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(Adnkronos) - Elena Maraga, la 29enne maestra licenziata dall'asilo parrocchiale di Maserada nel trevigiano per aver aperto un profilo su OnlyFans, ha aperto una sua società, una Srl semplificata, dal nome Elemara. Come riferisce il Gazzettino, qui dovrebbero essere convogliate le entrate del profilo hot che oggi conta 1800 abbonati paganti, oltre a molti altri follower sugli altri profili social, e servirebbe anche a diventare il veicolo formale per collaborare con agenzie che fossero interessate alla sexy maestra culturista. Secondo quanto riferito da lei stessa, nel primo mese pieno da che è scoppiato lo scandalo, avrebbe incassato 30mila euro. Nel frattempo, continua la sua battaglia legale con la scuola parrocchiale che ha ribadito, con una seconda raccomandata, il licenziamento per giusta causa, minacciando anche di portarla in tribunale anche per le dichiarazioni che la maestra va rilasciando sulla vicenda. La maestra, dal canto suo, impugnando il licenziamento si dice pronta a portare in tribunale l'asilo in una causa di lavoro, nel caso non trovasse un accordo stragiudiziale sulla buonuscita da 70mila euro che pare abbia chiesto all'asilo. Inoltre, la maestra sta aprendo altri fronti legali: nel mirino il padre del suo alunno abbonato al suo profilo OnlyFans che per primo scaricò e fece girare tra gli amici la sua foto sexy che era coperta da copyright, e gli autori degli insulti che avrebbe ricevuto sui suoi vari profili social una volta emersa la vicenda.
(Adnkronos) - "Un Papa che ha subito invocato la pace, che ha indicato pur in poche parole la via difficile di una nuova concordia che parte dagli ultimi, i vessati, gli oppressi dei Sud del mondo, dalle periferie dell'esistenza. C'è tanta continuità nell'attenzione alle vittime dell'economia dello 'scarto' anche nella scelta di un nome molto impegnativo, quello di un predecessore come Leone XIII che ha fondato nei fatti la dottrina sociale con la prima Enciclica Rerum Novarum che guarda al mondo del lavoro, dei diritti, dell'inclusione". Così, con Adnkronos/Labitalia, Luigi Sbarra, già leader della Cisl, commenta l'elezione di Papa Leone XIV.
(Adnkronos) - Cresce la desertificazione oceanica a causa del riscaldamento globale. In poco più di vent’anni è quasi raddoppiata l’area delle regioni oceaniche già povere di nutrienti e con scarsa biodiversità, passando dal 2,4 al 4,5% dell’oceano globale. Si tratta di un fenomeno che comporta una grave carenza di nutrienti e che potrebbe avere conseguenze significative sulla salute degli oceani e sul clima globale. È questo uno dei principali risultati emersi da uno studio internazionale condotto dal Laboratorio Enea Modelli e Servizi Climatici, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine Ismar-Cnr e il laboratorio cinese State Key Laboratory of Satellite Ocean Environment Dynamics (Soed), pubblicato sulla rivista scientifica ‘Geophysical Research Letters’. Lo studio si concentra, in particolare, sull’analisi dei cambiamenti del fitoplancton, l’insieme di quei microrganismi che sono alla base della catena alimentare marina (sono il cibo di zooplancton, pesci e altri organismi) e contribuiscono a mitigare i cambiamenti climatici rimuovendo la CO2 atmosferica attraverso la loro attività fotosintetica. “Questo fenomeno risulta molto evidente nell’Oceano Pacifico settentrionale dove la superficie coinvolta cresce a un ritmo di 70mila km2 l’anno. Ma la desertificazione interessa in modo crescente diverse regioni oceaniche, con una particolare vulnerabilità nelle aree tropicali e subtropicali, dove la diminuzione dei nutrienti disponibili può avere importanti impatti sulla produttività e la diversità biologica. Questo accade a causa del riscaldamento globale, che fa sì che l’acqua calda, più leggera, resti in superficie, impedendo il mescolamento con l’acqua più fredda e ricca di nutrienti che si trova in profondità. Meno mescolamento significa quindi meno ‘cibo’ che arriva alla superficie per sostenere la crescita del fitoplancton e, di conseguenza, dell’intera catena alimentare”, spiega Chiara Volta, ricercatrice Enea del Laboratorio Modelli e Servizi Climatici. Dallo studio emerge inoltre che è in diminuzione la quantità di clorofilla, un indicatore chiave della salute e della produttività del fitoplancton. In pratica, una maggiore presenza di clorofilla indica una maggiore abbondanza di fitoplancton. “Tuttavia, secondo lo studio, questo calo potrebbe non indicare una riduzione della popolazione fitoplantonica, ma un adattamento di questi organismi alle nuove condizioni di crescita imposte dal cambiamento climatico, quali ad esempio l’aumento della temperatura e la riduzione della disponibilità di nutrienti”, sottolinea la ricercatrice di Enea. Per realizzare questo studio i ricercatori hanno esaminato le serie temporali di dati satellitari di clorofilla e di fitoplancton tra il 1998 e il 2022 nei cinque principali vortici oceanici della Terra (gyres subtropicali) situati nell’Atlantico settentrionale e meridionale, nel Pacifico settentrionale e meridionale e nell’Oceano Indiano. Si tratta di sistemi di correnti caratterizzati da un movimento anticiclonico dell’acqua che si sviluppano tra l’Equatore e le zone subtropicali di alta pressione, e la cui formazione dipende da una complessa interazione tra venti, rotazione terrestre e distribuzione delle terre emerse. “Negli ultimi due decenni, in concomitanza con il riscaldamento degli oceani, molti studi satellitari hanno documentato un’espansione di questi sistemi oceanici e una conseguente riduzione di clorofilla, destando serie preoccupazioni sulle possibili implicazioni per il clima globale e la salute dei nostri oceani. Tuttavia, i nostri risultati mostrano che, nonostante la diminuzione della clorofilla osservata nella zona più povera di nutrienti dei vortici subtropicali, la biomassa fitoplantonica è rimasta sostanzialmente stabile nel tempo. Tenuto conto che, per loro natura, i dati satellitari si limitano a fornire una descrizione di ciò che avviene sulla superficie oceanica, i prossimi passi da compiere saranno quelli di studiare i cambiamenti della comunità fitoplantonica lungo la colonna d’acqua e quantificare il loro impatto sulla produttività oceanica a scala regionale e globale”, conclude Chiara Volta.