(Adnkronos) - L'alieno che sta conquistando - più di altri e anno dopo anno - i nostri mari si chiama pesce scorpione o leone per i suoi aculei che disegnano quasi una criniera. Bello da vedere, ma da lontano, perché pungersi con le sue spine può essere molto doloroso. Tra le nuove specie - chiamate aliene perché arrivate da lontano - è proprio lo 'scorpione' a dare "segni più significativi di espansione. E' arrivato in tutto lo Jonio e la specie sta esplodendo anche in Croazia e, quindi, nell'Adriatico", spiega all'Adnkronos Salute Ernesto Azzurro, ricercatore dell'Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim) di Ancona. L'esperto ricorda la continua attività di monitoraggio e informazione attraverso la campagna di Ispra e Cnr-Irbim, riattivata anche quest'anno, 'Attenti a quei 4', in collaborazione con il progetto AlienFish, per informare sulla presenza nei nostri mari proprio del pesce scorpione e di altre tre specie tropicali potenzialmente pericolose: pesce palla maculato, pesce coniglio scuro e pesce coniglio striato. Un impegno a cui possono collaborare anche i cittadini attraverso il gruppo Facebook Oddfish, che raccoglie segnalazioni di eventi particolari, specie aliene e curiosità. "Non è il caso di fare allarmismo, però - precisa Azzurro -. Non c'è un pericolo generalizzato, ma solo la necessità di essere informati, sapere con chi abbiamo a che fare. Si tratta di pesci commestibili a eccezione del pesce palla maculato che è molto velenoso. Basta tenersi alla debita distanza e sapere come comportarsi. Sono pesci anche molto belli da vedere. Semplicemente bisogna saper riconoscerli ed essere coscienti del pericolo". In generale, negli ultimi 30 anni il fenomeno dello spostamento di specie aliene nei nostri mari ha subito una forte accelerazione. "Basandoci su numerose evidenze scientifiche - conclude il ricercatore - si può affermare che il mare del futuro sarà molto diverso da quello che abbiamo conosciuto".
(Adnkronos) - "L'export del mercato americano ammonta a circa 170 milioni di euro e ovviamente l'incidenza del dazio è conseguente a questo volume. Quindi se consideriamo di un 15% di questi 170 milioni di euro si tratta di circa 24 milioni di euro, una cifra considerevole, impattante. Abbiamo preso un bello schiaffo, perchè il pecorino romano negli Usa si vende da 140 anni e non ha mai pagato dazio. Quindi siamo passati da uno zero a un più 15% e per noi è un danno non da poco". E' l'allarme che, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop, lancia sui possibili effetti dei dazi al 15% per i prodotti europei stabilito dall'intesa Usa-Ue su uno dei prodotti icona del made in Italy. "Il pecorino romano negli Usa -continua Maoddi- non ha mai pagato il dazio e si vende negli Usa da 140 anni, neanche in precedenza nel 2019 quando vennero introdotti i dazi a prodotti europei nella precedente amministrazione Trump. Il pecorino romano ne uscì indenne perché si riuscì a far capire all'amministrazione di quel tempo che ovviamente si trattava di una produzione particolare, con delle peculiarità assolutamente uniche, che di fatto poi non entrava in competizione con la produzione americana", aggiunge. E Maoddi ricorda quelli che sono i numeri del Pecorino romano Dop. "Siamo un consorzio che racchiude circa 40 produttori, che completano una filiera formata da circa 8.500 allevatori distribuiti tra Sardegna, Lazio e provincia di Grosseto con una produzione che si attesterà nel 2025 intorno alle 39.000 tonnellate di pecorino, delle quali circa il 70% esportato nel mondo. E di questo circa il 40% negli Stati Uniti, che rappresentano il nostro primo mercato in assoluto di vendita oltre al mercato nazionale", spiega Maoddi. Maoddi sottolinea come "il 33-35% della produzione è destinato al mercato nazionale, il 35-37% al mercato americano, e la restante quota al resto del mondo, e quindi Unione Europea, a seguire il Canada, il Giappone, l'Australia". Ma il presidente del Consorzio resta ottimista su una possibile esenzione del Pecorino romano dai dazi. "Io sono convinto che ci sarà un momento successivo a questo che stiamo vivendo -spiega- nel quale ci sarà spazio per entrare come nel dettaglio dei singoli prodotti e per definire insomma delle esenzioni. A mio parere, infatti, ci sono dei prodotti come il nostro che non possono essere replicati su quel mercato e che di fatto non entrano in competizione con quelli Usa. Se