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(Adnkronos) - Sviluppare soluzioni innovative per la depurazione delle acque di sentina, quelle acque sporche accumulate nei fondali delle navi contenenti oli, idrocarburi e sostanze inquinanti. Come? Con un investimento di 20 milioni di euro in 5 anni, fino a 120 nuovi posti di lavoro altamente qualificati, una scommessa su ricerca e sviluppo con l’obiettivo di attrarre e trattenere i migliori talenti italiani e di attivare filiere locali a elevato contenuto tecnologico. L'obiettivo e i numeri, ambiziosi, del piano industriale 2025–2029 di BlueShield Technology, sono l'espressione concreta di un’industria sostenibile che non si limita a mitigare i danni ambientali, ma si propone di prevenirli alla radice, intervenendo sul fronte più critico e meno presidiato dell’inquinamento navale: il trattamento delle acque di sentina. Un segmento tecnico finora affrontato con soluzioni obsolete e poco efficaci, che oggi può essere ripensato in chiave tecnologica, etica e rigenerativa. BlueShield Technology è una società italiana nata nel 2024 come spin-off del Gruppo Horizon, azienda attiva da più di 10 anni nel settore dell’ingegneria infrastrutturale e degli impianti tecnologici. Nel 2023 il Gruppo ha, inoltre, acquisito Signorotto Fire Service, ampliando così la propria capacità al settore della sicurezza antincendio e della formazione in materia di prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro. Una realtà, Horizon Group, che punta a raggiungere oltre 80 milioni di fatturato nei prossimi anni e più di 200 posti di lavoro. BlueShield si configura come una Società Benefit, coniugando innovazione tecnica e valori sociali e ambientali. Il cuore della tecnologia è il sistema BlueSheer, che depura le acque di sentina attraverso una combinazione di filtri intelligenti. Particolarmente innovativo è il sistema brevettato di rigenerazione che permette di pulire automaticamente i filtri con fluidi a impatto ambientale nullo, evitando la sostituzione e consentendo un riutilizzo praticamente illimitato, con notevole riduzione di sprechi e costi. Grazie a questa tecnologia, le navi possono scaricare acqua pulita in mare, in conformità alle normative internazionali e contribuendo attivamente alla protezione degli oceani. Il sistema è compatto, consuma meno di 5 kW/h e può essere installato anche in spazi ridotti, rendendolo adatto a diverse tipologie di navi. Il suo approccio integrato prevede non solo il trattamento delle acque, ma anche il recupero e riuso di oli e idrocarburi, destinabili a essere riutilizzati come combustibili marini o impiegati nella cosmetica e nella farmaceutica. Tra le soluzioni complementari si segnalano: SeaHero, servizio di pronto intervento ambientale in caso di sversamenti di petrolio o idrocarburi; HydroGuard, sistema per la depurazione delle acque industriali, progettato per impianti produttivi ad alta efficienza e sostenibilità. L’impresa ha annunciato un piano industriale che prevede: un investimento di 20 milioni di euro in 5 anni; fino a 120 nuovi posti di lavoro altamente qualificati; un forte investimento in ricerca e sviluppo con l’obiettivo di attrarre e trattenere i migliori talenti italiani e di attivare filiere locali a elevato contenuto tecnologico; un fatturato annuo di circa 29 milioni. Sebbene la prima applicazione sia in ambito navale, l’espansione progressiva è prevista anche in altri settori strategici, con un’estensione sia nel mercato europeo sia extraeuropeo. In tale contesto si inserisce il recente ingresso in società di Fausto Bianchi, imprenditore, Presidente di Unindustria Latina e figura di riferimento del sistema confindustriale, che assume la carica di amministratore con delega alle Relazioni Industriali di BlueShield. L’azienda, infatti, era alla ricerca di figure manageriali in grado di studiare la migliore collocazione per l’insediamento industriale. Mettendo a disposizione il proprio ruolo istituzionale e le proprie competenze manageriali, è con Bianchi che BlueShield investirà a Latina, con una sede e un primo stabilimento di produzione nel territorio pontino. Una scelta in linea con le ambizioni del territorio di diventare sempre più un polo meccanico e meccatronico della regione Lazio. Questo sodalizio, tra Fausto Bianchi (Presidente di Unindustria Latina), Massimiliano Ceresani (Executive Chairman del Gruppo Horizon) e Antonio Incalza (CEO del Gruppo Horizon), nato nell’alveo di Unindustria – associazione laziale di Confindustria – rappresenta una conferma della forza generativa delle reti territoriali e delle capacità attrattive di una leadership imprenditoriale ancorata allo sviluppo locale e di un nuovo desiderio di fare sistema tra le aziende. Un’operazione coerente anche con il Piano industriale del Lazio 2025, la strategia condivisa da Unindustria e dalla Regione Lazio, che nei prossimi 4 anni punta, tra i vari obiettivi, ad una crescita dimensionale delle aziende del territorio, medie e piccole, così come alla crescita dell’occupazione di qualità nei settori manifatturieri ad alta e medio-alta tecnologia. Nel panorama della transizione ecologica e dell’economia circolare, e in particolare all’interno della blue economy, BlueShield si distingue come un esempio virtuoso di collaborazione tra mondo della ricerca e impresa. L’azienda, infatti, ha deciso di investire su un team di ricerca e sviluppo dedicato alla progettazione di tecnologie innovative per il trattamento delle acque reflue, con un focus iniziale sulle acque di sentina. I ricercatori – un chimico e un ingegnere chimico – provenienti dal mondo universitario sono quindi parte integrante del team aziendale, contribuendo attivamente alla progettazione, allo sviluppo e alla realizzazione di impianti prototipali e industriali. Questo modello di collaborazione ha permesso di coniugare la profondità dell’approccio scientifico con la visione pragmatica dell’impresa, generando un equilibrio tra tempi di ricerca e obiettivi di mercato.
