioni che si sono abbattute sulla città e i suoi dintorni. L’ultima, quella catastrofica di giusto un anno fa, è ormai un brutto ma lontano ricordo e i turisti sono tornati a godere della proverbiale convivialità di questa città e della sua gustosissima cucina.
(Adnkronos) - Come nasce l’informazione sulla plastica? Quanto pesa la scienza e quanto la percezione pubblica? A queste domande ha provato a rispondere il convegno 'Evidenze scientifiche e percezioni sugli imballaggi in plastica: un confronto necessario', promosso oggi dall’Osservatorio Plastica e dall’Università Roma Tre. L’incontro - ospitato dal Dipartimento di Economia Aziendale e aperto dall’intervento di Carlo Alberto Pratesi, professore ordinario di Marketing, Innovazione e Sostenibilità dell’ateneo - ha riunito imprese, comunicatori scientifici, associazioni ambientaliste e dei consumatori per un confronto diretto su uno dei temi più sensibili della transizione ecologica: come si costruisce un’informazione attendibile su un materiale tanto diffuso quanto discusso. Maria Cristina Poggesi (Ippr) ha presentato l’indagine realizzata con Plastic Consult, che offre una fotografia aggiornata sull’impiego delle materie plastiche riciclate nel nostro Paese. La ricerca conferma una filiera dinamica e tecnologicamente avanzata, sostenuta da investimenti e da un crescente impiego di materia prima seconda, ma anche da sfide legate alla disponibilità di materiali, alla qualità dei flussi e alla stabilità del quadro normativo. Secondo il Rapporto, infatti, nel 2024 l’industria italiana ha utilizzato 1,340 milioni di tonnellate di plastiche riciclate in aumento rispetto ai risultati 2021 del +5,1%, e in leggero incremento (+0,2%) rispetto al 2023; il 75% dei materiali proviene da riciclo post-consumo e il 25% da scarti pre-consumo; i polimeri più impiegati sono polietilene (33%), polipropilene (25%) e Pet (20%); i principali settori applicativi sono packaging (39%), edilizia (24%) e arredo urbano. “La sinergia tra il mondo del riciclo e quello della trasformazione ha consentito all’Italia di raggiungere risultati eccellenti proprio dove si compie la realizzazione dell’economia circolare, ovvero nell’effettivo reimpiego delle plastiche riciclate. È un patrimonio che non possiamo perdere, per questo abbiamo ritenuto importante ascoltare le voci di tutta la filiera”, ha dichiarato Maria Cristina Poggesi, direttore di Ippr - Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo. “Per centrare gli obiettivi europei non basta più aumentare il volume della raccolta differenziata degli imballaggi in plastica - ha dichiarato Davide Pollon, responsabile Ricerca e Sviluppo di Corepla - Oggi la priorità è migliorare la qualità della raccolta, ampliare l’impiego di riciclato e fondare l’informazione su evidenze chiare e scientifiche. Solo così potremo accompagnare imprese, cittadini e istituzioni verso decisioni realmente sostenibili e capaci di generare un impatto positivo nel lungo periodo”. “Non esiste un materiale migliore in assoluto: esiste il materiale giusto per ogni utilizzo - ha affermato Erika Simonazzi, direttrice marketing e comunicazione di Flo Group - Quando riciclabile e riciclata, la plastica rappresenta una scelta pienamente sostenibile. Per questo abbiamo appena lanciato il primo bicchiere per distributori automatici con polistirolo riciclato post consumo food grade”. La seconda parte del convegno, dedicata a “Comunicare la scienza”, ha esplorato il ruolo dei media – tradizionali e digitali – nella costruzione dell’immaginario collettivo. Ruggero Rollini, divulgatore scientifico, Giorgio Bagordo, WWF Italia e Silvia Bollani, Responsabile test comparativi di Altroconsumohanno evidenziato come, su temi complessi, la comunicazione rischi spesso di semplificare e polarizzare il dibattito. Il confronto ha mostrato l’importanza di un dialogo costante tra mondo accademico, industria, società civile e comunicazione per migliorare la qualità del dibattito pubblico. Mettere insieme dati, competenze e punti di vista diversi permette infatti di superare percezioni distorte e favorire scelte più consapevoli, essenziali per la transizione ecologica e l’economia circolare.