però non si riuscisse a farlo e ci fosse questo dazio al 15% questo avrebbe un impatto importante su tutta la filiera perché i numeri che rappresentano il mercato americano sono importanti e quindi è ovvio che ci sarebbero dei riflessi su tutta la filiera in termini di valori e in termini di quantità vendute", sottolinea. Maoddi ricorda anche che il comportamento del Consorzio negli Usa è lineare. "Non creiamo questioni legate né tanto all'utilizzo del marchio o del nome, e di fatto è già presente anche nella produzione americana una produzione di formaggio che si chiama Romano, formaggio industriale fatto di latte vaccino che viene utilizzato per il condimento per la preparazione di cibi pronti e di salsa. Questa è una situazione con la quale noi conviviamo e che testimonia che la nostra non è una produzione che ostacola quelle americane". "Quindi io mi auguro veramente che ci sia un momento nel quale si possa entrare nel dettaglio delle singole produzioni e a quel punto non credo ci siano problemi da parte dell'amministrazione americana nel riconoscere le peculiarità del nostro prodotto", sottolinea. Ma come viene distribuito il Pecorino romano dop negli Usa? "Il pecorino romano viene venduto in America su due canali: uno -spiega Maoddi- è quello dell'industria alimentare nel quale viene utilizzato come ingrediente per le sue qualità uniche di condimento di insaporimento. L'altro è invece il canale retail che è quello più vicino al consumatore. Di questi due canali sicuramente il primo è quello più sensibile al dazio al 15% e che farà più fatica ad assorbirlo. C'è il concreto rischio che il nostro prodotto venga sostituito in parte o del tutto da altri prodotti, con costi minori, come ingrediente nell'industria alimentare statunitense", aggiunge ancora. Per quanto riguarda il canale retail, secondo Maoddi, negli Usa "se già oggi un consumatore americano paga circa 35 dollari un chilo di formaggio pecorino non cambierà molto se lo pagherà diciamo 39, perchè stiamo parlando di un di un consumatore che ha delle possibilità importanti di vendita e quindi il dazio sicuramente non inciderà in maniera importante sul suo bilancio". "Le cose potrebbero cambiare invece nell'utilizzo nell'industria, dove il pecorino di solito fa parte di una miscela di altri prodotti, di altri ingredienti, che di fatto sono sempre molto 'attenzionati' nella formazione di quello che poi è il costo di un prodotto finale. Con i dazi si rischia che cambi la quantità di pecorino inserito in queste miscele, sostituito in parte da altri prodotti con minor costo, o che addirittura in alcuni casi venga sostituito completamente", lancia l'allarme Maoddi. Di certo il management del Consorzio sta concentrando le forze per trovare una soluzione. "Io non nascondo che il Consorzio non assiste da spettatore in questo momento e, attraverso una serie di attività, stiamo cercando di coinvolgere la politica americana. Abbiamo avuto audizioni a livello europeo presso i gabinetti del commissario dell'Agricoltura Hansen e del commissario Sefcovic per quanto riguarda il commercio. Abbiamo dato ovviamente le nostre indicazioni, abbiamo fatto valere quelle che sono le nostre peculiarità di questo prodotto. Stiamo cercando di coinvolgere il più possibile la politica affinché spinga su questa richiesta di esenzione del dazio per il nostro prodotto che secondo me è conveniente non solo per noi, ma anche per l'amministrazione Trump che di fatto ha un elemento che potrebbe poi utilizzare per far vedere che c'è apertura da parte loro. Su un prodotto che non va a intaccare, non va a disturbare nessuna produzione americana sul mercato", sottolinea ancora Maoddi. E dalla politca italiana c'è attenzione sul settore. "Devo dire -spiega- che la politica ci sta ascoltando. Il ministro dell'Agricoltura si è da subito reso disponibile con il suo staff ad ascoltarci, a metterci nelle condizioni di poter dialogare con queste strutture sia a livello europeo, quindi attraverso la Commissione europea, che a livello americano tramite l'ambasciata con la quale abbiamo veramente un filo diretto. Ma abbiamo un filo diretto anche col Ministero, ripeto, che si è da subito all'operato. Quindi io sono convinto che loro faranno tutto il possibile. Io ho sentito il ministro anche l'altro ieri e nelle sue parole ho sentito veramente l'attenzione, la vicinanza per questo comparto e questo mi fa molto piacere", conclude.
