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      (Adnkronos) - Ogni anno nel Lazio si registrano oltre 32mila nuovi casi di tumore e più di 46mila ricoveri ospedalieri legati a patologie oncologiche, come riportato dal Registro tumori della Regione. Più di 9 casi su 10 riguardano il cancro alla prostata, per un totale che supera le 3mila nuove diagnosi. I numeri confermano l'impatto crescente del cancro sulla salute pubblica regionale e la necessità di rafforzare strategie di prevenzione, diagnosi precoce e continuità assistenziale, per migliorare la qualità e l'aspettativa di vita dei pazienti. Questi temi sono stati al centro del tavolo clinico-istituzionale 'Oncologia nel Lazio. Diagnosi precoce, innovazione terapeutica e sostenibilità: migliorare gli outcome di cura', promosso da Dico Sanità, che si è svolto ieri a Roma. Istituzioni regionali, clinici, farmacisti e rappresentanti dei pazienti si sono confrontati con l'obiettivo di favorire l'accesso precoce alla diagnosi e alle cure oncologiche, valorizzare l'appropriatezza prescrittiva e garantire sostenibilità economica e percorsi di cura continuativi. Particolare attenzione è stata dedicata al tumore della prostata, che rappresenta la neoplasia più frequente tra gli uomini in Italia. Secondo i dati dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) - ricorda una nota - ogni anno nel nostro Paese vengono diagnosticati circa 40mila nuovi casi. Nonostante i tassi di sopravvivenza a 5 anni superino ormai il 90%, il tumore della prostata resta una sfida significativa: ogni anno si registrano oltre 8.200 decessi, e i nuovi casi sono destinati a crescere dell'1% all'anno fino al 2040. Nel Lazio ogni anno vengono diagnosticati più di 3mila nuovi casi, pari al 9,4% di tutte le neoplasie della regione, come registra il documento ufficiale 'Pdta-Neoplasia prostatica' della Regione Lazio (Delibera n. 1273 del 10 luglio 2025, Asl Roma 5). "Le principali innovazioni terapeutiche nel tumore della prostata stanno cambiando la prospettiva clinica dei pazienti, grazie all'introduzione di farmaci a target molecolare e, più di recente, alla medicina di precisione supportata dall'intelligenza artificiale - spiega Fabio Calabrò, direttore di Oncologia medica 1 dell'Istituto nazionale tumori Regina Elena Irccs - L'obiettivo è duplice: individuare i soggetti ad alto rischio e personalizzare il trattamento, evitando over-treatment e garantendo appropriatezza prescrittiva. Questo approccio è indispensabile in un contesto in cui in Italia si registrano oltre mezzo milione di persone con una diagnosi di tumore prostatico. Parallelamente, la costruzione di reti oncologiche regionali e l'attivazione di piattaforme digitali condivise rendono possibile una gestione realmente multidisciplinare, in cui medici di base, specialisti e centri di riferimento collaborano in modo integrato. Questo modello migliora l'accesso alle cure, la sostenibilità del sistema e la qualità di vita dei pazienti, che possono essere seguiti vicino casa quando la condizione clinica lo consente". Il tumore della prostata ha origini multifattoriali. Tra i principali fattori di rischio ci sono l'età, la storia familiare, le mutazioni genetiche, la sindrome metabolica, l'obesità, lo stile di vita e l'alimentazione, oltre al fumo e al consumo di alcol. In Italia - ricordano gli esperti - circa il 27% degli uomini adulti sono fumatori e l'11% presenta obesità, condizioni che possono aumentare l'aggressività della malattia. La familiarità gioca un ruolo significativo: circa 1 paziente su 10 sviluppa una forma ereditaria della malattia, e tra coloro con carcinoma metastatico il 12% presenta mutazioni ereditarie in geni coinvolti nella riparazione del Dna, in particolare nel gene Brca2. "Nel tumore della prostata la vera innovazione è saper unire efficacia, appropriatezza e sostenibilità - sottolinea Bernardo Maria Cesare Rocco, direttore Uoc Clinica Urologica Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma, università Cattolica del Sacro Cuore - Lo screening deve essere mirato: rivolto a chi presenta familiarità o rischio genetico, integrando Psa e risonanza magnetica senza contrasto, così da ridurre la mortalità evitando l'over-treatment". Per lo specialista "è tempo di un modello nazionale, equo, che non lasci differenze tra regioni. La qualità delle cure dipende anche dall'organizzazione: interventi complessi nei centri ad alto volume e una rete che