(Adnkronos) - "L'export del mercato americano ammonta a circa 170 milioni di euro e ovviamente l'incidenza del dazio è conseguente a questo volume. Quindi se consideriamo di un 15% di questi 170 milioni di euro si tratta di circa 24 milioni di euro, una cifra considerevole, impattante. Abbiamo preso un bello schiaffo, perchè il pecorino romano negli Usa si vende da 140 anni e non ha mai pagato dazio. Quindi siamo passati da uno zero a un più 15% e per noi è un danno non da poco". E' l'allarme che, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino romano Dop, lancia sui possibili effetti dei dazi al 15% per i prodotti europei stabilito dall'intesa Usa-Ue su uno dei prodotti icona del made in Italy. "Il pecorino romano negli Usa -continua Maoddi- non ha mai pagato il dazio e si vende negli Usa da 140 anni, neanche in precedenza nel 2019 quando vennero introdotti i dazi a prodotti europei nella precedente amministrazione Trump. Il pecorino romano ne uscì indenne perché si riuscì a far capire all'amministrazione di quel tempo che ovviamente si trattava di una produzione particolare, con delle peculiarità assolutamente uniche, che di fatto poi non entrava in competizione con la produzione americana", aggiunge. E Maoddi ricorda quelli che sono i numeri del Pecorino romano Dop. "Siamo un consorzio che racchiude circa 40 produttori, che completano una filiera formata da circa 8.500 allevatori distribuiti tra Sardegna, Lazio e provincia di Grosseto con una produzione che si attesterà nel 2025 intorno alle 39.000 tonnellate di pecorino, delle quali circa il 70% esportato nel mondo. E di questo circa il 40% negli Stati Uniti, che rappresentano il nostro primo mercato in assoluto di vendita oltre al mercato nazionale", spiega Maoddi. Maoddi sottolinea come "il 33-35% della produzione è destinato al mercato nazionale, il 35-37% al mercato americano, e la restante quota al resto del mondo, e quindi Unione Europea, a seguire il Canada, il Giappone, l'Australia". Ma il presidente del Consorzio resta ottimista su una possibile esenzione del Pecorino romano dai dazi. "Io sono convinto che ci sarà un momento successivo a questo che stiamo vivendo -spiega- nel quale ci sarà spazio per entrare come nel dettaglio dei singoli prodotti e per definire insomma delle esenzioni. A mio parere, infatti, ci sono dei prodotti come il nostro che non possono essere replicati su quel mercato e che di fatto non entrano in competizione con quelli Usa. Se però non si riuscisse a farlo e ci fosse questo dazio al 15% questo avrebbe un impatto importante su tutta la filiera perché i numeri che rappresentano il mercato americano sono importanti e quindi è ovvio che ci sarebbero dei riflessi su tutta la filiera in termini di valori e in termini di quantità vendute", sottolinea. Maoddi ricorda anche che il comportamento del Consorzio negli Usa è lineare. "Non creiamo questioni legate né tanto all'utilizzo del marchio o del nome, e di fatto è già presente anche nella produzione americana una produzione di formaggio che si chiama Romano, formaggio industriale fatto di latte vaccino che viene utilizzato per il condimento per la preparazione di cibi pronti e di salsa. Questa è una situazione con la quale noi conviviamo e che testimonia che la nostra non è una produzione che ostacola quelle americane". "Quindi io mi auguro veramente che ci sia un momento nel quale si possa entrare nel dettaglio delle singole produzioni e a quel punto non credo ci siano problemi da parte dell'amministrazione americana nel riconoscere le peculiarità del nostro prodotto", sottolinea. Ma come viene distribuito il Pecorino romano dop negli Usa? "Il pecorino romano viene venduto in America su due canali: uno -spiega Maoddi- è quello dell'industria alimentare nel quale viene utilizzato come ingrediente per le sue qualità uniche di condimento di insaporimento. L'altro è invece il canale retail che è quello più vicino al consumatore. Di questi due canali sicuramente il primo è quello più sensibile al dazio al 15% e che farà più fatica ad assorbirlo. C'è il concreto rischio che il nostro prodotto venga sostituito in parte o del tutto da altri prodotti, con costi minori, come ingrediente nell'industria alimentare statunitense", aggiunge ancora. Per quanto riguarda il canale retail, secondo Maoddi, negli Usa "se già oggi un consumatore americano paga circa 35 dollari un chilo di formaggio pecorino non cambierà molto se lo pagherà diciamo 39, perchè stiamo parlando di un di un consumatore che ha delle possibilità importanti di vendita e quindi il dazio sicuramente non