(Adnkronos) - “Il Programma Emtn è molto importante perché sancisce il ritorno a raccogliere capitali in Italia, rafforzando il mercato dei capitali italiani che negli ultimi anni ha sofferto l'emorragia verso mercati esteri. L'Italia non ha nulla da invidiare agli altri paesi. Riteniamo che il rimpatrio in Italia sia la mossa giusta negli interessi di Iren e del sistema economico italiano”. Sono le dichiarazioni di Luca Dal Fabbro, presidente di Iren, alla ‘Ring the Bell Ceremony’ organizzata a Palazzo Mezzanotte da Iren per celebrare la costituzione del nuovo Programma Emtn (Euro Medium Term Notes). Iren ha rinnovato il proprio Programma incrementando l’ammontare massimo da 4 a 5 miliardi di euro. Il Prospetto informativo relativo al Programma è stato approvato da Consob e ha ottenuto il giudizio di ammissibilità alla quotazione sul Mercato telematico delle obbligazioni (Mot) da parte di Borsa Italiana. Un ruolo importante è riservato alla sostenibilità. “Il denaro che raccogliamo sul mercato - prosegue Dal Fabbro - serve per aumentare gli investimenti sulla resilienza ambientale, sul rafforzamento delle reti idriche, sull'efficientamento del parco termoelettrico, il fotovoltaico, l'eolico. Alimentiamo progetti che devono essere sostenibili e che aumentano la resilienza ambientale. Siamo convinti che si tratti di un buon investimento che, da un lato, offre rendimento agli azionisti e dall’altro rende l’azienda più solita. Investire nella sostenibilità non è un peso, ma una grande opportunità di rendere le aziende più solide”. Nella scelta di procedere all’emissione di nuovi titoli obbligazionari ha influito la semplificazione burocratica e normativa: “È stato fatto un grandissimo lavoro di semplificazione da parte di Borsa Italiana e Consob - aggiunge - questo è uno degli elementi che ci ha indotto a investire. Faccio i complimenti al team di Consob e di Borsa Italiana. Grande lavoro a beneficio di emittenti come la nostra e di tutte le imprese italiane. L’Italia deve tornare a fare industria, nel nostro Paese abbiamo una iper finanziarizzazione del sistema italiano, ma facendo industria ci saranno soldi per alimentare la finanza”. Infine una considerazione sul nucleare: “Il nucleare è un orizzonte molto lungo. Per fare una centrale nucleare ci vogliono tra i 10 e i 15 anni. Il suggerimento che darei a chi parla di nucleare è di sopravvivere nei prossimi 5-10 anni facendo quello che è possibile e in parallelo studiare le migliori forme per produrre energia elettrica sostenibile e sicura., con tutte le fonti, nessuna esclusa” conclude Dal Fabbro.