colleghi ospedali, medici di base e specialisti. Solo un lavoro multidisciplinare garantisce decisioni più precise e percorsi più rapidi. Dobbiamo adottare una medicina di misura: dal massimo trattamento tollerato al minimo trattamento efficace. E' questa la chiave per offrire cure di valore ai pazienti e un sistema sanitario davvero sostenibile". L'innovazione terapeutica e tecnologica rappresenta oggi uno strumento fondamentale per migliorare gli esiti di cura dei pazienti. L'introduzione di nuove terapie comporta però sfide significative: garantire accesso equo, sostenibilità e appropriatezza clinica richiede strategie mirate, programmi di screening capillari e l'uso di strumenti di telemedicina e digital health. Gli esperti hanno sottolineato l'importanza della diagnosi precoce e della collaborazione tra ospedale e territorio, promuovendo modelli organizzativi integrati, approccio multidisciplinare e personalizzazione delle cure. "E' fondamentale che la rete oncologica centrale dialoghi con il territorio - evidenzia Fabio De Lillo, responsabile Coordinamento attività strategiche spesa farmaceutica, Regione Lazio - A supporto di questa rete è stata istituita anche una rete delle anatomie patologiche, che consente una valutazione rapida dei casi sospetti di tumore. Un ruolo centrale è svolto inoltre dallo screening oncologico, coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, che permette di intercettare precocemente le formazioni tumorali e di sensibilizzare i cittadini all'importanza della diagnosi preventiva. La rete oncologica, nel suo insieme, opera in modo capillare su tutto il territorio regionale, ma è necessario un crescente coinvolgimento e una maggiore partecipazione da parte dei cittadini". In questo contesto, emerge il ruolo centrale del medico di medicina generale, protagonista attivo nel percorso oncologico, anche nell'approccio al tumore della prostata, in particolare nel favorire prevenzione e diagnosi precoce, garantire una presa in carico integrata e continua e nel contribuire al superamento della frammentazione dei percorsi assistenziali. Grazie all'uso di strumenti digitali e all'adozione di percorsi condivisi con gli specialisti - sostengono gli esperti - il medico di medicina generale diventa un vero e proprio costruttore di percorsi di cura, partecipando alla progettazione dei flussi assistenziali e garantendo equità di accesso e qualità delle cure in ogni fase della malattia. "La medicina generale non è un anello accessorio della rete oncologica, ma il suo punto di partenza e di continuità - rimarca Walter Marrocco, responsabile scientifico Fimmg, Federazione italiana medici di medicina generale - Se vogliamo migliorare davvero gli outcome di cura nel Lazio, dobbiamo costruire una rete che parli un linguaggio comune, che metta il paziente al centro e che riconosca nel medico di famiglia il riferimento costante lungo tutto il percorso di malattia e di vita. E' questa la sfida che, come Fimmg, siamo pronti ad affrontare, insieme alle istituzioni, agli specialisti e ai pazienti, per un'oncologia più umana, più integrata e più vicina alle persone". Il tavolo clinico-istituzionale ha rilanciato quindi la sfida di una rete oncologica più efficace e vicina ai cittadini, puntando su nuovi programmi di screening, collaborazione con i medici di medicina generale e sinergia tra professionisti per garantire cure tempestive e personalizzate. Tra le priorità emerse figurano anche innovazione, formazione continua e riduzione delle tossicità dei trattamenti, con l'obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti e assicurare uguali opportunità di cura in tutto il territorio.
      (Adnkronos) - Un passo avanti nella tutela della sicurezza dei lavoratori, ma anche un banco di prova per le imprese e per la filiera degli appalti. Il decreto Sicurezza sul lavoro 2025, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 28 ottobre, rappresenta una svolta nel modo in cui il Paese affronta il tema della prevenzione e della responsabilità nei luoghi di lavoro. L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la cultura della sicurezza, intervenendo su tre fronti principali: inasprimento delle sanzioni, maggiore tracciabilità dei lavoratori e ampliamento degli obblighi di valutazione e prevenzione, anche sul piano psicosociale. Il provvedimento interviene in un contesto ancora segnato da un numero troppo elevato di infortuni gravi e mortali. Da