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(Adnkronos) - La presidenza siriana ha proclamato il 7 e l'8 dicembre due giorni di Festa della Liberazione per celebrare il primo anniversario della caduta del regime di Bashar al-Assad. Una ricorrenza definita dal leader Ahmed al-Sharaa un "momento determinante nella storia politica moderna del Paese", a un anno da quell'offensiva lampo in cui l'ex jihadista - con un'azione rapida e inattesa - riuscì a rovesciare uno dei regimi più sanguinari del Medio Oriente. L'8 dicembre 2024, dopo l'avanzata dei gruppi ribelli guidati da Hayat Tahrir al-Sham, Assad fu costretto a lasciare Damasco insieme alla famiglia per riparare in esilio a Mosca, una fuga precipitosa resa inevitabile dal venir meno del sostegno dei suoi due principali alleati, Russia e Iran, entrambi assorbiti da conflitti che hanno inevitabilmente ridotto la loro capacità di sostenere l'alleato siriano. Da allora al-Sharaa è diventato il protagonista assoluto della nuova Siria post-Bashar, avviando un'intensa attività diplomatica per reinserire il Paese nel consesso internazionale dopo anni di isolamento. Nell'ultimo anno ha incassato una serie di aperture da parte di diversi leader occidentali, tra cui Donald Trump, che lo ha accolto alla Casa Bianca il 10 novembre, avviando il processo per un graduale allentamento delle sanzioni contro Damasco. Anche i Paesi del Golfo guardano con favore alla nuova leadership, dopo aver sostenuto in passato - non senza contraddizioni - alcuni dei gruppi armati che combatterono Assad. Restano invece ostili i rapporti con Israele, nonostante i tentativi di al-Sharaa di riaprire un canale di dialogo. La Siria del nuovo corso, forte di un'alleanza stretta con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sta cercando di riposizionarsi geopoliticamente dopo decenni di dipendenza politico-militare da Mosca e Teheran e dopo gli anni finali del regime, segnati dall'esplosione del traffico di captagon, la droga che ha generato miliardi di dollari di profitti clandestini. Rimane però gravissima la situazione economica: il Pil è crollato di oltre il 70% dal 2011 e decine di milioni di cittadini vivono senza servizi adeguati. In un anno al-Sharaa non ha potuto risolvere i problemi strutturali, ma ha evitato un nuovo conflitto civile su vasta scala e ha smentito chi temeva un'imposizione di rigidi codici religiosi: a Damasco bar e locali restano aperti e non sono state introdotte nuove restrizioni contro le donne. Restano tuttavia forti preoccupazioni per gli strumenti di governo adottati dal leader siriano, accusato da più parti di costruire strutture parallele allo Stato e di affidarle a figure a lui personalmente legate, inclusi ex compagni jihadisti. Rimangono inoltre alte le tensioni con le minoranze, dopo due massacri compiuti da forze pro-governative ai danni di alawiti e drusi. Al-Sharaa ha condannato gli episodi, ma molte comunità continuano a temere un potere dominato da un'élite sunnita. Sullo sfondo, nuove rivelazioni hanno riacceso i riflettori sui crimini del regime di Assad. Un'inchiesta dell'emittente pubblica tedesca ha rivelato l'esistenza di un database con oltre 70mila fotografie e migliaia di documenti riservati, fatto trapelare da un ex membro dell'esercito siriano. Le immagini, scattate tra il 2015 e il 2024, ritraggono 10.212 cadaveri - uomini, donne, minori e almeno un neonato - molti dei quali mostrano segni evidenti di tortura, malnutrizione e maltrattamenti. Dall'esilio a Mosca, intanto, figure di spicco del vecchio apparato - tra cui il generale Kamal Hassan, ex capo dell'intelligence militare, e il magnate Rami Makhlouf, cugino di Assad - starebbero finanziando milizie allo scopo di destabilizzare il Paese. Secondo fonti locali, milioni di dollari sarebbero stati inviati a oltre 50mila potenziali combattenti, soprattutto nelle comunità alawite. Il prossimo passaggio cruciale sarà la formazione del nuovo Parlamento, prevista a gennaio. L'Assemblea potrebbe diventare il primo vero contrappeso istituzionale dopo decenni di potere personale oppure trasformarsi in una nuova camera simbolica. Un test decisivo per capire la direzione della Siria nel post-Assad.