inciderà in maniera importante sul suo bilancio". "Le cose potrebbero cambiare invece nell'utilizzo nell'industria, dove il pecorino di solito fa parte di una miscela di altri prodotti, di altri ingredienti, che di fatto sono sempre molto 'attenzionati' nella formazione di quello che poi è il costo di un prodotto finale. Con i dazi si rischia che cambi la quantità di pecorino inserito in queste miscele, sostituito in parte da altri prodotti con minor costo, o che addirittura in alcuni casi venga sostituito completamente", lancia l'allarme Maoddi. Di certo il management del Consorzio sta concentrando le forze per trovare una soluzione. "Io non nascondo che il Consorzio non assiste da spettatore in questo momento e, attraverso una serie di attività, stiamo cercando di coinvolgere la politica americana. Abbiamo avuto audizioni a livello europeo presso i gabinetti del commissario dell'Agricoltura Hansen e del commissario Sefcovic per quanto riguarda il commercio. Abbiamo dato ovviamente le nostre indicazioni, abbiamo fatto valere quelle che sono le nostre peculiarità di questo prodotto. Stiamo cercando di coinvolgere il più possibile la politica affinché spinga su questa richiesta di esenzione del dazio per il nostro prodotto che secondo me è conveniente non solo per noi, ma anche per l'amministrazione Trump che di fatto ha un elemento che potrebbe poi utilizzare per far vedere che c'è apertura da parte loro. Su un prodotto che non va a intaccare, non va a disturbare nessuna produzione americana sul mercato", sottolinea ancora Maoddi. E dalla politca italiana c'è attenzione sul settore. "Devo dire -spiega- che la politica ci sta ascoltando. Il ministro dell'Agricoltura si è da subito reso disponibile con il suo staff ad ascoltarci, a metterci nelle condizioni di poter dialogare con queste strutture sia a livello europeo, quindi attraverso la Commissione europea, che a livello americano tramite l'ambasciata con la quale abbiamo veramente un filo diretto. Ma abbiamo un filo diretto anche col Ministero, ripeto, che si è da subito all'operato. Quindi io sono convinto che loro faranno tutto il possibile. Io ho sentito il ministro anche l'altro ieri e nelle sue parole ho sentito veramente l'attenzione, la vicinanza per questo comparto e questo mi fa molto piacere", conclude.
(Adnkronos) - L'Organizzazione Meteorologica Mondiale (Omm-Wmo) ha certificato il nuovo record mondiale per il fulmine più lungo: ben 829 km in un noto hotspot per le tempeste negli Stati Uniti, le Grandi Pianure del Nord America. Il 'megaflash' - fa sapere il Wmo in una nota - si è verificato nell'ottobre 2017, durante un violento temporale: si è esteso dal Texas orientale fino a Kansas City, una distanza equivalente a quella tra Parigi e Venezia in Europa. Un'auto impiegherebbe dalle otto alle nove ore e un aereo commerciale almeno 90 minuti per coprire quella distanza. "I fulmini sono fonte di meraviglia ma anche un grave pericolo che miete numerose vittime in tutto il mondo ogni anno e rappresentano quindi una delle priorità dell'iniziativa internazionale 'Early Warnings for All'. Queste nuove scoperte evidenziano importanti preoccupazioni per la sicurezza pubblica in merito alle nubi elettriche, che possono produrre fulmini che percorrono distanze estremamente grandi, hanno un impatto significativo sul settore dell'aviazione e possono innescare incendi boschivi", ha dichiarato il segretario generale dell'Omm Celeste Saulo. Il Comitato per gli Estremi Meteorologici e Climatici dell'Omm, che tiene registri ufficiali degli estremi globali, emisferici e regionali, ha riconosciuto il nuovo record con l'aiuto delle più recenti tecnologie satellitari. I risultati sono stati pubblicati sul Bulletin of the American Meteorological Society. Il nuovo record di 829 km presenta un margine di errore di ± 8 km. È di 61 chilometri superiore al record precedente, che copriva una distanza di 768 ± 8 km in alcune zone degli Stati Uniti meridionali il 29 aprile 2020. "Questo nuovo record dimostra chiaramente l'incredibile potenza dell'ambiente naturale. Inoltre, la valutazione dell'Omm di eventi estremi ambientali come questo record testimonia i significativi progressi scientifici nell'osservazione, nella documentazione e nella valutazione di tali eventi. È probabile che esistano anche eventi estremi ancora più gravi e che saremo in grado di osservarli man mano che nel tempo si accumuleranno ulteriori misurazioni di fulmini di alta qualità", ha affermato il professor Randall Cerveny, relatore del rapporto sugli estremi meteorologici e climatici dell'Omm.