qui, la scelta del governo di puntare su strumenti digitali di controllo, patente a crediti e badge di identificazione, in un sistema che mira non solo a punire, ma soprattutto a prevenire e responsabilizzare. Le modifiche al D.Lgs. 81/08 - il Testo Unico sulla sicurezza - introducono infatti nuovi obblighi per imprese, committenti e subappaltatori, ma anche incentivi per chi dimostra un impegno concreto in materia di sicurezza e formazione. Come spiega Valentina Pepe, avvocato, partner dello studio legale Pepe & Associati, “il nuovo decreto introduce misure urgenti per la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, nell’ottica di un rafforzamento della cultura della sicurezza, di un incremento della prevenzione e della riduzione degli infortuni in ogni ambito lavorativo". "Il decreto Sicurezza - specifica - introduce, tra l’altro, una serie di modifiche al meccanismo della ‘patente a crediti’ nei cantieri, intervenendo sull’art. 27 del D.Lgs. 81/08 (Testo Unico Sicurezza) che disciplina la materia, come già modificato dal decreto-legge del 2 marzo 2024, n. 192. A decorrere dal 1° ottobre 2024, come noto, sono tenuti al possesso della patente le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili. La patente è dotata di un punteggio iniziale di trenta crediti e consente di operare nei cantieri temporanei o mobili con una dotazione pari o superiore a quindici crediti”. Tra le novità principali del decreto Sicurezza, l’inasprimento delle sanzioni per chi opera nei cantieri senza la 'patente a crediti', con l’importo massimo che passa da 6.000 a 12.000 euro, ferma restando la previsione relativa all’esclusione per un periodo di sei mesi dalla partecipazione ai lavori pubblici di cui al codice dei contratti pubblici. Il decreto, spiega ancora Pepe, “oltre ai ‘provvedimenti definitivi’ già contemplati della norma, prevede ora che, per le violazioni relative al lavoro irregolare, la decurtazione dei crediti si applichi automaticamente al momento della notifica del verbale di accertamento da parte degli organi di vigilanza, anche avvalendosi delle informazioni contenute nel Portale nazionale del sommerso (Pns), migliorando così l’efficacia e la tempestività dei controlli”. In caso di infortuni gravi, mortali o con esiti invalidanti permanenti, inoltre, il decreto prevede che le Procure trasmettano tempestivamente all’Inl tutte le informazioni necessarie per adottare il provvedimento, basandosi sugli elementi oggettivi e soggettivi contenuti nei verbali dei pubblici ufficiali intervenuti sul luogo e nelle immediatezze del sinistro, al fine di supportare l’azione degli ispettori. “L’inasprimento delle misure di controllo e sanzionatorie in tema di ‘patente a crediti’ introdotte dal decreto Sicurezza 2025 - osserva Pepe - dimostrano la crescente attenzione delle istituzioni non solo in materia di sicurezza, ma anche rispetto ai fenomeni di lavoro irregolare e all’istituto del subappalto che, negli ultimi anni, è stato ampiamente strumentalizzato nell’ottica della riduzione dei costi del lavoro e dell’eluzione delle normative di tutela”. Sul piano organizzativo, il decreto richiede alle imprese una revisione profonda dei propri sistemi di controllo. Secondo Andrea Puccio, avvocato, founding partner dello studio legale Puccio Penalisti Associati, “il potenziamento dei controlli ispettivi, specie per i soggetti che operano in regime di subappalto, imporrà certamente alle imprese una più rigorosa attenzione all’organizzazione della sicurezza e alla tracciabilità delle responsabilità lungo la filiera”. Un obbligo che, però, può diventare anche un’opportunità. “D’altra parte - precisa - si tratta di una misura coerente con l'obiettivo dichiarato del decreto, che mira a rafforzare ulteriormente la prevenzione, così da ridurre la frequenza degli infortuni sul lavoro. L’auspicio è, dunque, quello di rendere la conformità un elemento strutturale della gestione aziendale; in questo senso, il decreto prevede anche meccanismi di incentivazione economica, che legano la performance in materia di sicurezza ai costi contributivi delle imprese, tramite la revisione delle aliquote Inail”. Dal punto di vista delle aziende, il nuovo impianto normativo segna un cambiamento profondo nel modo di gestire la sicurezza operativa. Come afferma Marius Neagu, fondatore di Macos Srl, “il nuovo decreto Sicurezza lavoro 2025 rappresenta un cambio di passo significativo in materia di controllo e