(Adnkronos) - I numeri diffusi dall’Arma dei Carabinieri rivelano un’emergenza che non può essere ignorata: da gennaio a settembre 2025 i reati da Codice Rosso hanno superato quota 40mila, con 6.673 arresti tra maltrattamenti in famiglia, atti persecutori e violenze sessuali. Un quadro che conferma la necessità di non confinare la lotta alla violenza di genere alle ricorrenze simboliche ma di affrontarla ogni giorno dove si formano le relazioni, dove si genera dipendenza economica e dove può nascere, o essere contrastata, la discriminazione: nei luoghi di lavoro. E' da questa consapevolezza che nasce il convegno 'Oltre il 25 novembre: la forza della prevenzione, la voce delle donne', promosso da Federmanager e Federmanager Minerva con il patrocinio dell’Arma dei Carabinieri. Una giornata che ha posto al centro una notizia fondamentale: per prevenire la violenza non bastano le norme, serve un’alleanza strutturale e continua tra istituzioni, imprese e management, un dialogo concreto capace di tradurre i principi in comportamenti e i diritti in tutele reali. La violenza, nelle sue molte forme, non è un atto improvviso: spesso è figlia di una cultura che deve essere cambiata. Lo confermano i dati sulla violenza economica della Global thinking foundation che mostrano come solo il 58% delle donne ha un conto corrente intestato personale, il 12,9% ne ha solo uno intestato con il partner o altro familiare e una percentuale compresa tra il 49,5 al 65,9% prende le decisioni inerenti ai soldi insieme al partner. E' una vulnerabilità che si riflette anche nel mondo produttivo, perché dove manca autonomia economica manca libertà di scelta, e dove questa manca le molestie possono radicarsi più facilmente. Federmanager porta in questa discussione una chiave decisiva: il lavoro come prima linea della prevenzione. Nelle aziende occorre rafforzare una cultura del rispetto, basata su impegno, responsabilità, coerenza e capacità di allinearsi agli obiettivi valoriali dell’organizzazione. Una cultura che si costruisce attraverso l’esempio dei manager, che con i loro comportamenti quotidiani determinano il clima e il livello di sicurezza percepita dai lavoratori e dalle lavoratrici. Perché è proprio dall’osservazione degli ambienti lavorativi che si comprende quanto la diffusione delle molestie non sia un episodio isolato ma il sintomo di una cultura che va ripensata. Il nuovo ccnl dei dirigenti, rinnovato da Federmanager, si inserisce in questo percorso come un presidio avanzato: non solo valorizza la figura manageriale, ma introduce strumenti moderni e concreti su pari opportunità, genitorialità, equità retributiva, benessere e prevenzione, confermandosi un contratto capace di tutelare e orientare. E' una leva strategica perché, quando il contratto cresce, cresce anche la cultura aziendale. E quando la cultura aziendale cresce, arretra inevitabilmente lo spazio per abusi e disparità. In questo scenario il ruolo delle istituzioni resta centrale. L’Arma dei Carabinieri, che ha patrocinato l’evento anche alla luce del protocollo d’intesa firmato con Federmanager nel 2024, ha presentato il 'violenzametro', uno strumento utile per riconoscere precocemente situazioni potenzialmente pericolose e incoraggiare la richiesta di aiuto. Un contributo concreto alla costruzione di un sistema di prevenzione diffuso e accessibile "L’impegno costante della nostra Federazione nella promozione di modelli inclusivi ci ha portato a conseguire la certificazione per la parità di genere, diventando tra le prime organizzazioni rappresentative a ottenerla", ha sottolineato in apertura il presidente Federmanager, Valter Quercioli. "Consapevoli dell’importanza strategica dell’inclusione per le imprese, continuiamo a lavorare per valorizzare ogni talento. L’incontro è un momento necessario per mantenere vivo il dialogo e ampliare la consapevolezza sulla prevenzione della violenza di genere". Il dibattito, moderato da Marina Marinetti, condirettrice di Economy, ha riunito esponenti istituzionali, rappresentanti del mondo manageriale, esperti di diritto e professionisti impegnati sul fronte della tutela: la deputata Martina Semenzato, presidente Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, Monica Lucarelli, assessora alle Attività Produttive, alle pari opportunità e all’attrazione investimenti del Comune di Roma, Samanta Cimolino, maggiore sezione atti persecutori Racis, Luciana Delfini, presidente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Roma e Consigliera di parità supplente della Regione Lazio, Maria De Renzis, coordinatrice nazionale Federmanager Minerva, Simona Signoracci, presidente Fondazione Vises Ets, Maria Cristina Cerrato, avvocata Ufficio legale Differenza Donna, Antonio Cavallera, direttore Human capital & organization Autostrade per l’Italia. Interventi che hanno evidenziato come la prevenzione sia possibile solo se l’intero sistema azienda – dai vertici ai collaboratori – assume una visione condivisa: riconoscere, ascoltare, intervenire. La violenza di genere non è un problema privato: è una questione sociale, culturale, organizzativa. E Federmanager ricorda che un Paese può cambiare solo se cambia il modo in cui le sue aziende lavorano, formano, tutelano e valorizzano le persone. E' questo il passo che va oltre il 25 novembre: non un giorno di memoria, ma l’impegno quotidiano per costruire ambienti professionali nei quali ogni donna sia libera, rispettata e protetta.
(Adnkronos) - “Siamo una cooperativa agricola che fa rigenerazione ambientale e sociale in una zona semi-urbana di Roma”. Alessia Mazzù, classe ’90 e membro della Cooperativa Agricola Co.r.ag.gio, ha ricevuto il Good Farmer Award per aver trasformato 22 ettari di terra pubblica abbandonata in un laboratorio di agricoltura rigenerativa e inclusione. “Usiamo l’agricoltura per parlare di giustizia sociale, per fare formazione, produzione, sperimentazione e inclusione sociolavorativa”, ha spiegato. Il premio sarà investito in un intervento strategico: “Raccoglieremo le acque meteoriche: in tempi di cambiamento climatico l’acqua è una risorsa preziosa che non può essere sprecata”. Sulla sostenibilità nel settore primario, Mazzù è netta: “Si può fare, anche se non è semplice. Serve una rivoluzione culturale: l’agricoltura rigenerativa richiede fiducia nel fatto che, nel lungo periodo, porta benefici a noi agricoltori e all’ambiente”.