tracciabilità dei lavoratori nei cantieri, introducendo l’obbligo del badge digitale di riconoscimento per tutti, inclusi i lavoratori di ditte subappaltatrici”. Un obbligo che, se disatteso, non grava più solo sul singolo subappaltatore: “Nel caso in cui un subappaltatore non rispetti l’obbligo del badge digitale - prosegue Neagu - la responsabilità ricade anche sull’impresa appaltatrice, che è tenuta a garantire la regolarità dei flussi di accesso e la corretta identificazione di tutto il personale operante in cantiere. In assenza di tali verifiche, l’appaltatore può essere ritenuto corresponsabile e incorrere in sanzioni amministrative, sospensione delle attività e, nei casi più gravi, interdizione temporanea dai lavori. È dunque fondamentale che le imprese strutturino un sistema di controllo interno rigoroso, con protocolli di verifica preventiva e monitoraggio costante dei soggetti coinvolti nella filiera”. Per Macos, già da tempo certificata Iso 9001 (qualità), Iso 45001 (sicurezza sul lavoro), con attestazione Soa Og1 classe 8 - illimitata, Rating di Legalità Agcm e che ha adottato un Modello organizzativo 231, “il badge digitale non è soltanto un adempimento tecnico, ma uno strumento che rafforza la cultura della sicurezza e della trasparenza". "Ci auguriamo che la sua introduzione favorisca una maggiore tracciabilità delle presenze e un più efficace coordinamento tra imprese, subappaltatori e istituzioni di controllo, promuovendo un modello di cantiere realmente sicuro e sostenibile”, avverte Marius Neagu. Ma il decreto Sicurezza non guarda solo ai cantieri. Come sottolinea Giulietta Bergamaschi, avvocato e managing partner dello studio legale Lexellent, “le molestie e le violenze sono un rischio da prevenire a tutti gli effetti nel contesto della sicurezza sul lavoro, lo erano a seguito della ratifica della Convenzione Ilo n. 190 e lo sono adesso a maggior ragione grazie alle precisazioni contenute nel recente decreto che coordina il testo del D. Lgs. 81/08 con le disposizioni normative". "In sintesi, la legge - spiega - riconosce che la dignità della persona è un fattore di rischio che deve essere tutelato con la stessa serietà con cui si prevengono gli infortuni fisici. L'obbligo di includere specificamente queste fattispecie di rischio nel Documento di valutazione dei rischi (Dvr) rende ancor più evidente che si tratta di un preciso obbligo normativo e legale per il datore di lavoro. Le aziende non potranno più limitarsi a intervenire dopo un evento, ma dovranno adottare un approccio proattivo di identificazione, misurazione e implementazione di misure preventive specifiche (ad esempio, codici di condotta, canali di segnalazione riservati, formazione mirata)". "L'aggiornamento delle procedure per la gestione dello stress lavoro-correlato per includere anche le molestie è particolarmente significativo. Questa integrazione cementa il concetto che il benessere psicologico è parte integrante della salute e sicurezza sul lavoro, come stabilito dal Testo Unico. Queste novità spingono le organizzazioni a una maturità culturale che va oltre il mero adempimento. La prevenzione efficace richiede un vero cambiamento culturale, promozione di un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso e la formazione di tutte le figure aziendali, inclusi preposti, dirigenti e lavoratori”, conclude.
      (Adnkronos) - "Negli ultimi vent’anni la povertà energetica in Italia ha colpito in media l’8% delle famiglie, ma nel 2023 il dato è salito al 9%, con un aumento dell’1,3% rispetto all’anno precedente". Lo ha affermato Paola Valbonesi, presidente dell'Osservatorio Italiano sulla povertà energetica (Oipe), in occasione della presentazione del volume “Povertà energetica e accesso equo all’energia: una riflessione sulla società contemporanea”, realizzato dalla Fondazione Banco dell’energia in collaborazione con l’Università Luiss. "L’Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica sta lavorando per rendere questa misurazione più granulare, così da individuare il rischio anche a livello metropolitano e orientare politiche più mirate. Un ulteriore focus su cui stiamo lavorando è quello sulle edilizia residenziale pubblica, quindi sulle case popolari, perché sappiamo che lì ci sono le famiglie più vulnerabili e stiamo cercando di capire quali sono gli interventi da fare. In questi contesti l’efficientamento energetico può generare benefici ambientali e un risparmio diretto".